Gaza. Tre bambini fatti a pezzi da Israele

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Gaza. Tre bambini fatti a pezzi da Israele

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La notizia che tra Israele e Gaza, con la mediazione dell’Egitto, fosse stato raggiunto il cessate il fuoco non ha quasi fatto in tempo ad essere stampata che un’azione mostruosa commessa da Israele potrebbe averla resa nulla.


La tregua firmata ieri dalla Jihad, decisione che ha creato qualche perplessità in quanto l’accordo è stato firmato da un movimento politico e non dai rappresentanti dell’autorità che governa Gaza, oggi forse si può considerare rotta. I rappresentanti della Jihad, infatti, avevano pubblicamente affermato che “il cessate il fuoco verrà rispettato finché Israele lo rispetterà” e Israele questa sera, prima ancora che arrivasse la notte non lo ha rispettato, uccidendo tre bambini.


Tre bambini di circa 12 anni che avevano tentato un’avventura folle. Una cosa di quelle che se fosse riuscita li avrebbe fatti sentire degli eroi partigiani degni di essere ricordati e onorati, il giorno in cui Gaza sarà finalmente libera, magari da un grande regista che avrebbe dedicato loro un film, un po’ come Tarkovskji con il pluripremiato “L’infanzia di Ivan”. Il paragone non è azzardato perché una serie di circostanze sono simili. Ivan era un bambino di 12 anni nell’Europa tormentata dalla Seconda guerra mondiale e aveva perso i genitori per mano del nazismo.


Khaled, Abdul e Mohammed, i tre bambini che hanno tentato l’avventura mortale, non sappiamo ancora se fossero anch’essi orfani come Ivan, ma sappiamo, per triste esperienza, che sicuramente nelle loro case erano appese foto di fratelli o genitori o altri parenti martiri. Perché non c’è famiglia a Gaza che non abbia almeno un martire e spesso molti di più.


Ivan decise di combattere contro gli invasori nazisti e Khaled, Abdul e Mohammed decidono di mostrare che saranno capaci di rompere l’assedio imposto dagli invasori della loro terra.


I tre ragazzini vivevano nella stessa area, Wadi al Salqa, un luogo dove la mancanza di depuratori e le acque reflue rendono l’aria irrespirabile. Dove avranno concepito la loro idea di rompere l’assedio? Magari tornando insieme da scuola, oppure seduti sulla sabbia di fronte a quel mare che Israele blocca col suo assedio! Quali discorsi avranno dato loro il coraggio di affrontare un nemico tanto forte pensando di non essere scoperti? Come Ivan, che non accetta di essere protetto ma vuole stare in prima linea ritenendo che solo i vigliacchi si fanno indietro, anche loro hanno voluto affrontare il nemico mostrando che se l’assedio non lo rompe il Diritto internazionale, sempre accondiscendente verso Israele, lo avrebbero rotto loro, piccoli, avventurosi e determinati. Ma come Ivan sarebbero stati fermati dal nemico.


Loro però non hanno trovato davanti a sé un nemico che li avrebbe arrestati, giudicati - sebbene sommariamente - e poi condannati a morte con la crudeltà di cui la guerra in generale e il nazismo in particolare erano capaci.

No, Khaled, Abdul e Mohammed non hanno avuto davanti a sé soldati che li hanno catturati e portati davanti a un tribunale, Israele in questo ha superato di gran lunga le aberrazioni naziste. Israele purtroppo, come ammettono con dolore anche i pochi israeliani sinceramente democratici, non rispetta in nessun modo i diritti dei palestinesi, li fucila come e quando vuole senza che nessuna sanzione delle Nazioni unite fermi i suoi crimini. Israele si pone al di sopra di ogni norma del Diritto internazionale e somministra, quando vuole, la pena di morte ai palestinesi di ogni età senza arresto, senza istruttoria, senza processo, ponendosi fuori da ogni fondamento democratico, anche solo formale, col plauso del 90% dei suoi cittadini ebrei.


I tre piccoli amici di Wadi al Salqa, intercettati mentre cercavano di rompere l’assedio illegale mantenuto grazie alle complicità internazionali, non sono stati fermati, restituiti ai propri genitori in quanto minori o magari arrestati, no, l’aviazione israeliana si è occupata del caso centrandoli e uccidendoli. PENA DI MORTE SENZA PROCESSO. I loro corpi sono stati smembrati dalle bombe e le ambulanze della Mezzaluna Rossa non sono state fatte passare per soccorrerli. Vietato soccorrere i feriti, se questi sono palestinesi! Solo più tardi, quando Israele ha deciso che poteva disfarsi di quei piccoli corpi smembrati, li ha consegnati alla Mezzaluna Rossa.


Tre vite fatte a pezzi perché sognavano di poter raggiungere la libertà che i loro padri e fratelli non avevano raggiunto. Se su quei pezzi ci si mettesse la faccia dei nostri figli o dei nostri fratelli sarebbe più facile capire cosa significa il diritto all’odio per chi quel figlio o quel fratello lo ha perso e, insieme, il dovere collettivo all’odio verso l’ingiustizia mai sanzionata che perpetua questi.crimini.  
I media mainstream parleranno di quest’ennesimo crimine? E se sì “come” ne parleranno? Probabilmente mettendo l’accento sul fatto che i bambini volevano creare una breccia nel muro che li assedia e quindi sono colpevoli della loro stessa fine. Lo diranno con più o meno garbo, ma questo sarà il loro dire perché su una cosa Israele è stato veramente fantastico, nel far dimenticare i suoi torti e le sue colpe primarie, per cui si toglierà l’accento dalla disumanità e dall’illegalità dell’assedio e si darà la colpa ai bambini che volevano creare un varco o, meglio ancora, ai loro genitori, colpevoli di non averli tenuti in casa. In questo modo non si percepirà a pieno la gravità del pluriomicidio, né tantomeno quella dell’assedio e quindi non si sentirà quell’odio contro l’ingiustizia che è l’unico antidoto al suo perpetuarsi impunemente.


Non vale soltanto per i crimini commessi da Israele contro i palestinesi, è un discorso che riguarda l’universo, ma Israele è il paradigma dell’ingiustizia tollerata e legalizzata e basta guardare con lenti oneste le sua storia su terra Palestinese per rendersene conto. Questi ultimi tre bambini che sognavano di dare un esempio per conquistare la libertà saranno probabilmente gettati dai media nel calderone dei “terroristi” lasciando che il mostro prosegua nelle sue stragi indisturbato.

Patrizia Cecconi


Betlemme 28 ottobre 2018

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