José “Pepe” Mujica “Facundo”, uno straordinario uomo e combattente dei popoli

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José “Pepe” Mujica “Facundo”, uno straordinario uomo e combattente dei popoli

 

E’ morto l'ex presidente dell'Uruguay, ricordato e raccontato in ogni angolo del mondo, con commozione e ammirazione non descrivibili con le parole. Se ne è andato “l’ultimo eroe…con una vita suprema”, come lo ha descritto Emir Kusturica. Della sua storia non comune ed eccezionale umanamente, sono piene le pagine in questi giorni. Vorrei invece qui sottolinearne due aspetti, che hanno marcato profondamente il suo percorso di vita e impegno, vissuti con le parole e con i fatti, con scelte pagate durissimamente. Sopratutto rivolgerli ai nostri giovani, ai nostri figli, con la speranza che se ne impossessino, come patrimonio utile per vivere la vita. Uno è la sua continua attenzione e il suo rivolgersi verso le nuove generazioni e i giovani, il futuro del pianeta, come diceva lui, la speranza dell’umanità. E l’altro lascar parlare lui, unico modo per capire fino in fondo chi è stato “Facundo”, che resterà con noi per sempre, con i suoi atti, pensieri ed esempio di lotta e di vita, per un mondo migliore. Come esempio di vita vissuta…in piedi, anche quando si è in ginocchio.

Chi era e cosa è stato Pepe Mujica, comandante Facundo

Fu spesso definito «il presidente più povero del mondo» perché dopo la sua elezione alla presidenza dell’Uruguay, nel 2009, continuò a vivere in una piccola casa di campagna vicino alla capitale Montevideo, continuando a lavorare nel suo orto e andare al lavoro ogni giorno al Palazzo presidenziale con il suo Maggiolino blu del 1987 e a fare le visite di stato nel mondo, volando in classe economica e devolvendo quasi il 90 per cento del suo stipendio mensile di presidente uruguaiano, alle persone più bisognose. La sua vita e la sua storia, al di là dei gesti pubblici, lo hanno reso un punto di riferimento e una figura amatissima dai movimenti popolari e socialisti non solo dell’America Latina, ma in tutto il mondo dei popoli oppressi e soggiogati dall’imperialismo. Un uomo allo stesso tempo potente e umile, visionario e concreto, autentico e fermo, amabile ma determinato nelle scelte di campo.

In un libro a lui dedicato (Una oveja negra al poder, “Una pecora nera al potere”), così si esprimeva: «Il problema è quando metti l’ideologia al di sopra della realtà. La realtà ti arriva come un pugno e ti fa rotolare per terra…Io devo lottare per migliorare la vita del mio popolo nella realtà concreta di oggi e non farlo è immorale. Questa è la realtà. Sto lottando per degli ideali, ok; ma non posso sacrificare il benessere della gente per gli ideali…».

Mujica è stato un uomo «umile ma coraggioso», mai affascinato dal potere in sé, ma impegnato a cercare il modo di farlo conciliare con la fedeltà alle proprie convinzioni e obiettivi concreti per le masse popolari, in modo da utilizzarlo. Su di lui sono stati girati film e documentari (Pepe Mujica, una vita suprema di Emir Kusturica, o Compañeros, che racconta i suoi anni di carcere, tra gli altri) e sono stati scritti moltissimi libri.

Era nato nel 1935, rimasto orfano di padre a otto anni e cresciuto in quella che lui stesso definì una «dignitosa povertà», vivendo una gioventù in un Uruguay attraversato da grandi fermenti politici e lotte popolari, che furono la sua culla per l’acquisizione di una coscienza profonda e determinata.

In modo retorico, spesso è stato, in alcuni ambienti della sinistra internazionale, ridotto a icona di un socialismo moderato e umanitario, ma la sua storia ci insegna ben altro. Sicuramente, come direbbe Gramsci, un uomo e un rivoluzionario che usava in politica la categoria del “buon senso”, ma unita alla fermezza di principi indiscutibili, a cui non ha mai abdicato. “…Nel bene o nel male appartengo a una generazione che ha cercato di cambiare il mondo…», affermò .

 Mujica fu innanzitutto un guerrigliero rivoluzionario. Alla fine degli anni sessanta entrò nella lotta armata nel Movimento di Liberazione Nazionale –Tupamaros, un’organizzazione marxista che si rifaceva agli obiettivi della Rivoluzione cubana. Mujica, in quegli anni, venne ferito sei volte in scontri armati e arrestato quattro.

Venne imprigionato nel 1972 trascorrendo in isolamento la maggior parte del tempo, nove anni, inclusi i due in cui fu confinato in una buca scavata nella terra dove condivideva lo spazio con topi e rane. Subì torture, privazioni, malattie e in seguito confessò che la punizione peggiore fu per lui quella di essere privato dei libri. «…A volte, il dolore è una cosa positiva se si è in grado di trasformarlo in qualcos’altro…La prigione è stata brutta, ma allo stesso tempo ho ritrovato me stesso…Non mi sono mai pentito mai di ciò che ho vissuto perché se non l'avessi vissuto non avrei imparato così tanto. E nella vita si impara molto di più dal dolore e dalla sconfitta che dalla prosperità…Se mai vi dovesse succedere qualcosa, cercate di ricordare che siete forti, che potete ricominciare e che ne vale la pena...», dirà Mujica in uno dei suoi assidui incontri con studenti e giovani, a cui teneva di più. Quei giovani, che quando si rivolgeva a loro o ascoltava le loro riflessioni, con attenzione e affetto, spesso i suoi occhi brillavano e qualche volta si inumidivano, per poi spronarli a non arrendersi e non spaventarsi di fronte alla eventualità di cambiare il mondo. Perché gli unici sconfitti nella vita e nella storia sono quelli che smettono di lottare e sognare.

Fu liberato solo nel 1985 grazie all’amnistia generale concessa a tutti i prigionieri politici incarcerati dal regime, dopo la sconfitta della dittatura dalle forze popolari, che nel frattempo erano prevalse.

Evase di prigione due volte, una da film, nel 1971, dal carcere di Punta Carretas, una delle più affollate e dure: 111 fuggitivi.

Trascorse in carcere un totale di circa quindici anni.

Dopo aver abbandonato la lotta armata Mujica creò il Movimento di Partecipazione Popolare (MPP), che entrò a far parte della coalizione di sinistra Frente Amplio. Eletto deputato e poi senatore, tra il 2005 e il 2008 fu ministro per l’Allevamento, l’Agricoltura e la Pesca imponendo da subito uno stile politico differente e tutto suo.

Lasciato il governo, nel 2008, si candidò per le successive elezioni presidenziali del novembre 2009, dove venne eletto con quasi il 55 per cento dei voti. Da presidente, insieme alla sua inseparabile compagna di vita e di lotte, Lucia Topolansky, anche lei senatrice e vicepresidente del Paese dal 2017, Mujica non volle vivere nella residenza riservata al Presidente del Paese, nel centro di Montevideo e rimase nella sua piccola casa di meno di 50 metri quadrati, alla periferia della capitale, con l’appezzamento di terra dove coltivava fiori, la cui rivendita era stata per lungo tempo il suo unico mezzo di sussistenza. Durante la forte ondata di freddo che colpì l’Uruguay all’inizio del suo mandato, inserì addirittura la residenza presidenziale nell’elenco delle strutture aperte a chi non aveva una casa.

Da Presidente, dal 2010 al 2015, ha vissuto per tutta la durata del suo mandato con uno stipendio di soli 485 dollari al mese, rinunciando all’87 per cento del proprio stipendio e trattenendo solo ciò che riteneva strettamente necessario per le spese correnti. «…È una questione di senso della libertà…Se non si dispone di molti beni allora non c’è bisogno di lavorare tutta la vita come uno schiavo per mantenerli e quindi si ha più tempo per sé. Potrei sembrare un vecchio eccentrico, ma questa è solo una mia libera scelta».

In tutto il mondo la sua fama continuò a fare notizia. Come si poteva, ha scritto Libération, non amare un leader che poteva arrivare a una riunione del Consiglio dei ministri in sandali con i pantaloni arrotolati, o lasciare un incontro dicendo: “…Mi dispiace, devo aiutare mia moglie a raccogliere le zucche…”?

“Bisogna essere capaci di sognare”, ripeteva ai giovani, i suoi interlocutori prediletti, a cui sollecitava un impegno urgente del cambiamento, del costruire una nuova cultura contro quella dominante, adottando il criterio della serietà, del rispetto per la Natura, dello spendere il tempo per le relazioni e non per i consumi, del “fare per gli altri” a cui tutti devono sentirsi chiamati, da cui chiunque abbia una coscienza e una sensibilità, non possono disertare.

Quando lasciò la politica istituzionale, nell’ottobre del 2020, all’età di 85 anni, spiegò così la sua decisione: «…A cosa serve un vecchio albero se non lascia passare la luce affinché nuovi semi possano crescere tra le sue foglie?...». Ai giovani militanti che si preparavano a raccogliere la sua eredità disse: «…Non siate delle formiche o degli scarafaggi, perché avete una coscienza. Invece di inseguire un destino naturale, una tradizione o di condurre una vita senza senso, potete fare qualcosa nel mondo in cui vivete. Prendete la vita nelle vostre mani e costruite un progetto collettivo…».

Nel 2020 quando annunciò la rinuncia all'incarico da senatore per motivi di salute, Mujica rivolse un pensiero ai giovani: "Avere successo nella vita non significa fare soldi, ma rialzarsi e ricominciare ogni volta che si cade…".

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Pepe Mujica Facundo:  “…Bisogna essere sempre capaci di sognare, soprattutto pensare che è possibile dare il proprio contributo per un mondo migliore. Iniziai a militare e ad imparare, con molti altri, quando ero giovane ed abbiamo perseverato fino ad oggi. Ma erano tempi diversi, credevamo di poter cambiare la società o tutto quello che accadeva nel mondo…”.

 L’ultima lettera

IO, PEPE MUJICA, vi racconto.

Sono stato guerrigliero tupamaro, agricoltore e politico. Ma ora sono stanco.

Senza smettere di essere ciò che sono stato, soprattutto, guerriero.

Ma ora sto morendo e pure un guerriero ha diritto al suo riposo, 

lo impone il tumore che mi sovrasta.

Tutte le strade della mia terra portano al mio cuore e so distinguere

ciò che è passeggero da ciò che è definitivo.

Sono stato io ad aver scelto questa strada e non mi lagno dall’essere arrivato qui, a 89 anni.

Ora ho bisogno di silenzio. Il silenzio è la fonte dei venti, che portano via l’eco della vita,

le pugnalate ostili, i denti, le spille, le bare, gli strappi delle migliaia di brividi,

i turbinii di pianti e cordogli.

Lasciatemi nel silenzio, all’ombra dei miei fichi e dei miei meli, della lingua che resiste alle parole

che feriscono a tradimento, delle sponde che baciano i tramonti, leccati dalle onde.

Ridatemi il silenzio, poiché voglio curare la ferita, che mi lascio nell’anima,

il dolore delle foreste devastate, dei boschi di cemento dove crescono la povertà indomabile,

la giustizia non realizzata, le libertà infrante.

Ridatemi il silenzio, poiché voglio ritornare ai miei ortaggi, mentre, tranquillamente,

in attesa della pace inevitabile, medito sulla bellezza della vita, su quante volte sono caduto e su quante altre mi sono rialzato, sui buoni amici che mi accompagnarono e hanno persino ballato insieme a me. Ridatemi la pace e non chiedetemi più parole.

Ho bisogno del miracolo delle labbra chiuse, delle bocche mute, delle ombre tiepide,

dei battiti assenti.

Guerriero sono e continuerò a lottare, senza tregua, mai sconfitto.

La vita è sempre avvenire. La vita mi perseguita, pur se sto morendo.

Quanta vita c’è nella morte! Ma quanta di più c’è nella vita!

Hasta Siempre, comandante Facundo!   (Rodrigo Rivas, da Pressenza)

Vivere in sobrietà per avere più tempo per sé

Nella nostra storia ci è costato molto imparare questa verità tanto semplice.

Oggi girando il mondo dico ai giovani, alle nuove generazioni di non arrendersi e che sì, è vero, è difficile cambiare il mondo: ma possiamo cambiare la nostra vita, il nostro modo di vivere.

Con questo voglio dire che viviamo sottoposti ad una pressione continua e potente per essere, in ogni momento, compratori compulsivi. Quando compriamo non lo facciamo con i soldi ma con il tempo della nostra vita che sciupiamo per avere i soldi.

Che cos’è la libertà personale? E’ il tempo della mia vita che utilizzo per le cose che mi motivano, e mi danno piacere. Quando sono obbligato ad utilizzare il tempo della mia vita per soddisfare necessità, non sono libero, sono sottomesso alle necessità e quindi se moltiplico i bisogni finisco pagando con il tempo della mia unica vita o di altre vite che lavorano con me, cosa ancora peggiore. Non lasciarsi vincere dal mercato…

Bisogna avere tempo per gli affetti: tempo libero per le relazioni umane, per i figli, per gli amici, perché alla fine sono tutto ciò che ci resta. Ciò che appare chiaro è che nella nostra società tutto è stato costruito per fare affari, speculare, vendere e comprare. Se viviamo comprando, dobbiamo avere soldi, fare credito e lavorare ancora di più per pagare i debiti. In questo intreccio la vita ci scappa via…

La preoccupazione è per quelli che verranno dopo di noi.

Bisogna imporre una mentalità contadina di cura dell’acqua, della natura: rendersi conto che quello che ci stiamo giocando è la vita…Quando si diventa vecchi ci si avvicina alla morte e il modo per continuare a vivere è preoccuparsi per quelli che verranno dopo di noi.

Quindi fate tutto il possibile, prima per tutti quelli che soffrono in questo mondo, e poi per il mondo che verrà. Siamo sul ponte di una nave che ha bisogno di essere calafatato e i governi non capiscono o non vogliono capire: si preoccupano di chi vincerà le prossime elezioni e sono corresponsabili a causa della loro irresponsabilità politica…

La crisi ecologica è conseguenza della mancanza di responsabilità politica.

Mai, mai l’uomo ha avuto tanto come oggi: mai ha avuto gli strumenti a disposizione come oggi, mai il potere dei nostri giorni!...Aristotele, 350 anni prima di Cristo, diceva che “l’uomo è un animale politico”, ed aveva ragione. L’uomo è un animale gregario, non può vivere in solitudine come i felini. Ha bisogno del gruppo, ha bisogno della famiglia. Questa è la sua forza: imparare a cooperare con il resto della società. Per questo ha potuto superare l’uomo di Neanderthal, un parente più forte ma più solitario.

Deve esserci una società, ma per gestire le contraddizioni della società c’è bisogno della politica. Per questo l’uomo è un animale politico. La società è così importante che non ce ne rendiamo conto…Non si può vivere senza l’interdipendenza. È la società che ha permesso di sviluppare quello che si chiama “civiltà”, che è l’eredità più grande che riceviamo quando nasciamo.

Ora il ruolo della politica è essenziale per una necessità intrinseca della società: i salari, la ridistribuzione delle risorse, la salute, la pace, l’educazione, le strade, il lavoro, i diritti…tutto è determinato da quello che fa o non fa la politica.

Ma al tempo stesso siamo esseri viventi e ogni essere vivente possiede una goccia di egoismo.

Per sopravvivere dobbiamo lottare e, anche se sappiamo che moriremo, lottiamo per vivere. Questo egoismo biologico è sano, è uno strumento biologico che ci serve per difendere la vita e procrearla.

Combattiamo la morte procreando e prendendoci cura dei nostri figli sapendo che alla fine perderemo. Questo vuol dire che, da un lato, abbiamo bisogno di cooperare, abbiamo bisogno di mantenere la società e contemporaneamente dobbiamo conciliare questo egoismo naturale.

Se a dominare è l’egoismo poveri noi! Quando domina l’egoismo, il lupo è lupo per l’altro uomo.

La lotta politica e l’impegno sociale: fare qualcosa per gli altri è fare qualcosa per noi stessi

Uno è preda della propria vita perché nella società ci sono sempre delle differenze, ci saranno mancanze, ferite, ci saranno sempre posti che non funzionano, ci saranno sempre errori o mancanze umane, perché nasciamo in situazioni diverse…Credo che esista una parte della nostra esistenza che, per quanto poveri possiamo essere, ci permetta di fare qualcosa, anche se poco, per gli altri. Quello che prima un compagno chiamava atteggiamento, non è per gli altri ma per noi, per la nostra dignità di esseri umani. Quando cerchiamo di aiutare qualcuno stiamo valorizzando ciò che di meglio abbiamo dentro e frenando al tempo stesso l’animale egoista che coesiste dentro di noi. È difficile conoscere se stessi. Per questo il lavoro sociale è una forma di espressione di fare politica: perché ha come obiettivo la convivenza della polis, ovvero mitigare i disagi di fasce della popolazione…Io credo che la lotta politica deve essere intrisa di impegno sociale. 

Non si può dire “Sì, un giorno cambieremo il mondo!” “I problemi si risolveranno!”…

E intanto che aspettiamo un mondo migliore che succede in questo? No, sono due facce della stessa lotta: la lotta politica si rafforza con lo sforzo delle organizzazioni sociali e viceversa. 

…Non sappiamo mai tutto. A volte dobbiamo imparare dalle persone molto umili. Per esempio, il tetto più costoso che ora si vende nel mio Paese, per i turisti che hanno soldi, è fatto di paglia! …Però fare una buona “quincha” di paglia non è facile… Ci sono conoscenza da intercambiare!

…La frenesia consumistica ci ruba la libertà, invade il posto che dovrebbe occupare l’emozione. Nella vita dobbiamo riservare del tempo per le relazioni umane, l’amore, l’amicizia, l’avventura, la solidarietà, la famiglia…I giovani devono stare in guardia dai pericoli dell’alienazione sociale. Non sprecate il vostro tempo lavorando per guadagnare soldi, avrete solo sprecato la vostra vita, il tempo della vostra vita, la cui unica cosa importante è viverla con gli altri. Vivi come pensi o finirai per pensare come vivi….

 

Enrico Vigna, IniziativaMondoMultipolare/CIVG – maggio 2025

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