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Huntington, Zelensky e lo "scontro di civiltà"
di Angelo D'Orsi - Fatto Quotidiano, 6 gennaio 2023
Trent’anni fa, nel 1993, Samuel P. Huntington, eminente scienziato politico dell’Università di Harvard, pubblicò un saggio sulla semi-ufficiale rivista Foreign Affairs: ampliato, il testo divenne tre anni dopo un libro che ebbe enorme audience internazionale, tra i conservatori, di cui Huntington era un ispiratore e portavoce, e tra coloro che si schieravano sulla sponda opposta, cogliendo i pericoli che l’applicazione delle tesi del politologo avrebbe prodotto.
Era uno scenario di guerra dei mondi, che si affacciava nelle pagine di The clash of civilizations, and the remaking of world order, ossia, nella più efficace versione italiana, Lo scontro di civiltà e il nuovo ordine mondiale (Garzanti, 1997). Huntington era mosso dalla preoccupazione per la situazione mondiale dopo “il crollo”. Guardava lontano, il politologo, esprimendo il timore che l’unipolarismo, a dominio nordamericano, succeduto al bipolarismo, potesse essere sostituito da un oligopolio, ossia una deprecabile (per lui) condivisione di quella leadership con potenze regionali, che manifestavano la volontà di diventare potenze globali. I suoi timori particolari andavano in due direzioni: la Cina, forte della sua popolazione, ma anche delle capacità economiche e, sull’altro fronte, il mondo dell’Islam. Più in generale lo studioso esprimeva disgusto per la possibile mescolanza di etnie, culture, religioni, che avrebbero finito per contaminare il mondo della cultura bianca, anglofona, protestante (i famosi Wasp). L’eco straordinaria delle tesi di Huntington finì per andare oltre gli stessi intendimenti dell’autore. Riprese, rilanciate, amplificate, banalizzate, quelle idee diventarono popolari in Occidente, suscitando a loro volta paure nei mondi altri, quelli che non si riconoscevano nel neoliberismo, nel concetto di supremazia bianca, cristiana, e nell’ubbidienza a Washington.
La Russia allora non dava preoccupazioni: Boris Eltc’in l’aveva praticamente regalata agli Usa e al mondo delle banche e degli affari e del malaffare. Morto, o giudicato tale, il comunismo, fallita l’Unione Sovietica, messa in condizione di non nuocere la Russia, all’Occidente occorreva un nuovo nemico: l’islamismo, innanzi tutto, che peraltro con il crescere delle correnti radicali forniva una sponda. La presidenza di G. W. Bush sembrò tradurre sul piano militare le tesi del politologo di Harvard. Ma intanto il concetto di nemico si dilatava, applicando quasi alla lettera l’idea di un gigantesco scontro globale che evocava, alle spalle di Huntington, le sinistre profezie di Carl Schmitt: era la guerra dei mondi. Occidente contro Oriente, il Bene e il Male, la Civiltà e la Barbarie, la quale di volta in volta era identificata con i residui di socialismo (Jugoslavia di Milosevic), con il socialismo di Stato della Cina, con il mondo arabo, con l’Islamismo in generale. E un po’ alla volta, anche con la Russia che, intanto, proprio con Putin, cominciò a ridiventare un attore globale. La guerra in Ucraina, nella propaganda occidentale, è l’ultima espressione della tesi di Huntington. In un recente intervento nell’inutile agorà del Parlamento Ue, la improbabile presidente, la maltese Mesola, ha glorificato i combattenti ucraini che difendono “i valori occidentali”.
A sua volta, alla fine dell’anno, in un discorso al Parlamento di Kiev, Zelensky ha affermato che l’Ucraina ha “aiutato tutti” e rafforzato l’unità della Ue. “Abbiamo aiutato l’Occidente a ritrovare sé stesso, a tornare nell’arena globale e a rendersi conto di quanto l’Occidente si stia affermando”, ha continuato l’uomo dalla maglietta verde e i bicipiti in vista. E ha sentenziato: “Nessuno in Occidente ha paura della Russia, né avrà più paura”. Ritengo invece che si debba avere paura, anzitutto di Zelensky e dei suoi mandanti: con questi leader irresponsabili, che invocano guerra a oltranza, la prosecuzione della specie umana, e della vita sulla terra, è a rischio. Se non ci penserà il climate change, ci penseranno i nipotini di Huntington.