Il grande "scoop"-bufala del Corriere sula Siria che scrive «Assad ci liberò. E nacque l’Isis»

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di Francesco Santoianni

Davvero un incredibile “scoop” quello realizzato dal Corriere della Sera.  

Introdotto dall’accusa al regime di Assad di “acquistare sottobanco greggio dall’Isis, con l’aiuto di uomini d’affari e intermediari russi”, continua giù per la china dando la parola a tale Tarek Khaldi,  già “noto esponente del campo jihadista siriano” il quale oggi –  evidentemente redento – vive tranquillamente in un paesino della Germania meridionale dove le autorità gli fanno “dirigere un centro islamico”. Una evangelica prova di fiducia considerando che appena “un anno fa, ha deciso di lasciare la militanza di guerrigliero nella zona di Homs”. Ma prima di arrivare al clou dell’intervista, forse vale la pena di soffermarsi su alcune dichiarazioni del buon Tarek Khaldi:

“Per quello che so (Padre Dall’Oglio) venne ucciso in modo cruento quasi subito, al suo arrivo. Eliminato perché cristiano. Se non ricordo male, il suo assassino si chiama Abu Walid al Ezza. I suoi vestiti insanguinati per mesi rimasero nelle mani di un certo Abu Owaled, che poi morì per una faida interna. Il governo di Damasco offrì un milione di dollari per averli. Ma la trattativa non è mai andata in porto”.

Un milione di dollari per avere dei vestiti insanguinati? Si badi bene: non la salma, ma dei vestiti insanguinati che non avrebbero attestato alcunché. E che se ne faceva Assad di una così costosa reliquia?  Forse sarebbe stato opportuno per un giornalista porsi questa domanda (e valutare, anche, le numerose testimonianze che danno oggi per vivo Padre Dall’Oglio) prima di pubblicare le panzane  di Tarek Khaldi. E, magari, visto che c’era, poteva pure verificare altre le sue dichiarazioni. Come la sua detenzione nel carcere siriano di Sednaya “relegato sotto terra in una sorta di cella-bara” dove, comunque, incontrava “noti esponenti di Al Qaeda” e, sopratutto “Abu Musa Abu Al Julani, che poi fonderà il gruppo qaedista Al Nusra”.

In verità la presenza a Sednaya di Abu Musa Abu Al Julani (alias Abu Muhammad al-Jawlani) non trova alcun riscontro né nel principale libro-inchiesta sugli orrori di questa prigione, né in pur numerose inchieste giornalistiche degne di questo nome e neanche in Wikipedia (qui la voce nell’edizione italiana, e quella, molto più completa, nell’edizione inglese). L’unica “fonte” che l’attesterebbe resta un articolo scritto, nel gennaio 2014,  da Phil Sands, Justin Vela e Suha Maayeh, grazie ad “informazioni” fornite ad essi (per loro stessa ammissione) dai servizi segreti turchi. Un articolo che, ripreso da non pochi  media ha dato la stura alla leggenda dell’”ISIS creato da Assad” e che Sibialiria ha provato a smascherare.

 Ma, visto che ci siamo e considerato che Abu Musa Abu Al Julani – al pari del suo degno compare Abu Bakr Al Baghdadi, uno dei fondatori dell’Isis – è stato scarcerato non già dal carcere siriano di Sednaya, bensì da quello gestito dagli USA a Camp Bucca in Iraq, ci sarebbe da domandarsi perché gli USA hanno scarcerato certa gente. I “soliti errori della burocrazia”, come sentenzia un’altra Grande Penna del “giornalismo” italiano? O le ragioni sono altre? Ad esempio le stesse che hanno portato alla scarcerazione da Guantanamo dell’efferato Sufyan bin Qumu, diventato poi uno dei “condottieri” della “rivolta” contro Gheddafi?

Non sembrerebbe chiederselo il candido giornalista del Corriere della Sera, tutto intento a bersi le rivelazioni di Tarek Khaldi. Tra le quali la presenza nella prigione di Sednaya di “un tizio sospettato di aver contribuito agli attentati dell’11 settembre 2001 negli Stati Uniti.”

Il prossimo scoop del Corriere della Sera sarà, quindi, l’intervista che svela la responsabilità di Assad nell’11 settembre? Speriamo di no. Anche perché, se la fiorente comunità di foreign fighter ospitati in Europa si accorge della presenza di tali giornalisti, ci sarà pure l’intervista al tenutario delle “armi di distruzioni di massa di Saddam”. E, magari, pure al pugnalatore di Giulio Cesare. Ovviamente, su incarico di Assad.

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