TeleSUR intervista Richard Gott (ex corrispondente del 'The Guardian') in Bolivia quando il Che fu assassinato dalla CIA
«L'eredità del Che è quella di un uomo che ha abbandonato tutti i suoi successi e beni materiali per promuovere le sue idee sulla rivoluzione socialista. Sebbene non abbia avuto successo immediato, il popolo continuerà a sollevare la sua bandiera rivoluzionaria»
da teleSUR
Richard Gott è un giornalista britannico, storico ed ex corrispondente dall’America Latina per ‘The Guardian’. Era in Bolivia al momento dell’omicidio di Ernesto Che Guevara e fu chiamato per identificare il corpo.
In un’intervista esclusiva con teleSUR, Gott parla di quello che è accaduto 50 anni fa quando il rivoluzionario più emblematico dell’America Latina fu assassinato.
teleSUR: Come fu il primo incontro con il Che a Cuba? Di cosa parlaste?
Richard Gott: Incontrai per la prima volta il Che a L’Avana nell’ottobre del 1963. Eravamo entrambi presenti all’ambasciata sovietica in occasione di una festa per celebrare l’anniversario della Rivoluzione Russa. Io facevo parte di un piccolo gruppo in attesa di parlare con il Che. Ci sedemmo con lui in giardino, con vista sul mare. Parlammo della possibilità di esportare la Rivoluzione Cubana verso il continente dell’America Latina. Il Che era molto entusiasta di questo, e continuammo a parlare fino a dopo la mezzanotte.
TS: Cosa stavi facendo in Bolivia al momento della sua morte? Come mai ti hanno contattarono e cosa ti dissero gli ufficiali?
RG: Ero in Bolivia nell'ottobre del 1967 per preparare un servizio televisivo sul movimento guerrigliero guidato da Guevara e anche sul processo di Regis Debray, intellettuale francese arrestato nella città petrolifera di Camiri. Avevo visitato la sede della missione di addestramento degli Stati Uniti e conosciuto gli ufficiali degli Stati Uniti che la dirigevano.
TS: Quali furono i tuoi pensieri e i tuoi sentimenti quando vedesti li cadavere? Cosa ricordi dell’ambiente di La Higuera quel giorno?
RG: Arrivammo alle 9 del mattino di lunedì 9 ottobre. Sapevamo che Guevara era detenuto nel villaggio di La Higuera, a 30 chilometri di distanza, ma non ci fu permesso di lasciare la città. Alle 5 del pomeriggio il corpo del Che fu trasportato in elicottero alla pista di atterraggio di Vallegrande. Il suo corpo era tenuto su un ripiano di lavanderia in una baracca nei locali dell'ospedale locale e per mezz'ora ci fu permesso di osservarlo. I giardini dell'ospedale erano pieni di gente del villaggio locale e c'era quasi un'atmosfera religiosa. Poi tornammo a Santa Cruz per portare la notizia al mondo esterno.
TS: Da allora sei tornato in Bolivia?
RG: Sono tornato in Bolivia molte volte da allora e sono stato testimone di molti eventi pieni di sviluppi nella storia del paese, ma nessuno trascendentale come la morte di Che Guevara.
TS: Immaginavi sarebbe diventato così influente in tutto il mondo, e credi che questo sarebbe accaduto se non fosse stato martirizzato?
Pensai in quel momento che la morte di Guevara avrebbe segnato la fine dei movimenti guerriglieri in America Latina dei quali il Che era responsabile. Ero stato troppo pessimista, perché i movimenti guerriglieri continuarono, specialmente in Nicaragua. Credo la morte precoce del Che abbia contribuito promuovere la sua eredità.
TS: In cosa consiste oggi l’eredità del Che e cosa pensi che la sinistra possa ancora apprendere da lui?
RG: L'eredità del Che è quella di un uomo che ha abbandonato tutti i suoi successi e beni materiali per promuovere le sue idee sulla rivoluzione socialista. Sebbene non abbia avuto successo immediato, il popolo continuerà a sollevare la sua bandiera rivoluzionaria.
(Traduzione dallo spagnolo per l’AntiDiplomatico di Fabrizio Verde)