Il pivot to Asia trumpiano

La guerra commerciale contro la Repubblica Popolare di Cina preannuncia l’apertura di un nuovo fronte caldo della Terza Guerra Mondiale a pezzi, quello sul Pacifico.

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Il pivot to Asia trumpiano

 

di Alex Marsaglia

 

Il Presidente americano Trump è tornato la notte scorsa negli Stati Uniti dopo un lungo viaggio in Asia che ha toccato i principali Paesi alleati, nonché gli hub energetici e competitor globali. L’itinerario del viaggio ha visto alternarsi la Malesia, poi la visita in Giappone e infine in Corea del Sud dove ha avuto sede il tanto atteso incontro con il Presidente cinese Xi per la definizione dei dazi dopo le continue proroghe e rilanci dei mesi scorsi.

Che l’umore fosse completamente diverso rispetto al precedente incontro col Presidente cinese svoltosi durante il primo mandato di Trump si è intuito sin dai primi colpi sparati dalla Corea del Nord per dare il benvenuto al Presidente americano: la scorsa settimana Kim Jong Un ha infatti ripreso i test di missili balistici a corto raggio, proprio in vista del viaggio. Poi l’arrivo di Trump a Kuala Lumpur, dove ha promosso la sua immagine spingendo sulla retorica del “leader di pace”, con la firma all’accordo tra Cambogia e Thailandia. In realtà, il vero obiettivo di Trump che ha fatto da fil rouge a tutto il viaggio è stato quello di cercare ulteriore approvvigionamento di materie prime, per ridurre la dipendenza dalla Cina e perorare la causa dei dazi al petrolio russo nel tentativo disperato di spaccare la solida alleanza sino-russa. Ebbene, dopo le consuete frasi di rito sulla mutua cooperazione con la garanzia della Malesia nel mantenere il commercio e gli investimenti nelle terre rare “il più liberi e resilienti possibili” sono state stabilizzate le tariffe reciproche a oltre il 20% (vedi resoconto qui: https://www.whitehouse.gov/briefings-statements/2025/10/agreement-between-the-united-states-of-america-and-malaysia-on-reciprocal-trade/). Peccato che non appena l’Air Force One di Trump è decollato da Kuala Lumpur la Malesia abbia inoltrato la richiesta ufficiale per diventare membro effettivo del BRICS+, uscendo dallo stato attuale di Stato associato, con tutto ciò che ne comporta in termini di partnership economica finanziaria nello scacchiere geopolitico mondiale. Nella successiva tappa giapponese Trump ha rilanciato la propaganda su “l’età dell’oro”, fornendo così speranza all’alleato regionale che arranca economicamente da ormai un trentennio, con dati economici e demografici molto simili a quelli italiani e che difficilmente permetteranno al Giappone di restare una valida testa di ponte dell’imperialismo americano ancora a lungo. Il dialogo è stato comunque più rispettoso di quello avvenuto con i servi europei, poiché Trump ha ringraziato per gli “investimenti” (sic!, adesso non si chiamano più spese) militari fatti dal Giappone in armi americane e ha perorato la causa dell’interruzione dell’import di energia russa. Una richiesta rispedita al mittente dalla premier Sanae Takaichi che ha affermato che “vietare le importazioni di gas naturale russo sarebbe molto difficile” (https://moderndiplomacy.eu/2025/10/29/japan-says-no-to-u-s-push-to-ban-russian-lng-imports/). Raccolto l’ennesimo schiaffo in faccia, Trump si è poi spostato in Corea del Sud, sede dell’incontro programmato con Xi, per definire i livelli di dazi dopo le proroghe degli scorsi mesi.

Ebbene, abbiamo visto nelle scorse settimane il solito crescendo di tensioni che ha preceduto le scadenze. Anche questa volta le due più grandi economie mondiali per volume di affari hanno minacciato livelli tariffari elevatissimi, rilanciando dazi del 100% e oltre. La scadenza dell’accordo di Stoccolma ha imposto nuove trattative, precedute dalle sparate e minacce americane che con l’avvicinarsi della data dell’incontro si sono ampiamente ridimensionate, essenzialmente per via del potere cinese sulle terre rare. Infatti, come in ogni trattativa che si rispetti conta molto avere una posizione di forza che in questo caso pende a favore della Cina, poiché possiede un asso nella manica che costringe la controparte americana a trattare da una posizione di debolezza. E trattare da una posizione di debolezza non è mai un bene, poiché spesso porta a sacrificare gran parte dei propri interessi, nonostante l’atteggiamento trumpiano abbia lasciato trasparire sicurezza. Un esempio di questo lo troviamo nelle dinamiche sui dazi americani seguite dall’Unione Europea che era partita lo scorso Aprile con tariffe doganali inferiori rispetto alla Cina e che ad Agosto ha accettato tariffe del 15%, persino maggiori a quelle del 10% in vigore fino a ieri con la Cina. Viceversa la Cina, per le sue maggiori capacità di contrattazione, basate sulla maggior autonomia economica, non ha mai lasciato si applicassero i dazi al 67% inizialmente annunciati da Trump. Nemmeno il livello minimo del 34% è mai entrato in vigore in tutti questi mesi di minacce americane e proroghe, con dei dazi effettivi del 10% dunque più bassi rispetto a quelli dell’alleato europeo. Ma un nemico resta pur sempre un nemico e l’imperialismo americano ha nel mirino la Repubblica Popolare cinese dai tempi del primo pivot to Asia definito dalla più aggressiva presidenza americana dalla caduta del Muro di Berlino, cioè quella Obama. Ebbene, nonostante tutte le proroghe e il potere economico messo in campo dalla Cina, i dazi medi americani sulle merci cinesi a partire dal 1° novembre schizzeranno ad oltre il 40%. Le restrizioni cinesi sulle terre rare pare siano state prorogate, ma da quel che emerge dal 15° Piano Quinquennale (2026-2030) della Repubblica Popolare cinese ci si aspetta una lunga fase di scontro economico, commerciale e militare con l’imperialismo statunitense: le parole chiave messe in campo nella sessione plenaria del XX Comitato Centrale del Partito Comunista sono “autosufficienza”, “circolazione interna” e “nuove forze produttive”. Siamo insomma di fronte alla definizione di un orizzonte di politica economica pienamente autonoma ed autocentrata, in grado di rendere la Cina indipendente in questa burrascosa fase internazionale fatta di regressione al protezionismo e aggressioni militari. L’analisi marxista che da sempre guida la Repubblica Popolare però non prescinde mai dall’analisi militare del nemico imperialista. Infatti, Xi è da tre anni che continua ad avvisare l’Esercito Popolare di Liberazione di prepararsi alla guerra e allo scontro diretto.

L’ordine mondiale definito dalla globalizzazione sta definitivamente tramontando sotto alle ondate di protezionismo trumpiane, scivolando sempre più in una guerra commerciale aperta con quello che è un nemico ideologico. Nel XX secolo l’avversario politico dell’imperialismo era l’Unione Sovietica, nel XXI secolo questo nemico è ormai chiaramente identificato nella potenza socialista della Repubblica Popolare cinese sopravvissuta all’attacco diretto del 1989 che ha riguardato anche lei. Quello che si sta delineando dal tramonto della globalizzazione è però un ordine apertamente aggressivo e di dominio tra Stati, nonostante gli sforzi cinesi per ripristinare l’effettività e la normatività del diritto internazionale.

La Terza Guerra Mondiale a pezzi finora ha composto un puzzle di accerchiamento alla Cina e all’alleato russo, con scontri tra i grandi blocchi del mondo multipolare. E se gli Stati Uniti sono la potenza decadente ed aggressiva, abbiamo visto che le relazioni con il resto del mondo si stanno contro-bilanciando: la Russia non accetta più l’accerchiamento a ridosso dei propri confini e sviluppa sistemi d’arma sempre più letali come il Burevestnik in modo da annullare il gap territoriale subito dopo il 1989 dal confronto con gli Stati Uniti. L’Iran dal canto suo, dopo aver costruito una solida alleanza economica con il blocco sino-russo ed essere entrato a pieno titolo nei BRICS, sta riaprendo alla cooperazione militare in modo da potersi difendere dal progetto colonialista israeliano. La Cina dal canto suo nel XV Piano Quinquennale si prepara a lavorare per l’implementazione degli armamenti atomici in modo da chiudere il gap con Russia e Stati Uniti (vedi: https://www.scmp.com/news/china/military/article/3330774/chinas-next-5-year-plan-aims-narrow-nuclear-gap-us-and-russia-analysts-say?module=top_story&pgtype=homepage). E l’annuncio di Trump, non appena ridisceso dall’Air Force One in patria, non è certo stato quello di una “leadership di pace”, poiché il suo pivot to Asia ha portato all’annuncio di ripresa dei test atomici da parte dell’esercito americano, interrotti ben 33 anni fa con l’ultimo test del 23 settembre dell’Operazione Julin.

Insomma, non sembra che si dipani davanti ai nostri occhi un orizzonte di transizione pacifica dell’impero americano, piuttosto assistiamo alla volontà di arrivare persino all’escalation nucleare, se necessario, pur di mantenere il suo posto nel nuovo ordine multipolare protezionistico disegnato. E dai piani politico-militari messi in campo dai principali attori globali, il passaggio da una fase di globalizzazione dei mercati ad una guerra commerciale sembra poter sfociare in uno scontro militare aperto, o almeno ci si inizia a preparare a questo scenario. D’altra parte era difficile prevedere un esito diverso dell’instabilità politico-economica generata dalla globalizzazione, come ricordavano Terence Hopkins e Immanuel Wallerstein negli anni Novanta nella loro previsione sino al 2025: «la loro forza (in riferimento agli Stati Uniti) è in fase calante, a causa del declino della base finanziaria e della legittimità interne. È invece più probabile che nei prossimi venticinque anni la forza di ciascuna delle altre potenziali maggiori potenze militari mondiali - la Comunità Europea, il Giappone, la Russia e la Cina - superi quella da esse posseduta negli anni Novanta. (…)»[1] generando un caos sistemico difficilmente governabile che attualmente sta cercando di prendere una forma e direzione politica sotto una spinta di giustizia da parte del Sud Globale e dei BRICS+ che sfidano apertamente l’Occidente collettivo ormai sempre più nervoso come un gatto in gabbia.

 

[1] T. K. Hopkins - I. Wallerstein, L’era della transizione. Le traiettorie del sistema-mondo 1945-2025, Asterios Editore, Trieste, 1997, p. 276

Alex Marsaglia

Alex Marsaglia

Nato a Torino il 2 maggio 1989, assiste impotente per evidenti motivi anagrafici al crollo del Muro di Berlino. Laureato in Scienze politiche con una tesi sulla rivista Rinascita e sulla via italiana al socialismo, si specializza in Scienze del Governo con una tesi sulle nuove teorie dell’imperialismo discussa con il prof. Angelo d’Orsi. Redattore de Il Becco di Firenze fino al 2021. Collabora per un breve periodo alla rivista Historia Magistra. Idealmente vicino al marxismo e al gramscianesimo. Per una risposta sovranista, antimperialista e anticolonialista in Italia e nel mondo intero. 

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