“La confusione della cicogna”: la frattura dell’identità nel cuore di un bimbo palestinese

“La confusione della cicogna”: la frattura dell’identità nel cuore di un bimbo palestinese

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di Giulia Bertotto per l'AntiDiplomatico

La confusione della cicogna di Akram Musallam (Edizioni Q, 2023, prefazione di Samed Ismail) è un racconto vivido e delicato, in cui ricordi, enigmi, oggetti magici e ironia amara, mostrano in maniera a volte fiabesca, ma non ingenua, quali conseguenze abbia l’occupazione violenta d’Israele sulla psiche di ogni singolo e unico bambino della popolazione palestinese. Laq Laq vive con i nonni, cerca di svelare i loro misteri, di orientarsi nella sua terra smembrata, nel mondo degli adulti, dei loro battibecchi e delle loro guerre.



La scissione come scenario interiore e il tentativo di reintegrazione

Il soprannome del protagonista, Laqlaq, significa cicogna (gli venne dato dalla nonna per le sue fattezze estetiche), diventa nella sua fantasia Laq Laq, l’autore infatti ci dice che il piccolo ha la mania di sillabarlo, come se dovesse dividerlo per accettarsi, per autorizzare quell’immagine divisa e quindi doppia di sé. La confusione generata dalla frammentazione territoriale e dalla segregazione etnica, diventa la sua visione del mondo, il bimbo ha infatti introiettato l’apartheid facendone il suo scenario emotivo. Ogni divisione genera un duplicato, che fa rimbalzare Laq Laq tra limes interiore ed esteriore. Con grande saggezza Jung parlava di un rimando inevitabile tra inconscio individuale e inconscio collettivo.

L’archetipo della rottura si rileva anche dalle parole che si ripetono nel testo: cancello, sbarre, frontiera, rete, muro, linea, grate, filo spinato, un continuum di elementi separativi in cui paradossalmente il frazionamento dello spazio e della mente, è l’unica costante. Un giorno, in un centro di detenzione con la nonna, Laq Laq scambiò l’esterno della prigione con l’interno, e venne preso dal panico poiché credeva di essere stato incarcerato. Questo episodio slatentizzò la dissociazione esistenziale del giovane. Tutto appare sezionato, eppure è disordinato e caotico; ma sia ben chiaro, Laq Laq non è clinicamente dissociato, è anzi lucidissimo.

Crescendo la nostra cicogna scoprirà a sue spese la dualità di tutte le cose: gli invitanti seni dell’“architetta” separati dagli occhiali da sole, la relazione tra vittima e aguzzino come tra il nonno omicida e il militare ucciso, i due gemelli vetrai, sogno e veglia distinti da un pugno, l’antitesi fuori/dentro la prigione, dove da piccolo ebbe l'imprinting della confusione. Il fiume giordano spezza il cuore di Laq Laq in due parti, una dove si trova confinato lui, e una dove vive sua figlia, mentre i social (unico mezzo con il quale può comunicare con la figlia) ci illudono di poter valicare la barriera della solitudine.

Il tema della scissione ha una sua radice metafisica, si esprime nella psicologia e nell’arte. Ricordiamo che Diavolo, significa colui che divide, e il mistico si impegna nel distacco dalle cose accidentali del mondo perché anela all’unione con il Tutto-Uno. Lo schizofrenico soffre perché non riesce a reintegrare le sue personalità; anche l’artista è in pena perché non si sente intero e cerca di ricompattarsi per mezzo della sua arte che trasfigura la lesione. Infatti ogni crepa è anche una fessura, ogni faglia è anche una zona di contatto: “L’uomo possiede una tendenza innata ad evitare, superare e distruggere la polarità” scrive il giornalista Samed Ismail nella prefazione. Ed è questo che fa di questa storia particolare, un romanzo universale, ambientato in Palestina, situato nell’animo di ciascuno: c’è una “Recinzione che divide il suo cuore in due rive”. L’identità dello psicotico è rotta dal trauma, quella del palestinese è spezzata e paralizzata dalla frattura territoriale-cognitiva e psichico-interiore, quella di ogni essere umano è lesa ontologicamente, per il solo fatto di esistere distinta dall’unità pre-temporale.  

La resistenza palestinese, una questione di reintegrazione interiore

I danni dell’arroganza politica di Israele e del sopruso sionista hanno effetti diretti sulla psiche profonda di ogni palestinese: “L’occupazione non mira semplicemente ad annientare la Palestina in quanto nazione, intende eliminare le singole individualità che la compongono” ma qui risiede anche la forza del palestinese che non può che fare profondamente propria la lotta di resistenza; una compensazione personale che congiunge in una sola causa la battaglia psichica volta alla reintegrazione di sé e alla restaurazione della sua terra. Ecco il perché della straordinaria capacità di resistenza del palestinese: “l’individuo può eliminare ogni mediazione tra la propria personale lotta per l’esistenza e la causa palestinese, e ciò fa di ogni palestinese un quadro rivoluzionario latente” scrive ancora Ismail nella prefazione.

“I palestinesi riescono a cogliere meglio di altri il nichilismo quale condizione generalizzata della nostra epoca, non perché come vorrebbero alcuni siano un popolo straordinario (…) ma perché la loro esperienza storica li costringe giocoforza ad assumere la scissione e il confine come orizzonti di vita” spiega Ismail.

La confusione della cicogna è la storia della ricerca della propria identità in un gioco di specchi e proiezioni attraverso i personaggi in cui il protagonista si riflette. Un romanzo di formazione, che si serve della metafora visiva, della parodia e della beffa linguistica, come quella sul suo membro: il futuro che il nonno desiderava per lui era quello di vederlo membro del Parlamento, mentre invece il suo membro soffre di eczema, una patologia pruriginosa. Una manifestazione psicosomatica-simbolica del suo sentirsi impotente di fronte alla situazione; la pelle che prude, è l’ultima frontiera fisica, limite dermatologico dello sbarramento del corpo.

E poi il paradosso: la cicogna non può beneficiare di un servizio sanitario efficiente nel proprio paese per impedimento delle “leggi” stabilite dall’occupante, ma non può neppure curare i suoi genitali (non a caso l’organo da cui si propaga la continuità ad un popolo e si trasmette la sua affermazione sulla terra) in un ospedale israeliano, perché ritenuto pericoloso da “uno stato munito di duecento membri nucleari” (corsivo mio). Generazione e distruzione, l’ennesima, coppia, quella regale, di opposti e complementari.

Diviso dentro se stesso, separato dalla sua famiglia, Laq Laq è alla ricerca di un senso che possa dare coerenza alla vita, ricongiungerlo alla sua famiglia, saldare il vetro, chiudere la ferita, riabbracciare sua figlia.

 

P.S. Come l'AntiDiplomatico siamo lieti di annunciare l'inizio di una collaborazione con Edizioni Q. Potrete acquistare la "Confusione della cicogna" di Akram Musallam con altre due bellissime opere di autori palestinesi al prezzo speciale di 39 euro



 



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PRESENTAZIONE DEI LIBRI


1) Sono nato lì. Sono nato qui di Murid Barghuthi


Murid al-Barghuthi (Deir Ghassane, 1944 – Amman, 2021), nel giugno del 1967 studiava all'Università del Cairo quando Israele, con l’occupazione della Cisgiordania nel corso della Guerra dei Sei Giorni, lo costrinse a un esilio trentennale. Nel 1970 sposò la compagna di studi Radwa Ashur (Il Cairo, 1946 – 2014), scrittrice egiziana, che ricorre nelle sue pagine con parole di tenera gratitudine. Nel 1977 dopo qualche mese dalla nascita di Tamim, l’unico figlio, Murid al-Barghuthi fu prelevato dalla sua casa, al Cairo, e mandato in esilio per diciassette anni, durante i quali visse a Budapest. Solo nel 1996 gli fu consentito di tornare in Palestina: dall’esperienza di quel viaggio ricavò, Ho visto Ramallah (1997, tradotto in italiano nel 2005) ed è dal viaggio del 1998 col figlio, a sua volta poeta famoso, che sviluppa la narrazione di Sono nato lì. Sono nato qui.

In questa sua seconda autobiografia, il poeta palestinese Murid al-Barghuthi ripercorre gli anni dell’esilio e il ritorno in Palestina, insieme al figlio Tamim.

I ricordi dell’infanzia si susseguono con quelli dell’esilio, dell’abbandono forzato degli affetti, del ritorno in Palestina vissuto nell’intreccio tra le due esperienze, la propria e quella del figlio, comunicata, in particolare questa, soprattutto attraverso lo sguardo. Come nella sua prima autobiografia, Ho visto Ramallah, i ricordi fluttuano tra passato e presente: gli eventi che lo hanno condotto lontano dalla sua Palestina, l’esperienza in Egitto dove è costretto a lasciare moglie e figlio appena nato per andare a Budapest in ennesimo esilio. Obiettivo di denuncia non sono solo i crimini che Israele compie, ma è anche l’operato dell’Autorità Nazionale Palestinese. 

Oltre alle circostanze legate all’esilio, tema che sempre è presente nella scrittura palestinese, il libro rievoca tra l’altro la pulizia etnica della Palestina e l’occupazione israeliana che manifesta la sua brutalità anche nel corso del viaggio del protagonista.


2) MEMORIE DI GERUSALEMME di Sirin Husseini Shahid


Dalla Prefazione di Edward W. Said:

Il libro di Sirin Husseini Shahid è un tesoro di storia e di umanità, composto da frammenti, come un mosaico, molti dei quali gradevoli, gioie fugaci, e poi da dolori, più duraturi, disposti con tenero profondo rispetto, con la speranza, in prospettiva, che siano utili a educare o meglio a sedurre il lettore il quale, in assenza di questo racconto, non saprebbe niente di quel mondo per molti versi oggi perduto. È una testimonianza personale, senza dubbio, ma è anche letteratura: informale, umana, sincera, generosa ed eloquente. È a partire da questo tipo di materiale di vita che si costruirà il futuro della Palestina, un materiale che durerà a lungo e che sarà utile per obbiettivi ben più grandi di quanto Sirin, nella sua modestia, avrebbe mai pensato. Per tutto questo il libro merita di trovare un posto nell’archivio della memoria, accanto ad altri memoriali, in modo che né l’amnesia, né la cancellazione, né ciò che si ritiene ‘progresso storico’ possano mai più ignorare quelle esperienze di vita vissuta che qui si raccontano.

3) La confusione della cicogna di Akram Musallam

"La confusione della cicogna" è il racconto della vita di Laq Laq, Cicogna, che passa attraverso la disgregazione e la distruzione della società palestinese e degli individui che la compongono. Questo libro potrebbe essere definito un ro­manzo di deformazione, in cui la scissione diventa la cifra dell’esi­stenza. Il palestinese è attorniato da vetri e da specchi, da una mi­riade di divisioni che si replicano esponenzialmente, tra genera­zioni, tra generi, tra spazi geografici, tra verità e menzogna, tra sogno e realtà.


 

Giulia Bertotto

Giulia Bertotto

Giulia Bertotto, giornalista per diverse testate online, è laureata in Filosofia a La Sapienza di Roma e ha un master in Consulenza Filosofica e Antropologia Esistenziale, ha scritto due raccolte poetiche, un saggio, e partecipato alla stesura di diversi volumi con altri autori. Svolge e stravolge interviste, recensioni di film e libri, cronache da eventi e proteste. Articoli per sopportare il mondo, versi e rime per evaderlo.

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