NEL 2024 FIRMATI NUMEROSI CONTRATTI NAZIONALI, IN DIVERSI CASI CON PAGA ORARIA INFERIORE A UN IPOTETICO SALARIO MINIMO
di Federico Giusti e Emiliano Gentili
Il Rapporto Annuale ADAPT sulle dinamiche contrattuali indica un quadro per nulla confortante, in cui il welfare aziendale cresce[1] e i salari reali calano. Una lettura diversa rispetto alla consueta narrazione della Cgil, autentico Giano bifronte del panorama sindacale, che conferma di muoversi all’interno di perenni contraddizioni.
Veniamo ad evidenziarne le principali:
- è fin troppo facile parlare del ritorno a una buona regolarità nei rinnovi contrattuali rispetto al decennio precedente, se la firma di tanti contratti conviene alla parte datoriale e avviene con il sostegno di un Governo che mira direttamente alla pacificazione dei luoghi di lavoro. Inoltre, ogni Ccnl rinvia alla contrattazione decentrata sia parti economiche piuttosto rilevanti che la definizione e l’applicazione di un vasto sistema di deroghe. In tutto ciò l’atteggiamento della Cgil non è limpido: da un lato va a sottoscrivere intese deprecabili che comportano erosione del potere di acquisto e della capacità di contrattazione, mentre gestisce previdenza e sanità integrative con la Cisl, ma dall’altro vorrebbe ergersi a sindacato diverso, conflittuale e dalla parte dei salariati;
- in merito ai contenuti della Legge delega sulla contrattazione decentrata, registriamo una incredibile attinenza tra i temi trattati nei tavoli della contrattazione nazionale e i punti salienti della stessa legge… come se la contrattazione decentrata, anche per volere della Cgil, seguisse pedissequamente i dettami del Governo attraverso la mediazione delle associazioni datoriali.
Stando ad una ricerca Adapt, il lavoro a tempo determinato è stato trattato nel 35% degli accordi, facendo particolare attenzione alle causali (che giustificano l’utilizzo del contratto precario), che non a caso vorrebbero rimuovere; nel 20% dei rinnovi considerati si è parlato della retribuzione degli apprendisti e della loro formazione, tirando sempre in ballo gli Enti bilaterali; nel 36% degli accordi di rinnovo si è parlato di orari di lavoro all’insegna della flessibilità e degli interessi aziendali; in 8 casi su 10 esiste un Capitolo del Contratto appositamente dedicato a salute e sicurezza, anche se poi tutto si riduce a tutele individuali per gli ammalati a lungo termine o alla gentil concessione di uno smart che sovente è pure accompagnato da carichi di lavoro aggiuntivi; e, per chiudere, la formazione, che dovrebbe essere tra i capitoli più gettonati da imprese che lamentano di non trovare professionalità sul mercato… ebbene, solo nel 20% dei contratti il capitolo formativo ha trovato spazio; solo in pochi casi si è parlato di inquadramento e di professionalità, come se da questi elementi non dipendesse anche la corretta attribuzione di adeguati livelli in base alle prestazioni erogate e alle conoscenze acquisite. Ancora una volta è evidente quali siano gli interessi delle aziende: abbattere il costo del lavoro, ottenere aiuti fiscali generosi dallo Stato, accrescere la flessibilità e le deroghe, rinviare gran parte delle decisioni alla contrattazione di secondo livello, dove hanno maggiore forza;
- è emblematica l’esclusione della disabilità da quasi tutti i nuovi contratti stipulati. Prima si diceva che una certa sinistra privilegiasse i diritti civili al posto di quelli sociali, ma oggi non tutela più nemmeno quelli;
- il tema in assoluto più gettonato è il welfare Questo conviene sia alle aziende che allo Stato, perché permette di ridurre il welfare universale, favorisce la privatizzazione con pacchetti di servizi offerti nelle strutture sanitarie private, agevola la contrattazione di secondo livello (che porta con sé tutte le agevolazioni fiscali possibili e deroghe peggiorative rispetto ai Ccnl);
- in quasi la metà dei contratti nazionali siglati si parla di coinvolgimento dei lavoratori sui processi decisionali. Insomma, il modello Cisl – che è stato avallato, fino a questo punto, anche dalla Cgil – è già vigente; bisogna solo perfezionarlo e migliorarlo, cercando di pettinarlo al punto giusto per scongiurare sul nascere ogni elemento di conflittualità e di estenderlo – cosa ancor più difficile – dalle grandi alle piccole aziende, dove il padroncino non è avvezzo a discutere ma solo ad imporre le proprie decisioni. Parleremo in un altro articolo della Legge sulla partecipazione dei lavoratori (L. 76/2025), che sul tema introduce molte novità.
In conclusione, leggendo il Rapporto ADAPT non serve essere un fine giuslavorista o un analista di altro tipo per rendersi conto di come il nodo focale sia lo scambio tra aumenti contrattuali e benefit. Uno scambio che conviene alla parte datoriale sia sotto il profilo fiscale e sia perché in molti casi il datore – quando non anche il sindacato – ha anche degli interessi specifici nell’ambito di elargizione dei benefit stessi (strutture sanitarie “amiche” e via dicendo…). E, dunque, «Focalizzando l’attenzione sulle dinamiche salariali, si nota come la quasi totalità degli accordi in materia retributiva affronti il tema dalla prospettiva del salario premiante. Tra gli obiettivi più ricorrenti per la retribuzione di risultato si rilevano la produttività e l’efficienza economica, che rappresentano il criterio predominante insieme alla redditività e, in misura minore ma comunque significativa, alla qualità. Più della metà degli accordi in materia di premio di risultato prevede l’opzione di welfarizzazione del premio»[2].
Amen.
[1] Cfr. F. Giusti, Il welfare aziendale non compenserà la distruzione dello stato sociale, 05 Giugno 2025, https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-il_welfare_aziendale_non_compenser_la_distruzione_dello_stato_sociale/42819_61235/.
[2] La contrattazione collettiva in Italia (2022), XI Rapporto ADAPT. Adapt University Press, 2023, p. XXIII.