Libia, Giorgio Cremaschi: "Non serve solo dire no alla guerra, dobbiamo dire no alla NATO"

Libia, Giorgio Cremaschi: "Non serve solo dire no alla guerra, dobbiamo dire no alla NATO"

L'ex presidente della Fiom all'Antidiplomatico lancia la mobilitazione dai territori contro la guerra del 12 marzo. "Dobbiamo svegliare un'opinione pubblica anestetizzata dal silenzio di regime"

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di Alessandro Bianchi
 
Tutto pronto per la guerra in Libia. Con gli Stati Uniti che “sosterranno il comando delle operazioni italiane”, restano da decidere solo i dettagli. Senza nessuna decisione del Parlamento e in violazione delle leggi interne e internazionali più elementari, l'Italia si troverà di fronte ad “un'avventura totale”. La definisce così Giorgio Cremaschi, ex presidente della FIOM e una delle figure di riferimento oggi nel movimento contro le guerre che tenta, molto faticosamente, di ricostruirsi. Contro questa guerra “neocoloniale”, il 12 marzo dai territori partirà una “grande risposta”.  Nella totale censura dei media, ci tiene a precisare Cremaschi.
 

L'intervista
 

Siamo ormai alla gestione operativa della guerra in Libia. Il Parlamento italiano non è stato neanche consultato, come era almeno previsto nelle Costituzioni “octrayèes” tipo Statuto albertino?
 
Si tratta di una vergogna. Sulla prossima guerra in Libia siamo ormai ai dettagli, alla gestione operativa appunto. Il comando operativo chi lo avrà, quali zone occuperà uno o l'altro paese; Francia e Regno Unito vogliono i loro interessi tutelati. Siamo alla logica del “neo-colonialismo” all'ennesima potenza.  Non siamo solo in violazione dell'art.11 della Costituzione, già stuprato in passato molte volte, ma al voler calpestare in modo totalmente cosciente le prerogative minime del Parlamento.
 

L'opinione pubblica italiana è ben informata e conscia di quello che significa per l'Italia un intervento armato in Libia?

Nel modo più assoluto. Siamo alla copertura totale mediatica. La resa dei conti si avvicina e l'Italia si avvicina al baratro dell'avventura totale. Gli italiani non immaginano neanche i rischi e i danni enormi di quest'intervento, già deciso. Sentiamo il dovere di ribellarci a tutto questo. Il 12 marzo ci mobiliteremo in un'iniziativa che sarà il prosieguo di quella del 16 gennaio. Saranno tante manifestazioni dai territori contro obiettivi precisi, in particolare i simboli della nostra sudditanza alla guerra e alla NATO, il principale strumento di morte a cui siamo legati con un vincolo di schiavitù. E quindi ci mobiliteremo davanti la base di Ghedi dove sono presenti bombe termonucleari; a Vicenza, a Pisa davanti Camp Darby, in Val di Susa – dove si sta sperimentando la criminalizzazione del dissenso – a Bologna, Napoli, Roma, Bari Molfetta, Ancona e, infine, a Sigonella da dove droni statunitensi partiranno a compiere  i loro crimini.

 
L'obiettivo principale che si propone questa iniziativa?
 
Svegliare un'opinione pubblica anestetizzata dal silenzio di regime. Passo dopo passo siamo entrati in una guerra che si trasformerà in un'immane tragedia. Gli stessi (penso ad esempio a Renzi) che parlavano di “avventura” per il crimine della Nato in Libia nel 2011 si stanno imbarcando in un'”avventura” ancora più grande. E i giornali dove sono? Dove sono le voci critiche? 
Non serve solo dire no alla guerra, dobbiamo dire no alla NATO, lo strumento principale rispetto all'ingerenza militare occidentale che, per imporre i suoi interessi, uccide tutto quello che tocca. Ditemi una situazione che la Nato ha migliorato dopo un suo intervento? La distruzione della Siria e l'ingresso di nazisti dichiarati in Ucraina sono gli ultimi due “capolavori”. Vogliamo pensare ad un sistema pacifico di relazioni internazionali? Imponiamo la fine degli interventi militari occidentali e lo smantelliamo la NATO. Questo ci prefiggiamo con il 12 marzo.

 
Un sistema di alleanza militare che ha un costo enorme per il nostro paese. In un momento di crisi economica così grande, il nostro paese può permettersi questo intervento in Libia?
 
Un paese - per citare solo un esempio finito ultimamente su alcuni giornali -, che non ha i soldi per i ricercatori universitari post-dottorato e spende 80 milioni di euro al giorno per spese militari è un paese alla deriva. Sono una vergogna gli F-35 e sono uno scandalo le basi militari che concediamo ad uso e consumo di Usa e Nato per le loro bombe atomiche in violazione di un trattato che abbiamo firmato (il TNP). Siamo, tanto per intenderci, sullo stesso piano della Corea del Nord. Anzi peggio, perché quel paese il TNP non l'ha sottoscritto.

 
Un sistema di illegalità diffuso. Ma l'opinione pubblica, torniamo alla questione iniziale e centrale, è ignara per la cappa di anestetizzante calata dal regime mediatico. Come reagire?
 
Prendiamo a riferimento il caso della manifestazione pacifica e civile (basta guardare i video) da parte di alcuni studenti di Bologna contro Panebianco, autore di articoli incivili a favore della guerra. Sindaci, rettori, giornali, tv, tutti insieme appassionatamente, a criminalizzare il dissenso. E che messaggio utilizzano sempre? E' un attacco alla libertà di insegnamento: coloro che criminalizzano il dissenso mettono al centro la libertà. Del resto, siamo in guerra. E in guerra si sa, a morire è sempre la verità. Non solo in Italia, ma in Europa. In Francia, il governo ha annullato conquiste secolari dal punto di vista dei diritti. Si sta preparando una grande mobilitazione, ma nel silenzio generale dei media.
Del resto, i mezzi di informazione sono controllati dal 'governo reale': banche, De Benedetti, Fiat e alcuni palazzinari romani per quel che riguarda l'Italia. Per la Tv non serve neanche commentare. Tutto ciò che dissente dal regime mediatico viene criminalizzato. Come si resiste oggi a tutto questo? Con l'informazione. Dal lavoro, ad esempio, dell'Antidiplomatico. 
 

Della guerra in Libia, del resto, lo abbiamo scoperto da uno scoop del WSJ che il governo è stato costretto a confermare...
 
Durante la seconda guerra mondiale, gli italiani erano a conoscenza dei fatti ascoltando Radio Londra, che smascherava le menzogne della propaganda del regime fascista. E, oggi, la situazione non è poi cambiata così tanto...

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