Due articoli del NYT forniscono (involontariamente) il livello del dispotismo del neoliberismo

Due articoli del NYT forniscono (involontariamente) il livello del dispotismo del neoliberismo

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Il neoliberismo è così egemonico da permettersi la trasparenza; o piuttosto il fatto è che miliardari e multinazionali, e i loro cortigiani e cortigiane, sanno perfettamente che i loro «nuovi» media e le loro «nuove» tecnologie (l’aggettivo è essenziale perché questi media e queste tecnologie vengono seguiti e usate solo perché di moda, non perché migliorino la società o le persone) hanno reso la gente indifferente a tutto e così ignorante e superficiale da non capire ciò che avviene e neppure ciò che le viene detto. Come esempio porto due recentissimi articoli del “New York Times”.

Uno di ieri su una professoressa della Università della Pennsylvania che il giornale vuole licenziata per aver detto che secondo lei i neri sono di media meno intelligenti dei bianchi; il che proprio non so come si possa stabilire (a meno che non si ricorra a quell’americanata degli «intelligence tests») ma il punto non è questo; il punto è che lo stesso “New York Times” approva e promuove sanzioni e guerre (calde o fredde che siano) contro i paesi in cui non venga assicurata la libertà di espressione. Del resto tutti gli americani, trumpisti o bideniani che siano, sono fieri del loro primo emendamento, che appunto proclama «la libertà di parola e di stampa»; il che però non significa affatto che questa venga protetta concretamente, se non impedendo al governo di fare leggi che la limitino: in sostanza è un ennesimo attacco, liberista ante litteram, all’autorità dello Stato, mentre ai privati si concede di fare ciò che gli pare, incluso licenziare in tronco chi osi dissentire o parlare in modo politicamente incorretto. Ve lo racconto perché è quello a cui mira il Pd dell’americana

Schlein (ma anche la Lega di Salvini o i Fratelli di Meloni): pesanti limitazioni al potere pubblico, totale anarchia a livello privato.

Del tutto coerente un editoriale di domenica scorsa dello stesso “New York Times”, in cui si citava con approvazione un discorso del segretario di stato Antony Blinken in cui si lamentava del fatto che gli Stati Uniti non facciano abbastanza per «persuadere o obbligare la Cina ad attenersi alle regole americane». Più chiaro di così: le regole americane sono le regole di tutti e chi non le rispetta è antidemocratico e probabilmente terrorista. E poco più avanti: «Vogliamo essere sicuri di poterli superare per garantirci il controllo dei cuori e delle menti a livello planetario». Il pensiero unico come esplicito obiettivo e la manipolazione mediatica come legittimo mezzo per raggiungerlo. In sostanza, la libertà esiste finché è la libertà corretta.

Questo non è fascismo perché il fascismo era nazionale e statalista; questo è un totalitarismo globale e chiunque non provi a resistergli con il cuore e con la mente ne è complice e non potrà, un giorno, fingersi innocente o ignaro. Abbiamo i mezzi per prendere coscienza e chi non lo fa è perché gli piace sentirsi (anche se poi magari non lo è affatto) un vincente anche lui.

Francesco Erspamer

Francesco Erspamer

 

Professore di studi italiani e romanzi a Harvard; in precedenza ha insegnato alla II Università di Roma e alla New York University, e come visiting professor alla Arizona State University, alla University of Toronto, a UCLA, a Johns Hopkins e a McGill

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