Alberto Negri - Sulla Libia solo una grande sceneggiata

1639
Alberto Negri - Sulla Libia solo una grande sceneggiata

 

di Alberto Negri - Il Manifesto

Conferenza di Berlino. La Libia è l’apoteosi dell' ipocrisia occidentale e orientale. Nessuno, né a Est né a Ovest, se ne vuole andare se non con qualche contropartita importante. Come avrebbero detto le nostre mamme, se la fanno sotto.

La Libia è un capitolo particolare della attuale guerra fredda, lo specchio deformante di una politica internazionale che riflette e genera mostri. A Berlino è andata in scena ieri una grande e sanguinosa fiction. Di cui è un frammento reale anche una parte della storia del manifesto. Che trae le sue lontane origini proprio dalla Libia, quando nel 1951 Valentino Parlato fu cacciato a Tripoli dagli inglesi, all’età di vent’anni, a causa della sua militanza comunista quando ormai il Paese africano non era più la nostra «quarta sponda» ma ricadeva sotto il protettorato britannico.

E che cosa ci sarebbe oggi di più comunista e di giusto che chiedere il ritiro delle truppe e dei mercenari stranieri dalla Libia come è stato fatto ieri alla conferenza di Berlino? Sarebbe una seconda o terza decolonizzazione dopo i raid francesi, statunitensia e britannici del 2011 per far fuori Gheddafi. Ma come vanno davvero le cose?

Il ministro tedesco Heiko Maas ha dichiarato a Berlino davanti al segretario di Stato Usa Antony Blinken (atteso a Roma lunedì per la conferenza sull’Isis) e ai russi: «Oggi vogliamo mettere i presupposti per andare avanti nel percorso iniziato, bisogna rendere operativa l’uscita delle forze politiche straniere e che questo deve iniziare ad accadere». «Forze politiche», dice Maas: i militanti jihadisti e i droni di Erdogan in Tripolitania sono forze politiche? Sono forse «forze politiche» gli aerei degli Emirati e i mercenari russi e gli egiziani che supportano Haftar in Cirenaica.

È evidente che in Libia facciamo finta di che cosa stiamo parlando e che in Europa non abbiamo neppure il coraggio di nominare le cose quelle che sono.

Ma che cosa è accaduto davvero a Berlino? Nulla di che. Erdogan resta in Tripolitania, i mercenari russi della Wagner mantengono la loro linea Maginot nella Sirte, insieme al generale Khalifa Haftar, agli Emirati e all’Egitto, che una base in Libia – come del resto anche Mosca – la vorrebbe davvero. Si chiama «profondità strategica» e nessuno vuole concederla a un altro, qui, sulle sponde del Nordafrica, come nel lontano Afghanistan.

La realtà è che in Libia tutto rischia di saltare per gli interessi contrapposti tra i libici e le potenze internazionali. A partire dalla data delle elezioni del 24 dicembre. Le elezioni di dicembre in Libia sono a rischio per il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres, che in un video inviato alla conferenza di Libia ha sollecitato «misure stringenti» per arrivare a questo obiettivo.

Guterres ha invitato in special modo a «chiarire presupposti costituzionali» e a emanare le leggi necessarie per arrivare alle urne. Il segretario dell’Onu ha inoltre ribadito che le truppe straniere debbano lasciare il paese e ha annunciato l’invio di osservatori per assicurare il rispetto della tregua. Sono belle e alate parole quelle del capo del Palazzo di Vetro. Ci crederemmo pure.

Se non ci fossero in gioco le vite dei migranti, dei libici e dei poveri del mondo, la Libia sarebbe un risiko per intrattenere e trastullare le ambizioni di grandi e medie potenze. Invece è una tragedia dove centinaia di migliaia di persone sono detenute in campi di concentramento e lanciate in mare sui barconi. Il presidente americano Biden, insieme ai maggiordomi europei, quando parla di diritti umani è sempre pronto a rivendicarli contro Russia, Bielorussia, Iran e Cina, mai contro i suoi alleati egiziani, israeliani e turchi. Meno che mai per quella Libia dove i rifugiati, trattati come merci, arrivano a frotte dall’Africa del Sahel e più lontano ancora. Eppure gli Usa, dal Medio Oriente all’Africa, hanno bombardato in questi decenni a tutto spiano lasciando stati inceneriti come moncherini e popoli senza futuro.

La conferenza di Berlino sulla Libia è stata l’apoteosi di questa ipocrisia occidentale. Nessuno, né a Est né a Ovest, se ne vuole andare dalla Libia se non con qualche contropartita importante.

Non se ne va Erdogan, premiato adesso dall’Unione europea, con un aumento di contributi (da sei a otto miliardi di euro), come guardiano dei profughi dal Medio Oriente; non se ne va la Russia che ha investito su Haftar ma punterebbe pure su Seif Islam, il figlio di Gheddafi, di cui è stato amico e socio in affari l’attuale premier di Tripoli Dbeibah.

Per non parlare dell’Egitto di Al Sisi che nessuno ha il coraggio di nominare come dittatore e macellaio della gioventù egiziana, come se Regeni e Zaki fossero ormai da archiviare tra gli incidenti della storia.

Fenomenale è poi la scena italo-libica. Il presidente libico Menfi l’altro giorno è venuto a Roma ricevuto per venti minuti da Draghi. Menfi era infuriato perché una Ong italiana ha convocato a Roma un dialogo tra le tribù del Fezzan – zona di grande interesse per la Francia – e ha attaccato non solo la Farnesina, che si è prontamente sfilata, ma soprattutto la ministra degli esteri libica Najla el-Mangoush – in quota Cirenaica – che aveva dato il suo parere favorevole. Vedete bene in che mani siamo.

Alberto Negri

Alberto Negri

Nasce a Milano nel 1956. E' giornalista professionista dal 1982. Laureato in Scienze Politiche, dal 1981 al 1983 è stato ricercatore all'Ispi di Milano. Storico inviato di guerra per il Sole 24 Ore, ha seguito in prima linea, tra le altre, le guerre nei Balcani, Somalia, Afghanistan e Iraq. Tra le sue principali opere: “Il Turbante e la Corona – Iran, trent’anni dopo” (Marco Tropea, 2009) e “l musulmano errante. Storia degli alauiti e dei misteri del Medio Oriente” (Rosenberg & Sellier, marzo 2017) 

ATTENZIONE!

Abbiamo poco tempo per reagire alla dittatura degli algoritmi.
La censura imposta a l'AntiDiplomatico lede un tuo diritto fondamentale.
Rivendica una vera informazione pluralista.
Partecipa alla nostra Lunga Marcia.

oppure effettua una donazione

Potrebbe anche interessarti

La nuova "dissidenza" che indossa orologi svizzeri di Loretta Napoleoni La nuova "dissidenza" che indossa orologi svizzeri

La nuova "dissidenza" che indossa orologi svizzeri

La silenziosa disfatta dell'industria militare francese di Giuseppe Masala La silenziosa disfatta dell'industria militare francese

La silenziosa disfatta dell'industria militare francese

L'impegno della Cina per la pace e lo sviluppo del mondo   Una finestra aperta L'impegno della Cina per la pace e lo sviluppo del mondo

L'impegno della Cina per la pace e lo sviluppo del mondo

I no war secondo l'Intelligenza Artificiale di Google di Francesco Santoianni I no war secondo l'Intelligenza Artificiale di Google

I no war secondo l'Intelligenza Artificiale di Google

Da Delhi alle Americhe: Chi Sono i Nuovi Indiani d'America? di Raffaella Milandri Da Delhi alle Americhe: Chi Sono i Nuovi Indiani d'America?

Da Delhi alle Americhe: Chi Sono i Nuovi Indiani d'America?

Papa "americano"? di Francesco Erspamer  Papa "americano"?

Papa "americano"?

Il 25 aprile e la sovranità di Paolo Desogus Il 25 aprile e la sovranità

Il 25 aprile e la sovranità

Le narrazioni tossiche di un modello in crisi di Geraldina Colotti Le narrazioni tossiche di un modello in crisi

Le narrazioni tossiche di un modello in crisi

Resistenza e Sobrietà di Alessandro Mariani Resistenza e Sobrietà

Resistenza e Sobrietà

La scuola sulla pelle dei precari di Marco Bonsanto La scuola sulla pelle dei precari

La scuola sulla pelle dei precari

Lavoro e vita di Giuseppe Giannini Lavoro e vita

Lavoro e vita

La Festa ai Lavoratori di Gilberto Trombetta La Festa ai Lavoratori

La Festa ai Lavoratori

Sirri Süreyya Önder, la scomparsa di un grande uomo di pace di Michelangelo Severgnini Sirri Süreyya Önder, la scomparsa di un grande uomo di pace

Sirri Süreyya Önder, la scomparsa di un grande uomo di pace

La California verso la secessione dagli Stati Uniti? di Paolo Arigotti La California verso la secessione dagli Stati Uniti?

La California verso la secessione dagli Stati Uniti?

Un sistema da salari da fame che va rovesciato di Giorgio Cremaschi Un sistema da salari da fame che va rovesciato

Un sistema da salari da fame che va rovesciato

Registrati alla nostra newsletter

Iscriviti alla newsletter per ricevere tutti i nostri aggiornamenti