Tokyo non abbassa i toni della disputa con Pechino

Nonostante il crollo delle vendite in Cina, il ministro delle finanze nipponico Maehara non arretra sulla sovranità delle isole Senkaku

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Tokyo non abbassa i toni della disputa con Pechino

Il Giappone non ha alcuna intenzione di abbassare i toni nella disputa con la Cina per la sovranità delle isole Senkaku. A sostenerlo in un'intervista rilasciata giovedì al Financial Times, il ministro dell'economia nipponico Maehara, che, nonostante le gravi ripercussioni sull'economia nipponica, ha sottolineato come sia “meglio per i due paesi mantenere buone relazioni, ma il problema riguarda la sovranità del nostro paese e non possiamo scendere a compromessi”. In un periodo di campagna elettorale per le elezioni nazionali previste per la prossima estate – in cui il partito conservatore di Abe ha già alzato i toni nazionalisti della contesa con la Cina - le dichiarazioni di Maehara riflettono la determinazione del partito democratico al potere di non cedere alle pressioni di Pechino.
Le relazioni tra la seconda e terza economia mondiale si stanno incrinando pericolosamente: dopo l'acquisizione formale dell'11 settembre scorso di 3 delle isole in questione, le proteste nazionaliste si sono riaccese ed hanno riaperto ferite storiche mai rimarginate, compromettendo le relazioni diplomatiche ed economiche tra i due giganti asiatici. La situazione è ormai di conflitto aperto: giovedì, un portavoce del ministero degli esteri cinese, Hong Lei, ha dichiarato che la controversia ha creato gravi difficoltà tra i due paesi; mentre mercoledì il presidente della Banca centrale Zhou Xiaochuan ed il ministro dell'economia Xie Xuren hanno deciso di boicottare il prossimo vertice del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale previsto a Tokyo. 
Maggiormente colpite dalla controversia le aziende giapponesi, che hanno visto crollare la vendita dei loro prodotti in Cina del 18%. Pechino importa circa il 20% delle esportazioni nipponiche ed il capo economista della banca d'affari nipponica Mizuho, Tomochika Kitaoka, ha dichiarato che se la crisi diplomatica si dovesse protrarre per altri due mesi, il Pil giapponese diminuirà di uno o,1% ed i fatturati delle principali aziende dello 0,5%. Toyota ha riportato un meno 49% a settembre; Honda e Nissan un meno 40% e 35% rispettivamente; Mitsubishi e Mazda cifre similari; infine, le proteste hanno costretto diverse aziende giapponesi a sospendere temporaneamente la loro produzione in Cina. Dopo le manifestazioni violente in Cina, le compagnie d'assicurazione giapponesi, hanno annunciato la scorsa settimana di aver interrotto la stesura di nuovi contratti per danni ad agenzie e negozi in Cina per l'accrescere dei rischi. La crisi con il Giappone ha spinto al rialzo le quotazioni e le vendite delle aziende coreane, in particolare  Hyundai Motor e  Kia Motors, che solo a settembre hanno visto un incremento del 10% delle loro vendite in Cina. 
Le aziende giapponesi hanno espresso le loro lamentele al governo, cui ha risposto Maehara: “i loro problemi non cambieranno la posizione del governo sulla questione. La nostra sovranità è la base della nazione su cui le attività economiche dipendono”.  Questi problemi riguardano anche la Cina: “La nostra interdipendenza economica è molto forte e se i prodotti giapponesi fatti in Cina non verranno venduti più in Cina, ci sarà un grande impatto sull'occupazione del paese”.

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