Le classi subalterne in Italia non votano al Referendum, come la classe media
Le analogie tra Italia e Usa: a proposito di subalternità delle classi popolari
di Federico Giusti
I votanti al Referendum sono stati inferiori alle aspettative, se mettiamo insieme gli aderenti ai sindacati e ai raggruppamenti di centrosinistra scopriamo che alle urne sono andate meno persone di quelle date per certe alla vigilia dell’apertura dei seggi.
Una sconfitta amara che forse dovrebbe far riflettere sulla necessità di rivedere le norme in tempi nei quali quasi la metà degli aventi diritto non si presenta alle urne anche quando c’è da eleggere le rappresentanze nei Parlamenti e nei consigli comunali e regionali. Una mobilitazione, tuttavia, c’è stata ma a macchia di leopardo, costruita con iniziative ufficiali e di rito alle quali partecipano prevalentemente quanti sono già schierati, è invece mancata la presenza reale nei luoghi di lavoro e nella società, perfino sulle spiagge per non turbare quel silenzio elettorale che ha finito con il gettare nel dimenticatoio i 5 quesiti referendari. E dopo anni di disimpegno e di rassicuranti silenzi, pensare a una inversione di tendenza era una sorta di missione impossibile, nelle famiglie italiane non si parla, non si discute, il modello Usa si è da tempo affermato e il disastro sociale è sotto i nostri occhi.
Tre riflessioni, amare, sono tuttavia necessarie, la prima riguarda i temi del lavoro che al pari dei diritti sociali sono ormai fuori dall’agenda politica e perfino dai radar della classe lavoratrice ignara di quelli che un tempo erano le rivendicazioni minime ed irrinunciabili ossia lavoro, stato sociale, casa, salute e ambiente salubre ove vivere.
La seconda riflessione è che nel corso degli anni è passata l’idea che i sindacati siano una casta al pari dei politici e la Cgil ha fatto ben poco per apparire invece un soggetto credibile e alternativo, basti pensare al welfare aziendale, alla previdenza e sanità integrativa, agli enti bilaterali. E poi anche nei mesi primaverili la Cgil ha continuato ad operare a fianco della Cisl che a sua volta presentava una proposta di legge sulla partecipazione dei sindacati poi ripresa e fatta propria dal Governo Meloni.
E secondo chi scrive, non sono emerse le drammatiche ragioni per le quali scontarsi con il jobs act, se oggi votassimo contro l’innalzamento dell’età lavorativa saremmo pur sempre davanti all’incognita del quorum, la situazione sociale odierna è risultato di politiche arrendevoli perpetrate per anni e di pratiche senza dubbio contraddittorie e non disarmanti. Senza scomodare il livello di coscienza delle classi subalterne, i quesiti referendari erano tali da risultare ostica perfino la comprensione del testo in settori sociali dove da troppo tempo non si discute. E altra, ultima, considerazione, riguarda il sistema fiscale, in Italia l’idea che l’abbattimento delle tasse sia alla fine un vantaggio per la classe lavoratrice ha prodotto incredibili danni e l’assunzione del punto di vista dei padroni.
Ci sarà tempo per analisi approfondite ma soffermiamoci su questo ultimo punto guardando a quanto sta avvenendo in queste ore negli Usa con alcune rivolte sociali duramente represse dalla Guardia civile e dalla grande manovra fiscale (il cosiddetto “big and beautiful bill”) già approvata alla Camera dei Rappresentanti e prossimo al voto in Senato e attorno alla quale si materializza lo scontro interno ai repubblicani semplificato nella contrapposizione tra Trump e Musk
In estrema sintesi negli Usa o, meglio, nella destra repubblicana, è stata sconfitta la fazione favorevole a tagliare il budget federale con interventi poderosi che avrebbero messo in crisi l’impianto statale del paese. Al contempo è ormai prossima alla approvazione una grande manovra fiscale destinata ad accrescere il debito con tagli fiscali regressivi e altri aggiuntivi a solo beneficio del quintile più alto dei contribuenti. Insomma parliamo di redditi superiori a 217 mila dollari, una manovra fiscale che regalerà meno tasse alla parte più ricca della popolazione quando invece crescono i cittadini poveri che non possono permettersi un affitto o una assicurazione sanitaria.
Ora se pensiamo al voto popolare a favore di Trump dovremmo aprire una riflessione sul motivo per il quale le classi sociali più colpite da questa manovra fiscale (a vantaggio dei ricchi) non siano mobilitate contro i repubblicani. Lo stesso discorso potremmo farlo per l’Italia salvo poi scoprire che il sistema fiscale attuale è stato voluto anche da buona parte del sindacato.
Negli Usa siamo davanti al più grand trasferimento di ricchezza verso l’alto, in un paese dove l’1% più ricco possiede già più ricchezza del 93% più povero e dove negli ultimi decenni si è allargata la forbice sociale con una fetta di popolazione in costante aumento che non riesce a mettere a tavola pranzo e cena.
Eppure, questa situazione viene ignorata in Occidente o comunque sminuita, a sinistra in Italia si continua a parlare di sogno americano chiamando in qualche trasmissione giornalisti che vivono nei quartieri esclusivi di N Y.
La manovra fiscale di Trump parte da cospicui tagli ai programmi sociali, incluso l’accesso a Medicaid e Medicare che riguarda gli americani con redditi bassi e impossibilitati a farsi una assicurazione privata. Si taglieranno progetti sanitari e sociali, come in Italia per accrescere la spesa sociale eviteranno di ampliare i servizi del welfare da anni fermi. Eppure, i soggetti sociali interessati a questi tagli sono i primi a parteggiare apertamente per i loro carnefici
Destinare sgravi fiscali ai grandi redditi significa Eliminare la previdenza sociale per 14 milioni di americani sapendo che senza una minima copertura in caso di malattia non avrebbero cure di alcun tipo e con l’aumento delle morti di almeno 50 mila unità all’anno.
Tagliare le tasse ai ricchi non aiuta la crescita economica e la ripresa del potere di acquisto dei salari, negli Usa e in Italia le classi popolari dovrebbero averlo imparato a proprie spese ma da qui a trarre qualche insegnamento corre grande differenza. E non imparare dai propri errori è sempre l’anticamera della debacle politica e sociale.