"Staff house": il lato oscuro del turismo di massa
Pubblico denaro a privati per costruire "staff house": quando la soluzione abitativa rischia di diventare business per pochi
di Angela Fais
Il 20 giugno scorso il Consiglio dei Ministri ha approvato lo stanziamento di 120 milioni di euro da erogare nell’arco del triennio a venire per il finanziamento di attività economiche e imprese per la creazione, la riqualificazione e l’ammodernamento di alloggi (“staff house”) destinati ai lavoratori del comparto turistico-ricettivo a prezzi agevolati, calmierando gli affitti.
La Ministra Santanchè in un breve video diffuso in serata definisce il provvedimento addirittura “una misura senza precedenti nella storia, volta a contrastare l’emergenza abitativa”. Al piano potranno accedere le stesse imprese turistiche sia ricettive che ristorative che anche enti locali o soggetti pubblici con immobili da destinare a tale scopo ed infine operatori privati interessati a realizzare o ristrutturare alloggi per finalità compatibili con la misura. Intanto non si comprende perché mai i Comuni dovrebbero mettere immobili pubblici a disposizione di imprenditori privati quando non riescono a garantire una casa alle migliaia di famiglie sfrattate o in graduatoria da anni. Poi è lecito chiedersi se sarà finanziata l’edilizia privata per massimizzare i profitti di pochi. Si andrà incontro ancora una volta a derive speculative? Secondo Silvia Paoluzzi, Presidente della Unione Nazionale Inquilini, il provvedimento in questione “rimanda al ‘Piano Casa’ di Salvini il quale avendo estromesso dal tavolo delle trattative tutti i sindacati degli inquilini, propone un sostegno al social housing privato rivolto ai lavoratori del settore turistico già vessato da un’estrema precarietà”.
Il fine dichiarato, stando al comunicato pubblicato sul sito del Ministero, sarebbe quello di “generare una maggiore attrattività per la forza lavoro e attirare giovani qualificati”. In realtà quella dei lavoratori del settore turistico è forse la categoria più martoriata in assoluto e se il provvedimento si propone di raggiungere una maggiore attrattività per la forza lavoro, a essere combattuto deve essere in primis il lavoro nero e la precarietà lavorativa. Difficilmente si trova un alloggio in affitto sprovvisti di un contratto regolare. Non dimentichiamo gli esiti dell’operazione promossa dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro appena due anni fa dalla quale emersero dei dati agghiaccianti relativamente al lavoro sommerso. Furono rilevate infatti irregolarità per il 76% delle aziende dei settori del turismo e pubblici esercizi, con picchi del 95% al sud e del 78% al nord. Ma il governo può ignorare una realtà del genere e poi proporsi l’obiettivo “di migliorare il tenore di vita e di lavoro dei tanti lavoratori che operano nel comparto turistico” ? Contrastare il lavoro sommerso e rispettare le norme in materia di salute e sicurezza è il primo passo da fare se si vuole “generare una maggiore attrattività per la forza lavoro”. Può essere attrattivo e migliorare il tenore di vita dei lavoratori un lavoro irregolare, precario, mal pagato e privo di tutele? Secondo i dati del Ministero del Turismo del 2024 il 13% dei posti di lavoro nel Paese sono generati dal settore turistico, settore trainante dell’economia che si stima impieghi circa 1,2 milioni di persone, il 7% della forza lavoro.
Si ripete di continuo che il turismo crea lavoro ma di quale lavoro si tratta?
Che lavoro è quello che giovani e meno giovani trovano nel settore turistico?
Dopo la crisi finanziaria del 2008, con la ripresa del 2010 si assiste ad un aumento dei flussi turistici che interessa principalmente le città del sud Europa. Si afferma il low cost, aumentano le presenze e gli arrivi ma diminuiscono la permanenza e la spesa. Con la crisi molte strutture a gestione familiare chiudono, si faranno largo poi i grandi colossi. Cambia la composizione della forza lavoro che in Italia è sempre più segnata dalla presenza di donne, immigrati e giovani ai quali si riservano i contratti più precari con condizioni lavorative sempre più gravose. A tal proposito sembra opportuno contestare quanto affermato dal Ministero quando dichiara che il provvedimento mira ad “attirare giovani qualificati in questo settore”. In Italia infatti, stando alla ricerca della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro e ai dati ISTAT presi a riferimento, si registra più che in qualsiasi altro paese europeo il più alto tasso di “Overqualification”. Detto in altri termini i nostri giovani laureati quando va bene fanno i camerieri o ricoprono comunque “posizioni che non richiedono tale livello di formazione”. Forse per il Ministro avere laureati che svolgono mansioni per cui di norma non è necessario quel livello di istruzione non è un problema ma anzi si vorrebbe fossero persino più qualificati? Ma qui forse si ignorano i dati? Non si ha il polso della situazione?
Va ribadito che il lavoro nel comparto turistico infatti è caratterizzato da sempre da grande flessibilità ma adesso a seguito della scelta di un turismo low cost che abbassa ulteriormente i costi delle offerte e taglia sui costi del lavoro, subisce un’ ulteriore svalutazione e precarizzazione. I contratti part-time che consentono di occultare forme di lavoro irregolari se non sommerse, prima più marginali oggi trovano un grande impiego. Ma forma contrattuale più diffusa è certamente quella dello stage ossia l’ultima frontiera legale per avere accesso a una forza lavoro spesso totalmente gratuita con cui far fronte a picchi di lavoro stagionale o quotidiano, il mezzo che dà forma istituzionalizzata alla precarizzazione del lavoro. I dati forniti da Unioncamere peraltro riferiscono che solo il 5% degli stagisti vengono assunti e spesso con contratti precari. Con esso va in frantumi qualsiasi tutela non garantendo più alcun diritto lavorativo.
Per questo dobbiamo dire grazie innanzitutto alla riforma Berlinguer a seguito della quale molte facoltà hanno introdotto l’obbligo di stages e tirocini per raggiungere i crediti formativi. Ma non dimentichiamo che anche gli istituti professionali collaborano con le imprese del turismo fornendo loro manodopera gratuita. Quest’ultima tendenza è rafforzata e consolidata dalle riforme della scuola dell’attuale Ministro in carica.
L’uso sempre più massiccio di questa forma contrattuale sta modificando l’accesso al mondo del lavoro da parte dei lavoratori più giovani non garantendogli alcun diritto lavorativo: vengono negate la malattia, la maternità, le ferie. Si norma il ricorso a lavoro gratuito determinandone una svalorizzazione e istituzionalizzando un sistema di sfruttamento che risulta assolutamente legale. Il processo di precarizzazione in atto, confermato dai dati ISTAT, porta a livellare verso il basso le condizioni del lavoro rendendo in realtà terribilmente poco attrattivo il comparto turistico agli occhi della forza lavoro. Questo non sembra però interessare al governo, troppo occupato a fornire soluzioni che non tengono conto delle reali esigenze dei lavoratori ma favoriscono altri soggetti.