Il Vertice in Svizzera si chiude con lo slogan nazi-banderista (lanciato dal "liberal" Trudeau)
di Fabrizio Poggi
È possibile che qualcuno si ricordi ancora dell’ex onorevole del PD – e cos’altro avrebbe potuto essere – Andrea Romano, il quale, fintanto che ha potuto sedere sugli scranni di Montecitorio, era solito, in particolare dopo il febbraio 2022, concludere i propri interventi alla Camera col saluto banderista caro ai nazional-nazisti ucraini di “Slava Ukraine”, cui, all’epoca dei collaborazionisti filonazisti di OUN-UPA, si doveva rispondere con “Gerojam slava”. Come risaputo e quantunque risalisse ai nazionalisti ucraini del XIX secolo, il grido era ricamato sul saluto nazista “Heil Hitler”, cui gli hitleriani rispondevano “Sieg heil”.
A significare nei suoi più reconditi fini il cosiddetto “summit per la pace svizzero, oggi, a conclusione di quel vertice nato morto in partenza, durante la foto di commiato, il Primo ministro canadese Justin Trudeau ha voluto calcare le orme dell’ex onorevole Romano e, dopo di lui, anche alcuni rappresentanti di altre delegazioni, hanno urlato lo slogan dei macellai di OUN-UPA.
D’altronde, è pure nota la stretta vicinanza tra il Canada e gli ex banderisti filonazisti ucraini: senza scomodare il capitolo dell’emigrazione in Canada, alla fine della guerra, di migliaia di ex banderisti, che sfuggivano così, ben assistiti dall’Occidente, alla legge penale sovietica, in tempi a noi recentissimi basti ricordare la vicenda del novantottenne veterano della 14° Waffen-Grenadier-Division der SS “Galicina”, Jaroslav Hunka, applaudito al parlamento canadese.
Ma in Ucraina non c’è il nazismo. No, ci dicono, PD compreso. No. Si è momentaneamente spostato sulle rive del lago di Lucerna, abbracciato dai nuovi guerrafondai “per la pace”.
PS ad ogni modo, il documento finale del “summit” è stato sottoscritto da 80 dei 91 paesi partecipanti. Non hanno messo la firma i rappresentanti di Brasile, India, Sudafrica, Emirati, Bahrein, Vaticano, Indonesia, Libia, Messico, Arabia saudita e Tailandia. La stessa Armenia, alla fine, ha avuto un sussulto di “dignità” e non ha firmato.