I Brics dinanzi la sfida della deglobalizzazione
di Loretta Napoleoni per l'AntiDiplomatico
Piu’ di venti anni fa’ veniva coniata la sigla BRICS, ai tempi si riferiva a Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa. Cosa accomunava questi paesi? Erano tutti emergenti e facevano i primi passi nel mondo globalizzato. Non da protagonisti, si badi bene, ma da apprendisti. Osservavano il funzionamento delle economie ricche, lo studiavano e portavano avanti riforme per modernizzare le proprie nazioni.
Nel 2001, i Paesi fondatori dei BRICS rappresentavano meno dell’8% del PIL globale. Oggi quel dato è salito al 32%, superando per la prima volta il G7, fermo al 29%. Ma non basta. Non si tratta piu’ di un gruppo ristretto: da cinque membri originari i BRICS sono passati a nove nel 2024, con l’ingresso di Egitto, Etiopia, Iran e Emirati Arabi Uniti. Alle sue porte premono decine di altri Paesi pronti ad aderire. Il blocco non solo cresce, ma si espande strategicamente, includendo economie chiave in Africa, Medio Oriente e Asia.
I BRICS hanno anche lavorato alla costruzione di un sistema finanziario che agevoli i rapporti tra stati membri. La New Development Bank, ad esempio, ha già finanziato oltre cento progetti infrastrutturali in tutto il mondo, spesso in valute locali, aggirando la dipendenza dal dollaro. Questo per molti è forse il passaggio più rivoluzionario, di cui si parla da un paio di anni: l’idea che si possa commerciare, investire e crescere senza usare il dollaro e quindi passare per Wall Street o per il sistema SWIFT. Ma non e’ cosi’, l’unicità dei BRICS nasce dalla loro diversità, si tratta di economie diverse, che marciano a ritmi diversi, a volte complementari ma mai omogenee come quelle, ad esempio, europee.
Di strada, insomma, i BRICS, ne hanno fatta davvero molta.
La domanda da porsi oggi è pero’ legata al loro futuro in un mondo che si deglobalizza. E’ chiaro che l’apprendistato dei BRICS ha dato grossi frutti, il modello di cooperazione ed interscambio ha funzionato benissimo. Ma adesso che il ricco occidente ha deciso di abbracciare il protezionismo, potranno i BRICS resistere ed offrire un modello di cooperazione alternativo a quello tradizionale occidentale?
L’ultima minaccia arriva dagli Stati Uniti: dazi del 10% su tutte le importazioni da Paesi “filo?BRICS”, rientra in queste misure di chiusura. Che poi sia un’arma a doppio taglio, che costerà fino a 56 miliardi di dollari all’anno a consumatori e imprese statunitensi, importa poco. Cio’ che davvero conta è l’inversione di marcia occidentale lungo l’autostrada della globalizzazione, una manovra pericolosissima che Washington sta facendo per timore di perdere la propria centralità, un primato che, paradossalmente, la globalizzazione nella sua fase “matura” sta erodendo.
I BRICS invece marciano con l’acceleratore a tavoletta su questa autostrada. Nei corridoi energetici tra Russia e India, nei progetti infrastrutturali tra Cina e Africa, nei nuovi accordi monetari tra Brasile e Iran, un mondo parallelo sta prendendo forma, un mondo dove la sovranità non è subordinata a una moneta singola o a un indice di borsa.
È un mondo anche politicamente diverso da quello occidentale, dove la voce del popolo è filtrata da canali diversi da quelli delle democrazie occidentali, si pensi al sistema di comunicazione tra la base popolare ed i vertici del partito comunista, la piramide del popolo che inizia nei condomini, nei comitati di quartiere; o alla repubblica federale del Brasile.
A questo punto è chiaro che i BRICS non sono piu’ apprendisti ma stanno diventando dei protagonisti. Perche’? perche’ offrono un modello economico e politico diverso da quello occidentale. Sono anche nazioni ricche di risorse naturali, si pensi alla Russia ed al Brasile ma anche ai paesi del golfo, e quindi non hanno gli stessi problemi di approvvigionamento del Vecchio Continente.
Il modello dei BRICS piace alle economie emergenti, al cosiddetto sud del mondo, economie che desiderano sganciarsi dalla dipendenza dai mercati occidentali. Ed è questa la minaccia piu’ seria per l’occidente: che dopo l’inversione di marcia il blocco dei paesi ricchi si ritrovi a marciare contromano e da solo.