Chi di astensionismo ferisce di oscuramento mediatico perisce

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Chi di astensionismo ferisce di oscuramento mediatico perisce

 

di Federico Giusti

Il dibattito politico si infiamma  attorno al  referendum dell’8 e 9 giugno, il leader di un sindacato rappresentativo (la Cisl) attacca frontalmente la Cgil e il comitato referendario giudicando i quesiti una battaglia di retroguardia che, se vittoriosa, ridurrebbe anche le mensilità di indennizzo ( un assist al contratto a tutele crescenti adducendo la motivazione che non si tornerebbe in ogni caso al reintegro), altri tacciono ma altri ancora invitano apertamente alla astensione (da FdI a Forza Italia) per non raggiungere il quorum e così invalidarne l’esito. 

Non è certo da ora che le tematiche del lavoro, specie se viste dal punto di vista dei salariati, non trovano ascolto e attenzione, a forza di parlare dei diritti umani e civili si è insinuato il dubbio, nei subalterni, che l’insieme dei diritti sociali non siano rilevanti e degni di massima attenzione, oltre a rappresentare i pilastri di una reale democrazia.

Ma prima di accusare la destra di boicottaggio del referendum non sarebbe male rileggersi i giornali degli ultimi decenni e capire che lo strumento dell’astensione è stato adottato a sinistra. E quindi accusare la controparte di atteggiamenti scorretti induce la parte “lesa” a documentarsi sul recente passato ma questa polemica alla fine ci porta lontano senza far comprendere ai cittadini la importanza di questi referendum che potrebbero invece rappresentare una inversione di tendenza affermando, dopo tanti anni, i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici.

È quindi auspicabile non soffermarci al teatrino della politica se astenersi sia illiberale oppure no, se si debba invitare al voto o lasciare libertà di scelta all’elettorato. Abbiamo avuto molti anni nel corso dei quali anche una eventuale riforma delle norme che disciplinano i referendum sarebbe stata possibile ma nulla è stato fatto.

Il sostegno ai quesiti è, almeno per chi scrive, scontato ma nel paese tocchiamo con mano il forte disinteresse dettato anche dai continui voltafaccia di esponenti politici e sindacali. E l’oscurantismo mediatico è solo piccola parte del problema. Quando si parla di lavoro è scontata la divisione interna alle forze politiche specie quelle più grandi, perfino il Partito democratico, che il jobs act volle fortissimamente quando alla segreteria sedeva Matteo Renzi, alla fine si è spaccato, la cosiddetta ala Riformista ha già detto di non concordare con i quesiti affidando a qualche suo esponente l’ingrato compito di rompere la ritrovata unità del partito. Ma in fondo i cosiddetti riformisti o miglioristi sono sempre stati presenti nella sinistra, erano anche dentro il Pci e nel 1985 giocarono un ruolo a dir poco regressivo nel referendum sul ripristino dei punti di scala mobile.

Ben più grave e pericoloso per la democrazia dell’invito alla astensione resta la incapacità di mobilitare le piazze contro il decreto sicurezza ma anche in questo caso basta andare indietro di qualche anno per capire che è proprio il centro sinistra il padre, o la madre, della deriva securitaria. E diventa insopportabile subire una lezione di storia dal quotidiano Il Tempo che ricorda il boicottaggio, nel 2016, della più alta carica dello Stato, ossia l’allora Presidente della Repubblica Napolitano che invitò alla astensione di quel Referendum (osteggiato dal Pd) promosso dalle Regioni sulla estrazione di idrocarburi (ricordiamoci al contempo delle spinte nucleariste interne al Pc degli anni Ottanta del secolo scorso)

E per ricorrere a una metafora calcistica, ancora una volta si gioca in campo avverso ma con schemi destinati alla nostra sconfitta, la pochezza degli argomenti spinge a cercare la rissa su questioni irrisorie evitando invece di alimentare la discussione e il conflitto attorno alle questioni dirimenti. Per favorire la partecipazione al voto serve parlare con i cittadini, nei quartieri e nei luoghi di lavoro, spiegare con parole semplici i vantaggi e gli svantaggi per i giovani e la classe lavoratrice, non serve invocare la Costituzione o la democrazia, urge invece andare al sodo delle questioni e magari bloccare qualche sito produttivo.

Dieci anni di jobs act hanno permesso ai padroni di accrescere i loro profitti mentre il nostro potere contrattuale e di acquisto scendevano ai minimi termini. Se i padroni sono più forti e hanno piena libertà di licenziamento nei luoghi di lavoro sarà difficile avanzare rivendicazioni migliorative.

Ma per sostenere tesi del genere bisogna avere la coscienza a posto e la disponibilità ad alimentare il conflitto sociale che invece viene visto con sospetto perché potrebbe nuocere un giorno ad un eventuale governo del centro sinistra. E non è possibile agganciarsi alla solita e vecchia retorica in difesa della Costituzione visto che la stessa, all’ articolo 75, prevede un quorum nei referendum abrogativi per scongiurare che una minoranza nel paese possa cancellare qualche legge votata dalla maggioranza parlamentare.  Quanto poi al dovere civico bisognerebbe chiedersi perché in Italia, come in molti altri paesi a capitalismo avanzato, alle urne si rechi la metà, e anche meno, degli aventi diritto, il crollo vertiginoso dei votanti dovrebbe indurre a qualche riflessione sul ruolo della politica e dei corpi intermedi ma anche sulla credibilità effettiva dei partiti e delle coalizioni.

Non vogliamo dilungarci ulteriormente sulla norma costituzionale e sul fantomatico principio della “correttezza costituzionale” in un paese nel quale i Presidenti della Repubblica non hanno mosso un dito contro i pacchetti sicurezza via via approvati.

Questa stucchevole discussione non fa che portare acqua al mulino del Governo che dopo tante dichiarazioni ha lasciato la Fornero al suo pasto e praticamente intatta, ha assunto le posizioni di Draghi sulla decontribuzione, presenta contratti nazionali nella PA con aumenti pari a un terzo della inflazione, ha cercato sponda nelle posizioni sindacali più arrendevoli, in politica estera è prona ai voleri Usa.

Di argomenti per supportare il Referendum ve ne sarebbero fin troppi e c’è solo l’imbarazzo della scelta; tuttavia, una decisione del genere costringerebbe la sinistra ad operare scelte importanti assumendosi impegni reali a tutela del lavoro e dei diritti sociali. Ed è per questa ragione che assistiamo all’ignobile teatrino delle  cosiddette responsabilità istituzionali giusto per non affrontare le scomode tematiche oggetto dei quesiti referendari e assumere posizioni che un domani, qualora dovessero salire al Governo, potrebbero rimpiangere perché troppo favorevoli ai salariati.

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