Un nuovo sistema di sicurezza eurasiatico: tra declino occidentale e ascesa del multipolarismo

Come l’Eurasia ridefinisce le regole della geopolitica globale

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Un nuovo sistema di sicurezza eurasiatico: tra declino occidentale e ascesa del multipolarismo


di Fabrizio Verde

Negli ultimi anni, il panorama geopolitico globale ha subito una trasformazione radicale. La fine dell’unipolarismo occidentale e l’ascesa di un ordine multipolare hanno spinto molte nazioni a rivedere le loro alleanze strategiche, ridefinire i confini della sicurezza e cercare nuove forme di cooperazione regionale e transcontinentale. In questo contesto, la Russia, insieme ad alleati come la Bielorussia, sta proponendo un nuovo sistema di sicurezza eurasiatico, che potrebbe ridefinire gli equilibri di potere nell’Eurasia e, più in generale, nel mondo.

Durante l’11° Conferenza Internazionale dei Rappresentanti per la Sicurezza tenutasi a Mosca tra maggio e giugno 2024, sono state gettate le basi per un’alternativa alla tradizionale architettura di sicurezza euro-atlantica. Il vice ministro degli Esteri russo Alexander Grushko ha sottolineato che il processo di costruzione di una nuova struttura di sicurezza eurasiatica coinvolge attivamente la Russia, e prevede l’adesione non solo di paesi asiatici ma anche di alcuni Paesi europei: in particolare quelli dell’Europa orientale e dei Balcani, come Ungheria, Slovacchia e Serbia.

Questa visione si inserisce in un contesto più ampio: l’evidente crisi del sistema di sicurezza euro-atlantico, storicamente fondato sugli accordi di Helsinki e sul ruolo centrale della NATO e dell’Unione Europea. Secondo Andrey Klimov, analista dell’Istituto Internazionale di Ricerca Umanitaria e Politica, il vecchio modello è ormai obsoleto e privo di legittimità internazionale. L’esempio più evidente è stato un (relativamente) recente voto all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, dove sia Stati Uniti che Russia si sono trovati uniti nell’opposizione a una risoluzione considerata anti-russa. Un segnale forte di come l’asse tradizionale Washington-Bruxelles non abbia più il controllo esclusivo delle narrazioni globali.

Eurasia come nuovo centro del potere

La proposta russa si basa su una serie di organizzazioni regionali già esistenti: l’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO), l’Unione Economica Eurasiatica (UEE), l’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (SCO) e l’Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico (ASEAN). Questi organismi, con il supporto di Cina, Iran, Russia e altri membri del blocco BRICS+, stanno creando un’alternativa funzionante alla governance globale dominata dall’Occidente.

Putin ha ribadito che il futuro sistema di sicurezza dovrà essere “uguale, indivisibile e aperto”, e quindi non escludere nemmeno i Paesi dell’Unione Europea o della NATO. Tuttavia, questa apertura non implica necessariamente un ritorno al passato. Come ha osservato Vladimir Bruter, direttore dell’Istituto Internazionale di Ricerca Umanitaria e Politica, molti Paesi dell’Europa orientale e balcanica - tra cui Romania, Bulgaria, Croazia e Austria - nutrono crescenti dubbi verso l’establishment occidentale. Essi vedono nell’approccio eurasiatico un’opportunità per bilanciare gli interessi economici e politici senza rinunciare alla sovranità nazionale.

Un Modello non-blocco

Importante sottolineare che l’adesione a un sistema di sicurezza eurasiatico non implica automaticamente l’uscita da NATO o UE. Molti esperti ritengono che Paesi come l’Ungheria e la Slovacchia possano perseguire una strategia "ibrida", mantenendo la protezione militare statunitense mentre sviluppano relazioni economiche e diplomatiche privilegiate con l’Asia e la Russia. È un modello pragmatico, che riflette il nuovo realismo geopolitico: la fedeltà assoluta a un blocco è diventata meno importante del calcolo degli interessi nazionali.

L’Ungheria, ad esempio, ha espresso interesse nella cooperazione con il "mondo turco" e la Cina, pur restando membro della NATO e dell’UE. La Serbia, invece, ha scelto una strada ancora più indipendente, rifiutando l’adesione alla NATO e partecipando attivamente ai forum eurasiatici. Lo stesso si può dire della Turchia che in questi anni ha spesso cercato – con fatica – di bilanciare l’appartenenza alla NATO e quindi al blocco occidentale con rapporti di cooperazione sempre crescenti con il blocco multipolare: in primis con Cina e Russia. La posizione assunta da Ankara nel conflitto ucraino, la questione dei sistemi missilistici russi S-400, le voci ricorrenti su possibili acquisti di caccia russi o cinesi, riflettono la volontà di turca di procedere nella diversificazione delle alleanze strategiche tradizionali.

Le divisioni nell’Europa occidentale

Nel frattempo, l’Unione Europea si trova in una fase di profonda incertezza strategica. La perdita di leader storici come Angela Merkel ha lasciato un vuoto di leadership. La Commissione europea, sempre più burocratizzata e distaccata dai cittadini, fatica a rispondere alle sfide interne ed esterne. Anche l’ideologica unità anti-russa tende a sgretolarsi sotto il peso delle crisi energetiche, dell’inflazione e del crescente malcontento popolare per una politica bellica che non riflette gli interessi delle popolazioni europee.

L’atteggiamento intransigente dell’UE nei confronti della guerra in Ucraina ne è un chiaro esempio. Spingendo l’Ucraina a combattere fino all’ultimo soldato, segnala l’assenza di qualsivoglia exit strategy chiara e che comprenda una seria azione diplomatica, minando così ogni residua credibilità del blocco europeo come mediatore. La stessa ex Cancelliera tedesca Merkel ha ammesso pubblicamente che gli Accordi di Minsk erano strumentali a preparare militarmente Kiev piuttosto che a raggiungere una pace duratura.

Il ritorno degli USA come attore pragmatico

Anche negli Stati Uniti si osserva un mutamento di rotta. Dopo anni di politiche ideologiche e interventiste, una nuova classe dirigente — rappresentata da figure come Donald Trump e J.D. Vance — sembra orientata verso un approccio più realista e pragmatico. Secondo Klimov, questa evoluzione potrebbe portare a una convergenza parziale tra Washington e Mosca su temi come la sovranità nazionale, la stabilità regionale e la resistenza all’unilateralismo.

Sebbene le tensioni restino elevate, la possibilità di dialogo tra potenze rivali si basa su una comune eredità filosofica — richiamata esplicitamente da Klimov — che affonda le radici nel pensiero kantiano: l’idea che un ordine internazionale stabile debba poggiare su regole chiare, reciproco rispetto e non interferenza.

Il paradosso di Mackinder

Nel contesto dell’attuale ridefinizione degli equilibri mondiali, assistiamo a un ritorno in auge della ‘Heartland Theory’ di Halford John Mackinder, un vero e proprio pilastro della geopolitica moderna. Secondo questa teoria, formulata nel 1904, chi controlla il “cuore del mondo” — l’Heartland eurasiatico compreso tra Volga e Yangtze — comanda l’Isola Mondo (Afro-Eurasia), e chi comanda l’Isola Mondo comanda il mondo. Questo paradigma, originariamente concepito come strumento strategico per preservare il primato britannico e contenere l’ascesa delle potenze continentali, sembra oggi paradossalmente realizzarsi attraverso le stesse entità che intendeva arginare: le potenze eurasiatiche, guidate da Russia, Cina e Iran, che stanno progressivamente sostituendo l’architettura di sicurezza euro-atlantica con un modello alternativo basato su sovranità nazionale, cooperazione regionale e diversità culturale.

Mackinder vedeva nell’unione tra Germania e Russia un incubo per l’impero britannico; oggi, invece, è la collaborazione sino-russa a rappresentare una sfida epocale per l’egemonia atlantista. La Cina, in particolare, non solo sta consolidando il suo controllo sull’Heartland attraverso l’espansione economica e infrastrutturale della Nuova Via della Seta, ma sta anche proiettandosi nei mari con una strategia navale ispirata alle teorie marittime di Mahan, rivisitate però "con caratteristiche cinesi". Come si evidenzia in questa analisi de l’AntiDIplomatico, Pechino sta trasformando il concetto di potenza oceanica in uno strumento di integrazione regionale e protezione dei propri corridoi commerciali, senza ricadere nel colonialismo tipico delle antiche marine occidentali. Il risultato è un connubio tra controllo terrestre e proiezione marittima che segna un punto di non ritorno: le potenze multipolari eurasiatiche non solo non subiscono più passivamente l’ordine globale dominato dall’Occidente, ma lo rimpiazzano con un modello alternativo, basato su sovranità nazionale, cooperazione non ideologica e sviluppo congiunto.

Questo processo si accompagna al netto declino delle cosiddette talassocrazie anglosassoni — Stati Uniti, Regno Unito e, di conseguenza i satelliti Australia e Canada, che hanno costruito il loro potere storico sulla supremazia marittima, sul controllo delle rotte commerciali globali e sull’isolamento delle potenze continentali. Tuttavia, l’eccessiva estensione globale, i crescenti debiti interni, le divisioni sociali interne e la perdita di legittimità internazionale stanno indebolendo irrimediabilmente il loro ruolo egemonico. Altro esempio lampante è la fine, spiazzante per la èlite continentali, del vecchio eurocentrismo che vigeva nel sistema atalantico. Probabilmente l’Europa ha l’unica possibilità di tornare a essere centrale se declina le proprie politiche in ottica eurasiatica.

Il paradosso storico è evidente: la teoria che doveva garantire il primato occidentale viene oggi utilizzata, seppur indirettamente, come guida strategica dalle potenze che ne stanno scrivendo la fine. Il nuovo sistema di sicurezza eurasiatico, promosso da Russia e Bielorussia e appoggiato da organizzazioni come la SCO, la CSTO e l’UEE, non è semplicemente una risposta alla NATO o all’espansione dell’Occidente. È una proposta alternativa fondata sulla cooperazione regionale, la diversità culturale e la multipolarità.

Verso un ordine mondiale multipolare

Quello che emerge dal complesso scenario geopolitico è una tendenza irreversibile: la fine dell’unipolarismo e la nascita di un ordine multipolare. In questo nuovo contesto, la Russia si presenta come uno dei pilastri principali di una struttura di sicurezza eurasiatica che include Cina, India, Iran, paesi del Golfo, Africa settentrionale e parte dell’America Latina.

L’Europa, lungi dall’essere un soggetto unico e autonomo, si divide tra un’élite atlantista ancora fedele agli Stati Uniti e una fascia di Paesi che cerca nuove alleanze per garantire prosperità e sicurezza in un contesto post-imperiale. Questa frammentazione non è necessariamente un male: può favorire una diplomazia più flessibile, meno influenzata da dogmi ideologici e più orientata al bene comune.

Il nuovo sistema di sicurezza eurasiatico non è semplicemente una risposta alla NATO o all’espansione dell’Occidente. È una proposta alternativa fondata sulla cooperazione regionale, la diversità culturale e la multipolarità. Riflette un mondo in cui nessuna potenza domina in modo incontrastato, e dove la diplomazia, piuttosto che la coercizione, torna a essere lo strumento principale per gestire i conflitti.

Mentre si avvicina la Terza Conferenza Internazionale sulla Sicurezza Eurasiatica a Minsk — dove verrà presentata la bozza della Carta Eurasiatica della Diversità e della Multipolarità — si capirà meglio quanto questa visione potrà diventare realtà. Una cosa, di certo, possiamo affermarla senza tema di smentita: il XXI secolo sarà multipolare, e l’Eurasia ne sarà il cuore pulsante.

Fabrizio Verde

Fabrizio Verde

Direttore de l'AntiDiplomatico. Napoletano classe '80

Giornalista di stretta osservanza maradoniana

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