La fragile pace del Burundi: dal colpo di stato militare fallito all'influenza del Sudafrica

La fragile pace del Burundi: dal colpo di stato militare fallito all'influenza del Sudafrica

La pace è fragile e ci sono tanti vari gruppi. Basta una scintilla e la situazione potrebbe infiammarsi

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di Mara Carro

Una conversazione con Joseph Kazadi Mpiana, dottore di ricerca in diritto internazionale e dell’Ue dell’Università di Roma “La Sapienza” e 
insegna Diritto internazionale pubblico e diritto costituzionale in alcune Università di Lubumbashi 


- Il 5 giugno si sarebbero dovute svolgere in Burundi le elezioni legislative e a fine mese quelle presidenziali. Entrambe sono state rinviate. Da dove nasce l’attuale crisi politica e qual è la posizione del presidente Pierre Nkurunziza e quald quella dell’opposizione?
 
La crisi che conosce oggi il Burundi ha origini abbastanza lontane. Il Burundi viene da oltre dieci anni di guerra civile, dal 1993 al 2006, una guerra civile non permanente, e tanti sforzi sono stati compiuti per poter riconciliare le varie fazioni che si contendevano il potere. Questi sforzi avevano condotto alla firma degli Accordi di Arusha, accordi di pace e di riconciliazione per il Burundi. Sono questi accordi firmati nel 2000 che hanno disegnato un nuovo assetto politico-istituzionale del Burundi e da questi Accordi è nata una nuova era politica per il paese, prima con un periodo di transizione poi con un periodo di post-transizione e la Costituzione del Burundi del 18 marzo 2005 ha recepito sostanzialmente le indicazioni provenienti proprio dagli Accordi di Arusha del 2000.


- La Costituzione del Burundi rispecchia proprio il contenuto di quegli Accordi. Gli Accordi di Arusha prevedevano che il presidente non poteva esercitare più di due mandati presidenziali e questo era nero su bianco, uno dei principi su cui tutte le parti del Burundi si erano ritrovate. La crisi nasce qui?

Nella stesura della Costituzione, quando si va a leggere l’articolo 96, quest’articolo prevede che il Presidente della Repubblica venga eletto a suffragio universale diretto per un mandato di cinque anni rinnovabile una sola volta. L’articolo 302 della stessa Costituzione prevede che a titolo puramente eccezionale il primo presidente del periodo post-transizione, che sarebbe l’attuale presidente, non verrà eletto con il suffragio universale diretto ma verrà eletto dal Senato e dall’Assemblea Nazionale. E qui si pone il problema. Nel 2005 il presidente attuale Nkurunziza viene eletto dall’Assemblea Nazionale e dal Senato, nel 2010 viene eletto o rieletto (anche qui è un gioco di parole) con suffragio universale diretto e nel 2015 si accinge a cercare un altro mandato. Quindi il problema si pone anche nel conteggio perché per alcuni questo sarebbe il terzo mandato, cosa che è vietata dalla Costituzione e dagli Accordi di Arusha. In questa situazione di caos alcuni senatori avevano anche adito la Corte ostituzionale per interpretare questi due disposti costituzionali, l’art. 96 e l’art 302. I componenti della Corte Costituzionale sono nominati dal capo dello Stato e la Corte il 4 maggio ha emanato una sentenza con la quale ha dato un’interpretazione abbastanza discutibile di questi due articoli, dicendo che sostanzialmente il problema del terzo mandato non si pone nel senso che il presidente è stato eletto secondo l’art. 96 per la prima volta nel 2010 e quindi nel 2015 sarebbe l’ultimo mandato perché l’art. 302 avrebbe creato un mandato speciale per il capo dello Stato eletto non con il suffragio universale diretto ma con il suffragio universale indiretto. E qui c’è qualcosa che non quadra nel ragionamento della Corte Costituzionale perché quando si va a rileggere queste disposizioni costituzionali, anche alla luce degli Accordi di Arusha, questa eccezione introdotta all’art. 302 non riguarda il mandato in sé ma riguarda la modalità di designazione del presidente della Repubblica, quindi non crea un mandato speciale per il presidente del periodo post-.transizione e questo ha portato molti a non riconoscersi in questa sentenza che non è stata firmata dal vice presidente della Corte Costituzionale che si è dimesso lamentando le tante pressioni che sono state esercitate sui vari componenti della Corte.

 
- Nelle scorse settimane c’è stato anche un colpo di stato militare fallito. L’esercito, sappiamo, è un attore chiave nella politica del Burundi per la sua composizione etnicamente equilibrata che rappresenta uno dei risultati di maggior successo dell'accordo di pace di Arusha. C’è il rischio della ripresa di un conflitto etnico o l’eserrcio può essere un fattore di bilanciamento?
 
Il Burundi per tanti anni è stato governato dai militari. Anche l’attuale presidente era un capo ribelle. La storia del Burundi è molto marcata dalla presenza dell’Esercito. Questo fattore etnico ha sempre caratterizzato il Rwanda e il Burundi, dove ci sono queste due etnie molti importanti, hutu e tutsi. Il Burundi aveva trovato tramite gli Accordi di Arusha e anche nella costituzione una ripartizione su base etnica sia nell’amministrazione, nel parlamento e anche nell’esercito il 60% era di etnia hutu e 40% tutsi. Fino a qualche anno fa l’esercito era molto controllato dall’etnia minoritaria: i tutsi esercitavano un gran controllo sugli apparati statali e la situazione attuale ci dice che sono i tutsi che non vedono di buon occhio questa avventura di Nkurunziza di poter chiedere un terzo mandato. Va qui ricordato che Nkurunzizia appartiene all’altra etnia. Il rischio della ripresa di un conflitto ernico non è da escludere, ma qui c’è bisogno che anche il presidente e il suo partito possano capire che il fatto della radicalizzazione della posizione e il volere a tutti i costi presentarsi per un altro mandato è una decisione che potrebbbe essere gravida di tante conseguenze. La pace è fragile e ci sono tanti vari gruppi. Basta una scintilla e la situazione potrebbe infiammarsi. 
Ed è un problema che va anche oltre il Burundi. Diverse costituzioni africane prevedono l’esercizio di non più di due mandati e tanti Presidente africani, alla vigilia delle lezioni, cercano di rivedere e di modificare le costituzioni per potersi dare un’altra chance. Anche se il caso del Burundi è un po’ diverso.

 
- Centinaia di sostenitori del Presidente Paul Kagame si sono ritrovati davanti al parlamento di Kigali per consegnare petizioni che chiedono l’abolizione del limite dei due mandati presidenziali..
 
Kagame non ha mai nascosto questa ambizione. Più volte anzi ha sostenuto “non è che il Rwanda decide chi sarà presidente negli Usa, in Francia” quindi se il popolo decide di cambiare o modificare la Costituzione per togliere questo vincolo di due mandati perché devono essere gli altri a dover dettare la linea da seguire?", Questo è stato sostanzialmente il pensiero di Kagame. "Questo vincolo può essere eliminato dalla volontà del popolo del Rqnda, non è che dobbiamo ricevere dei diktat da parte dell’Occidente per poter rispettare questo vincolo". Per il Rwanda la situazione è abbastanza particolare perché nonostante il regime di Kagame non sia accreditato a livello di rispetto dei diritti umani come uno dei regimi democratici perchè tanti componenti dell’opposizione vivono in esilio, in molti apprezzano il lavoro compiuto da Kagame a livello di economia, infrastrutture e quindi questo giocherebbe a suo favore qualora questo problema dovesse porsi perchè il popolo del Rwanda riconosce dei meriti al presidente Kagame, soprattutto dopo il genocidio. C’è stata infatti una fase di ricostruzione, di ammodernamento del paese che fa sì che tanti sotenitori siano propensi a proporgli di poter emendare la Costituzione e togliere il vincolo dei due mandati.


Una situazione simile a quella del Congo?

 Anche nel Congo c’è stato questo tentativo. Nel 2016 nel paese ci saranno le elezioni presidenziali e l’attuale presidente non potrebbe ripresentarsi. Finora il presidente non ha mai manifestato le sue intenzioni anche se alcuni membri del suo partito lo stanno invitando a ricandidarsi, altri ancora hanno anche scritto dei libri sostenendo l’inutilità di queste disposizioni che vietano di poter rivedere la norma. In Congo, la norma che prevede il limite di due mandati presidenziali fa parte delle poche disposizioni intangibili della Costituzione. Allora qualcuno si sta appellando alla "teoria del popolo sovrano" che potrebbe tramite referendum togliere questo vincolo. Si sta procedendo in questa direzione anche se hanno esaurito tutte le possibilità e la cosa non dovrebbe avere seguito.

 
- Il Sudafrica era presente al vertice della Comunità dell'Africa orientale pur non facendo ufficialmente parte dell'organizzazione. Cosa ci può dire del ruolo di Pretoria?
 
Gli accordi pace si sono svolti sotto la mediazione di Nelson Mandela. Dopo la sua morte è stato il presidente Thabo Mbeki a rilanciare quel processo. Il Sudafrica è molto impegnato, ha anche interesse affinchè ci sia stabilità avendo contribuito a questo periodo di pace e di riconciliazione e poi il Sudafrica è da sempre un paese diplomaticamente molto dinamico che cerca di esercitare una certa influenza nel continente, nelle varie vicende africane nell’ottica di quello che viene chiamato il 'risorgimento africano'.

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