L’alleanza di acciaio tra la destra di Governo e il sindacato Cisl

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L’alleanza di acciaio tra la destra di Governo e il sindacato Cisl

 

di Federico Giusti

La proposta Cisl diventa legge. il Governo Meloni sostituisce alla dignità dei lavoratori e alle rivendicazioni conflittuali in materia di salari e organizzazione del lavoro la classica passività ai voleri datoriali pur debitamente travestita da compartecipazione ai processi decisionali e agli utili.

Non siamo davanti a svolte epocali né tanto meno alla presa del palazzo di inverno, dopo anni di sostanziale accettazione della predominanza del secondo livello di contrattazione (classico cavallo di battaglia della Cisl che, in questa fase storica, aiuta le imprese facendo pagare loro meno tasse e potendo contare su innumerevoli deroghe rispetto al contratto nazionale) si  aggiungono ulteriori tasselli a quel mosaico  sindacale degli orrori con cui i salari italiani hanno perso potere di acquisto da oltre 30 anni ad oggi.

 Quasi 3 milioni di lavoratori in meno entro i prossimi 10 anni, questo è l'allarme lanciato dall'Ufficio studi della Cgia di Mestre che guarda alle future difficoltà delle piccole imprese alle prese con il crollo della manodopera. In sostanza si chiedono condizioni favorevoli per nuove assunzioni gravando in misura crescente, anzi dilagante, sulla fiscalità generale.

Il calo della popolazione in età lavorativa in Italia deriva non solo dal crollo della natalità e dalla mancata regolarizzazione dei migranti ma anche da altri fattori come l'assenza di investimenti privati e pubblici per formare forza lavoro con un sistema scolastico dimostratosi poco funzionale ai desiderata delle imprese. E ci sono troppe disparità regionali,  salta agli occhi il numero delle giornate lavorate che varia da territorio a territorio o i livelli retributivi disparati all'interno di contratti nazionali identici.

Nell'arco di un decennio la forza lavoro calerà di quasi 3 milioni di unità e quindi avremo una popolazione sempre più vecchia, i pensionati in numero preponderante rispetto agli occupati. Il grido di allarme arriva dal mondo delle piccole imprese a palesare tuttavia la sostanziale incapacità di formare la forza lavoro mancante utilizzando la tecnologia non solo per ridurre il costo del lavoro ma per innovare la produzione e alla fine creando anche nuovi posti di lavoro.

Se i dati della Cgia sono azzeccati, e non abbiamo motivo di dubitarne, aumenteranno le difficoltà per reperire giovani lavoratori con un elevato tasso di abbandono già nei primi giorni di contratto, sperequazioni crescenti a livello territoriale e salariale.  La collaborazione con la impresa di natura cislina comporta quindi una tacita accettazione del principio che le nostre richieste sindacali debbano tenere conto dell’andamento generale della impresa di cui siamo dipendenti, questa sorta di realismo del Re porterà al ritorno delle gabbie salariali, pur mascherate, come del resto invocato da ampi settori del centro destra.

Pensare che l'alternanza scuola lavoro possa offrire soluzioni è errato (e il Governo vuole farla partire al raggiungimento dei 15 anni di età) e del resto mancano studi e statistiche atte a valutarne l'effettivo impatto sul mercato del lavoro (serve ai giovani per trovare un impiego?). 

Pensare che la partecipazione attiva della forza lavoro alle sorti aziendali fino a barattare quote azionarie in cambio di aumenti salariali e contrattuali a nostro avviso equivale a ridurre il salario a una variabile dipendente dai profitti di impresa. Senza ombra di dubbio abbiamo un modello all'orizzonte ossia quello della grande impresa che in Italia rimane assai minoritaria, quella impresa saprebbe innovare e investire ma anche offrire un welfare aziendale composito e una politica oraria appetibile. 

La nostra impressione è che questo modello si scontri con la realtà del sistema capitalistico italiano, con il nanismo produttivo italico (così definito decenni or sono da Luciano Gallino) per non parlare poi della tenuta dei conti pubblici decisamente a rischio.

Già abbiamo un calo vistoso delle ore lavorate, immaginiamoci il progressivo invecchiamento della popolazione che metterebbe a rischio la tenuta del sistema previdenziale, una popolazione inattiva sempre più vecchia e bisognosa di welfare. Invece di favorire l'ingresso di forza lavoro migrante, invece di favorire, anche con salari più alti, l'occupazione preceduta da percorsi formativi adeguati, si pensa al welfare aziendale, si dà insomma per scontato che l'attuale stato sociale sia insostenibile e da ridimensionare (ed è un altro favore accordato al Riarmo)

Il Governo raggiunge il suo scopo intervenendo sul modello di contrattazione DDL 1407 (Disposizioni per la partecipazione dei lavoratori alla gestione, al capitale e agli utili delle imprese)  e alla fin fine scarica ulteriori oneri sulla fiscalità generale gettando la basi per l'azzeramento del conflitto nei luoghi di lavoro. Leggiamo testualmente l’art 1 non prima di avere ricordato che il richiamo canonico alla Costituzione dimostra quanto ormai la Carta sia divenuta una tigre di carta, specie da quando, con la riscrittura del titolo V, è stato cancellato ogni richiamo all’indirizzo e al controllo a fini sociali dell’economia.

La presente legge disciplina la partecipazione gestionale, economica e finanziaria, organizzativa e consultiva dei lavoratori alla gestione, all’organizzazione, ai profitti e ai risultati nonché alla proprietà delle aziende e individua le modalità di promozione e incentivazione delle suddette forme di partecipazione, in attuazione dell’articolo 46 della Costituzione e nel rispetto dei princìpi e dei vincoli derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea e internazionale, al fine di rafforzare la collaborazione tra i datori di lavoro e i lavoratori, di preservare e incrementare i livelli occupazionali e di valorizzare il lavoro sul piano economico e sociale. Introduce altresì norme finalizzate all’allargamento e al consolidamento di processi di democrazia economica e di sostenibilità delle imprese

Ma cosa dice l’art 46 della Costituzione Italiana? Riportiamo  testualmente il testo:

Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende.

Auspichiamo non sfugga al lettore un particolare importante: il riconoscimento di questo diritto e soprattutto il principio partecipativo arrivano in un momento storico particolare in cui si annucia il Riarmo, la riconversione a fini di guerra di produzioni ormai in crisi e fuori mercato, licenziamenti di massa in numeri elevati e solo parzialmente compensati da nuova occupazione, la intesa tra lavoratori e aziende avviene poi nei limiti della legge che in Italia riconosce la centralità della proprietà privata e non della collettivizzazione dei beni produttivi. E quindi? Il padrone resta il padrone e il diritto diventa una variabile dipendente alle sue gentil concessioni. E se leggiamo con attenzione il testo di legge organismi, enti paritetici finiscono con lo stravolgere il modello stesso di rappresentanza sindacale fino alla riscrittura parziale, ma assai significativa, dei contratti nazionali a uso e consumo di queste nuove regole che cancellano ogni elemento conflittuale.

Ci chiediamo allora come sia possibile essere credibili agli occhi dei lavoratori rimanendo ancorati alla alleanza con la Cisl e al contempo chiedere il voto sui quesiti referendari ignorando quanto sta avvenendo davanti ai nostri occhi.  Cisl è parte integrante di questo processo di disarticolazione delle conquiste ottenute dal movimento operaio, solo la miopia della Cgil e una buona sorta di autolesionismo non inducono a rompere la gabbia della cosiddetta unità sindacale, forse perchè in quel sistema concertativo ampi settori della stessa Cgil sono fortemente invischiati (previdenza integrativa, enti paritetici e "carrozzoni vari").

Quanto valeva per il Pci di 40 anni or sono, una parte, in apparenza minoritaria, si mise di traverso contro il referendum per il ripristino della scala mobile, quella stessa parte ritrovammo quindici anni dopo egemone culturalmente (ma alla fine anche politicamente) con la nascita del PDS, vale anche per il Pd di oggi con correnti e settori imprenditoriali del partito schierati per il No al referendum.

Il nemico è in casa nostra, ammesso ma non concesso che Cgil e centro sinistra siano le nostre case, mentre il fronte avversario marcia compatto, troppe divisioni vengono evidenziate in queste settimane, nei fatti il modello cislino è già assunto come riferimento da parte del centro sinistra e da qualche corrente della Cgil che senza smarcarsi dalla campagna referendaria ottiene al contempo una via di uscita ad urne chiuse ossia la tutela massima dell’alleanza, ormai innaturale, con Cisl e Uil.

Una popolazione vecchia per gli studi della CGIA avrà ripercussioni negative su settori economici strategici, comportando una contrazione strutturale del Pil e immediatamente toccheremo con mano i risultati nelle ragioni meno sviluppate ossia meridione e isole.

Alla vigilia del voto referendario il modello cislino viene fatto proprio dal Governo Meloni ottenendo in cambio aiuto per disincentivare la partecipazione al voto e conservando quel contratto a tutele crescenti tanto caro al padronato locale.

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