Vaccino anti Covid, il lavoratore che rifiuta «rischia sospensione senza retribuzione»
Benché la campagna vaccinale in Italia sia ben lungi dall’entrare nel vivo visti i notevoli ritardi accumulati nell’approvvigionamento dei sieri necessari a procedere all’immunizzazione di massa, è partito comunque il dibattito sulla necessità che tutti si sottopongano a vaccinazione.
In mancanza di una normativa si prospettano tempi difficili per quei lavoratori dipendenti che non volessero sottoporsi all’inoculazione del vaccino anti Covid. Le aziende potrebbero decidere di sospendere il lavoratore che rifiuta la somministrazione per la necessità di garantire la sicurezza, nei confronti del resto del personale. «Il datore di lavoro ha una doppia responsabilità, verso i dipendenti ma anche verso tutti quei soggetti che vengono a contatto con loro, dagli ospedali alle case di riposo, passando per supermercati e aziende di trasporto. La salvaguardia della loro salute è un principio fondamentale di cui l’azienda non si può disinteressare», spiega a Business Insider Italia l’avvocato Aldo Bottini, partner dello studio legale Toffoletto De Luca Tamajo.
Quindi, «se il vaccino è considerato una misura di protezione sia personale che per la collettività, il datore può considerare il lavoratore che non si sottopone alla profilassi temporaneamente non idoneo allo svolgimento della sua mansione perché impossibilitato a renderla in sicurezza», aggiunge il legale.
Insomma, per i lavoratori che dovessero rifiutare la vaccinazione c’è il concreto rischio di trovarsi senza retribuzione perché ritenuti non idonei a poter lavorare in sicurezza.
Per questo in alcuni paesi, spiega Business Insider, potrebbe diventare, in via temporanea durante questo periodo di emergenza sanitaria, un requisito necessario per ottenere l’impiego in determinati settori, come quello sanitario, o per quelle professioni che richiedono un maggior contatto con il pubblico. In questo modo, il rifiuto alla vaccinazione potrebbe diventare un fattore determinante al fine di legittimare la cessazione del rapporto.
Obbligo di vaccinazione: la situazione internazionale
Secondo una ricerca internazionale realizzata da Ius Laboris, un’alleanza internazionale di specialisti in diritto del lavoro presente in 59 Paesi del mondo, con la collaborazione dello studio Toffoletto De Luca Tamajo, ci sono una serie di paesi che pur non introducendo l’obbligatorietà vaccinale hanno intenzione di implementare misure molto stringenti.
«Regno Unito, Stati Uniti, Brasile, Francia, Olanda ammettono la facoltà dei datori di impedire ai dipendenti non vaccinati di accedere fisicamente al luogo di lavoro concordando con i lavoratori una modalità alternativa per svolgere la prestazione, per esempio in lavoro agile o mutando mansioni, oppure usufruendo di un congedo», si legge nello studio, che continua: «In Polonia, Austria e Germania è invece consentito il trasferimento temporaneo del dipendente in un luogo più sicuro».
In Italia invece il dipendente che rifiuta il vaccino potrebbe essere spostato a lavorare da remoto o in totale isolamento, se la mansione glielo consente. Ma quando questo non fosse possibile potrebbe essere sospeso senza diritto alla retribuzione.
CI sono paesi dove è assolutamente vietato licenziare il lavoratore che dovesse rifiutare di sottoporsi a vaccino: Belgio, Irlanda, Lussemburgo, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Argentina e Messico.
L’Italia al momento si colloca tra quei paesi che ritengono la soluzione del licenziamento extrema ratio. Nel momento in cui il dipendente viene considerato dall’azienda «temporaneamente inidoneo» a rendere la prestazione in sicurezza per il suo rifiuto a vaccinarsi, potrebbe essere sospeso senza stipendio. «Qualora poi l’assenza dal lavoro, per il suo prolungarsi e/o per l’indeterminatezza della sua durata, arrechi pregiudizio all’organizzazione aziendale, è ipotizzabile il licenziamento per giustificato motivo oggettivo», afferma lo studio.