Alberto Bradanini - Il crepuscolo della civiltà europea
E la democrazia? Beh, quella serve per riempire il nulla che nulleggia delle marionette che occupano le poltrone del potere...
di Alberto Bradanini*
20 maggio 2025
I meno sprovveduti tra gli abitanti del Vecchio Continente dovrebbero convenire che la rappresentazione dell'Europa – regione geografica, l’insieme disordinato di stati nazionali (sovrani solo sulla carta) o la cosiddetta Unione (Ue) – si colloca decisamente sopra le righe, in buona sostanza non risponde al vero. Coloro che sono persuasi del contrario, possono interrompere qui la lettura di un testo che troverebbero inutilmente corrosivo nei riguardi dei loro convincimenti.
Tale riflessione d’esordio presume un rispecchiamento dell’Ue che potremmo riscontrare tra le liane della giungla amazzonica, dal momento che la comprensione della sua identità legale e istituzionale, così come della sua essenza teleologica richiede un dispendio di energie di norma superiore a quanta se ne ha a disposizione. In assenza del sottostante, un popolo europeo - che solo la storia avrebbe potuto costruire, ma non lo ha fatto - il livello di coesione delle sue cosiddette classi dirigenti, simile a quello delle onde in modulazione di frequenza, cambia orientamento a seconda del punto cardinale da cui sorge la luna.
È sufficiente uno sguardo distratto, o qualche pagina web, per comprendere che il tempo presente è quello in cui l’Europa – la cui storia millenaria, tragica e arruffata come poche, resta peraltro sconosciuta ai più – vede dileguare quei lineamenti che un tempo le avevano meritato la qualifica di civiltà. Il continente è oggi null’altro che una regione-bersaglio guidata a meri fini estrattivi da entità solfuree ma brutali, vale a dire dai detentori del capitale globale, quelli che smittianamente decidono sullo stato di emergenza, una sofisticata terminologia questa per significare che sulle questioni che contano davvero son loro a decidere. Costoro ponderano l'Europa in una forma diversa rispetto ai cittadini europei (in larga parte frastornati dal rumore di fondo della Grande Menzogna) o extra-europei, questi distanti e ancor più indifferenti. E la democrazia? Beh, quella serve per riempire il nulla che nulleggia delle marionette che occupano le poltrone del potere. Vediamo.
Quali siano i guai che affliggono la regione chiamata Europa dovrebbe essere noto, ma proprio per questo non è conosciuto (Hegel) e dunque repetita iuvant. Con il termine detentori del capitale globale s’intendono qui i Proprietari e Controllori del Capitale Finanziario Globale che valutare l’Europa (e invero ogni regione del mondo) solo come territorio da cui estrarre benefici, ricchezze, lavoro e profitti di ogni sorta, per essere scartato quando diventa inservibile allo scopo.
Tali individui, capitalisti sino al midollo, non sono titolari di un particolare passaporto – statunitense, britannico, tedesco, francese o svizzero (i noti-gnomi di Basilea), gli altri paesi contando assai meno - non sono leali né all'Occidente né all'Oriente, non hanno una bandiera all’ombra della quale combattere, non si riconoscono in alcun popolo, storia, lingua, tradizioni o valori; nei loro cuori, ammesso che ne abbiano uno, non è la terra dei loro padri a far vibrare le corde profonde; non vedono il mondo come un luogo dove solidarietà e giustizia possono rendere sopportabili le sofferenze dell’umana esistenza, non hanno dunque alcun intento di migliorarlo; non colgono l’effervescenza di culture, popoli e nazioni. A tale aggregato post-umano - frutto incestuoso della tossicità globalista neocapitalista - l’ottusità ontologica rende tutto ciò invisibile.
Essi vedono esclusivamente zone di opportunità, la cui valenza dipende dai benefici che ne derivano e dall’ammontare di risorse estraibili: lavoro umano, dati, logistica, trasporti, terre rare, petrolio, gas, mercati di consumo e via dicendo. Ogni altro lineamento umano, etico, sociale, è ai loro occhi privo di attrazione, come si trattasse della carcassa di un elefante.
Anche il tempo, ça va sans dire, costituisce talora una variabile che può moltiplicare i ritorni, poiché tali risorse diventano più effervescenti nei momenti di crisi. Queste a loro volta, se non sorgono spontaneamente, vengono fatte emergere con tecniche adeguate.
Alla luce di tale illustrazione, il territorio europeo è assunto dai detentori del capitale globale non come un aggregato di nazioni, con una loro storia, priorità, specificità e obiettivi, ma null’altro che utilità, un asset in atto o in potenza, acquisibile all’occorrenza per generare profitto, se necessario attraverso un profondo rimescolamento sociale, identitario, economico, e dunque tramite travaglio e sofferenza, obliterando richieste, bisogni, caratteristiche e via dicendo di popoli e culture. E lo Stato, si dirà, e i Governi? Ebbene, è finanche banale rilevarlo, essi svolgono il ruolo di comparse, sono incaricati di dar senso alla nozione di contorno, vestiti con la livrea dei giorni di festa per servire le tavole imbandite di lorsignori, mentre ai popoli questuanti non resta che raccogliere le briciole che di tanto in tanto cadono dalla tavola.
Tornando al punto, è quanto mai evidente che i paesi europei sovrani non sono, e ancor meno democratici, come vedremo. A suo tempo, il nostro Machiavelli aveva definito le due qualità che consentono di qualificare un paese come sovrano: non avere soldati di un altro paese sul proprio territorio ed essere padroni della propria moneta. Oggi occorre aggiungerne una terza, il controllo dei fattori della produzione, vale a dire il lavoro (oggi globalizzato, rispondente al minimo comun multiplo) e il capitale (insaziabile e libero di muoversi ovunque accresca i profitti, attraverso la compressione del fattore lavoro). Governi e classi dirigenti - corpi eterei che fluttuano nell’aire come fumi usciti da un camino - non hanno alcun controllo su quanto sopra. Essi non rispondono a istanze democratiche, non sono sospinti da valori etici o bisogni dei popoli, non perseguono l’avanzamento culturale, l’equità distributiva e la partecipazione, ma – in cambio di misere ricompense in denari, onori e carriere – servono i privilegi delle élite finanziarie, quel potere lontano situato in luoghi incorporei.
In Europa, Regno Unito, Germania e Francia sono alla testa di siffatti amici di merende, a loro volta al guinzaglio mobile del sistema corporativo americano, legati tra loro da interessi palesi e occulti, ricatti e corruzione di ogni genere, sotto la campana del neocapitalismo globalista. I politici eletti, è bene ripeterlo, brillano per la loro irrilevanza: del resto, chiunque può ricoprire un’alta carica politica. Per essere ministro non v’è necessità di mostrare cultura, etica, preparazione e attitudine. Ciò che rileva è solo la disponibilità a obbedire al contesto, adeguandosi all’ottimizzazione della funzione estrattiva.
L'Unione Europea è il luogo della selezione funzionariale per eccellenza, alla quale sono preposti individui selezionati per una particolare insignificanza e propensione alla nullità, incaricati di applicare senza fastidiosi interrogativi ogni direttiva che emani dall’Olimpo capitalistico. La sovranità è stata esternalizzata, il governo (che le Costituzioni dei paesi membri vogliono democratico) viene privatizzato, la democrazia è oggi mera rappresentazione formale. Il voto non cambia nulla, essendo pura cosmesi, un prodotto estetico che proietta spettacoli TV mangia-tempo da apprezzare distesi sul divano, dopo cena. La democrazia, per rispecchiare l’essenza del termine, richiede partecipazione e rispetto dei principi costitutivi di una popolazione (la guerra è stata ripudiata decenni orsono dai nostri padri dopo l’immane tragedia dell’ultimo conflitto, ma quell’imperativo categorico è tradito ogni giorno da chi governa).
All’ombra di tali riflessioni, la guerra in Ucraina non è un conflitto geopolitico, ma strumento policromo al servizio del capitale globalizzato. Quest’ultimo vede l’Europa quale terra di saccheggio. Tuttora relativamente ricca di risorse, intende accelerarne la deindustrializzazione, recidendone i legami con la regione euro-asiatica, gonfiando ancor più, se mai ce ne fosse bisogno, il debito dei paesi membri, fabbricando un nemico immaginario per militarizzare un continente che necessita di tanto ma non di ciò, distruggendo la coesione sociale con migrazioni massive, lasciando che il continente sia governato da svalvolati non eletti che intimidiscono i cittadini con guerre, crisi e urgenze prefabbricate.
La distruzione del North Stream non è stata solo un incredibile atto di sabotaggio da parte di un alleato, ma un evento cruciale di ristrutturazione strategica dell’economia europea. Tutto il continente, in particolare la Germania, dipendeva dal gas russo. Contratti energetici a lungo termine, economici e affidabili, consentivano all’industria europea di vivere e prosperare. Con la distruzione del gasdotto è stato bruciato il combustibile che alimentava il sistema. Oggi, l'energia giunge in Europa da fornitori lontani e precari, per lo più americani (pedine di punta della catena delle plusvalenze globaliste) a prezzi quadruplicati. A questo si aggiunge l'uso militare della narrazione sull'energia verde. La transizione verso le rinnovabili non protegge il clima, giustificando lo smantellamento dell'industria pesante, la riduzione della capacità produttiva, l’import di tecnologia e di sistemi digitali ad alta intensità di capitale.
Come rilevato, la seconda funzione della guerra in Ucraina è la militarizzazione. L'Europa (vale a dire i detentori del capitale globale, che sovrintendono alle malefatte di tale Ursula Gertrud Albrecht, coniugata von der Leyen) ha deciso che occorrono centinaia di miliardi di euro per costruire armi ed eserciti per difendere l’Europa! Si tratta invero di creare un'economia di guerra senza guerra: keynesismo militare. Tale massiccia spesa pubblica, concentrata nel settore privato della produzione bellica, richiede un forte ridimensionamento dei servizi sociali, il decadimento delle infrastrutture e dei beni pubblici, mentre i produttori di morte (Raytheon, GE, Boeing, Lockheed Martin, Rheinmetall etc… vedono le loro tasche riempirsi ancor più). In parallelo, la militarizzazione si estende alla sfera civile: media, istruzione, società civile, tutto è sotto sorveglianza, reso conforme a rigidi protocolli di sicurezza. Il dissenso, demonizzato o criminalizzato, è qualificato disinformazione. Il nemico è all’interno: il cittadino che contesta la guerra esprime preoccupazioni populiste. Il collasso economico dell'Europa non è un incidente emerso dalla storia come un fulmine sotto il cielo d’agosto. Esso è frutto di pianificazione consapevole. L'inflazione, i costi dell'energia, la svalutazione della moneta, gli shock della catena di approvvigionamento servono a spazzare via la classe media, espandere la dipendenza dalle piattaforme aziendali, erodere il settore pubblico, creare le condizioni per la centralizzazione digitale dell’economia e della finanza. Le politiche migratorie e identitarie sono volte a generare frammentazione sociale controllata. Le migrazioni di massa non devono favorire l'integrazione, ma devono minare la coesione sociale. Una società frammentata è più agevole da governare. Se i gruppi sociali sono tra loro agguerriti, hanno meno propensione a organizzarsi contro il potere. Chiaro e semplice. L'Europa – in crisi demografica strutturale e infastidita dall’uso della libertà e della critica - precipita verso l’abisso di una crisi permanente, sull'orlo perenne del collasso, che giustifica l’emergenza e la sorveglianza su un popolo sempre più inquieto. La condizione di caos pilotato non costituisce l’evidenza di un fallimento di governance, quanto del suo successo. Tale strategia non intende garantire stabilità e progresso, ma solo ottimizzare profitti e privilegi.
Come sopra adombrato, uno degli obiettivi della guerra in Ucraina è quello di recidere il legame di Russia-Cina con l’Europa. Questa deve restare sottomessa al capitale globalista e americano-centrico, resa schiava dell’ideologia della guerra, della Nato (forse con una minima diversa colorazione, ma sempre bellicosa), dell’indebitamento pubblico cronico, o delle ricette persecutorie del FMI. La prospettiva di recupero della sovranità da parte degli stati-nazione deve essere distrutta per sempre. Asservita a soggetti lontani, possessori di capitali immensi, l’Europa deve convertirsi in un enorme deposito di armi inutilizzabili (perché nessuno vuole l’olocausto nucleare!) prodotte da sistemi iper-indebitati, de-socializzati, promiscui, ma sempre obbedienti a coloro che siedono sulle montagne del capitale globalizzato.
È così che, lentamente, assistiamo al crepuscolo della civiltà europea. Cultura, economia, politica e impianto etico delle nazioni europee vengono svuotati. L'Europa non viene conquistata da eserciti stranieri, ma convertita, in apparenza pacificamente, in un asset economico/finanziario a gestione globalista. Non si tratta di una crisi di leadership, del tutto assente, ma di una rappresentazione teatrale quale riflesso dell’ontologia della mercificazione dell’esistenza umana.
Se taluno pensasse che tali ceti dirigenti stiano fallendo, ebbene sarebbe in errore. Essi sono i vincitori. Questi non sono interessati a costruire un'Europa migliore, ma a svuotarla e poi scartarla. Come un tempo i re regnavano ma non governavano, oggi i governi amministrano ma non governano. E a meno che noi europei si capisca il dramma storico di tale prospettiva, si continueranno a confondere i sintomi con la malattia, a cercare risposte dalle medesime istanze e individui che gestiscono il collasso. Non si tratta di conquistare territori altrui, ma di un conflitto per decidere le fondamenta etiche della nostra società nell'era post-stato-nazione. L'Europa è il banco di prova, il resto del mondo seguirà.
* Ex-diplomatico. Già Ambasciatore d’Italia in Cina (2013-15), Coordinatore del Comitato Governativo Italia-Cina (2007-09), Console Generale d’Italia a Hong Kong (1996-98), Consigliere Commerciale all’Ambasciata d’Italia a Pechino (1991-96), Ambasciatore d’Italia a Teheran (2008-12), attualmente Presidente del Centro Studi sulla Cina Contemporanea (Reggio Emilia, Italia). Alberto Bradanini è autore di diversi saggi e libri, tra cui “Oltre la Grande Muraglia” (2018); “Cina, l’irresistibile ascesa” (2022) e “Lo sguardo di Nenni e le sfide della Cina