Conferenza sulla "ricostruzione" dell’Ucraina: come peserà su noi contribuenti

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Conferenza sulla "ricostruzione" dell’Ucraina: come peserà su noi contribuenti


di Alberto Fazolo

A Roma si è appena conclusa la conferenza sulla ricostruzione dell’Ucraina, sarebbe tanto facile quanto sbagliato liquidarla come una farsa, invece è di estrema importanza perché riguarda tutti noi e le nostre tasche.

Fare una conferenza sulla ricostruzione a combattimenti ancora in pieno svolgimento è farsesco: se non si sa cosa e quanto sarà distrutto, non si può progettarne la ricostruzione.

Sicuramente è altrettanto farsesca la rappresentazione geografica che viene proposta dell’ex-Ucraina: l’intervento sarebbe orientato sui territori del 2013, comprendendo quindi anche il Donbass e la Crimea che ormai sono Russia (non in seguito all’intervento militare, ma per autodeterminazione). Nella spartizione delle aree d’intervento per la ricostruzione, all’Italia è toccato proprio un pezzo di Donbass. Appurato che l’Italia non manderà soldi in Russia, cosa succederà? Semplicemente che gli interventi di ricostruzione non ci saranno. Questo potrebbe voler dire che risparmieremo i soldi, ma è meglio non farsi illusioni. Altre esperienze (come il ponte sullo Stretto di Messina) ci insegnano che i soldi si spendono anche senza aprire i cantieri, potrebbe partire una pioggia di incarichi speciali, studi di fattibilità, consulenze e simili con cui spariranno vagonate di nostri soldi.

Un altro aspetto controverso è che questa conferenza per la ricostruzione avviene in contemporanea con l’invio di armi. Cioè, gli diamo le armi per distruggere, ma poi anche i mezzi per ricostruire. Può apparire contraddittorio, ma in un’ottica keynesiana ha una sua logica: si avvia un ciclo economico che può produrre ricchezza. Si tratta di una logica consumistica che però distrugge vite umane e non solo capitale.

Tuttavia non si deve pensare che questa conferenza per la ricostruzione sia limitata alla ipotetica riparazione delle infrastrutture, una delle questione più appetitose per gli imprenditori è quella relativa al trasferimento di know-how. Cioè, imprese italiane fornirebbero informazioni, competenze e tecnologia alle imprese ucraine. Ovviamente le imprese italiane non lo farebbero a titolo gratuito, ma dietro un pagamento che verrebbe effettuato invece che dalle imprese ucraine, dal Governo italiano. Con i soldi degli italiani. Il fatto di usare i nostri soldi non è la cosa più grave, l’aspetto peggiore è che questo trasferimento potrebbe tradursi in una delocalizzazione in Ucraina: c’è il rischio che il Governo usi i soldi dei lavoratori italiani per aiutare le imprese italiane a chiudere le fabbriche in Italia e riaprirle in Ucraina.

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