LE LUCI DI AL KARAME: Report da un angolo della Jordan Valley.

 LE LUCI DI AL KARAME: Report da un angolo della Jordan Valley.

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di Patrizia Cecconi

Gerico, 17 gennaio 2016   
 
Wadi al Ouja, nel distretto di Gerico (o Ariha per dirlo in arabo) è un villaggetto come tanti altri nella valle del Giordano: sempre in bilico tra la serenità offerta dalla natura e la tensione “offerta” dagli occupanti le cui jeep si vedono passare avanti e indietro a poche centinaia di metri. 
 
Ieri sera ero là,  ero andata a vedere un pezzetto di terra palestinese, al momento solo una terra qualunque, anche se nessuna terra è "qualunque" in Palestina, e che presto avrà una sua fisionomia particolare. Due chilometri più avanti finisce la Palestina e inizia la Giordania. Avvicinarsi troppo è come cercarsi una pallottola perché Israele, in accordo con la Giordania, non lo permette.

Allora mi siedo e mi godo i racconti intorno a un narghilè, bevo il tè alla menta che mi viene offerto e chiedo da dove viene la musica bellissima che sento. Pochi minuti dopo avrò davanti a me il suonatore di flauto le cui note sentivo da lontano da oltre mezz’ora.



Sotto una mezza luna luminosissima, con un flauto, un narghilè e qualche risata, queste  ore somigliano a una serata di vacanza, solo che poco più avanti i fari delle jeep militari ricordano che vacanza non è il termine più appropriato. 
Dopo le jeep iniziano le luci della Giordania. Esattamente di fronte a noi, mi dicono i miei amici, c’è il villaggio di Al Karame, quello che nel 1968 fu campo di battaglia tra i fiddayn palestinesi, allora sostenuti dalla Giordania, e l’esercito israeliano. 

Quella di Al Karame fu una pagina significativa e gloriosa. Un giorno, quando la Palestina sarà libera, avrà un posto d’onore nei libri di storia.

Era il tempo in cui l’OLP (l’organizzazione per la liberazione della Palestina) appena costituitosi proclamava la resistenza armata come unica lotta possibile contro lo strapotere di Israele che, dopo la guerra “dei 6 giorni”, aveva occupato tutta la Cisgiordania. Al Fatah, che ne ha sempre fatto parte, aveva come motto “resistenza fino alla vittoria” e nel villaggio di Al Karame che - detto per inciso -  significa “dignità”, si trovavano centinaia di Fiddayn tra cui Yasser Arafat e Abu Iyad, obiettivi principali di Israele. 

Il casus belli per l’aggressione fu l’incidente avvenuto a uno scuolabus israeliano saltato su una mina in cui persero la vita due ebrei, ma l’attacco ad Al Karame era già stato preventivato da circa un anno e di questo ci sono abbondanti documentazioni. 

All’epoca gli Usa non erano d’accordo e anche nel governo israeliano non tutti erano favorevoli alla distruzione di questo villaggio giordano, ma si sa, un casus belli è più efficace di un miracolo! 

Fu così che il 21 marzo del 1968 ebbe inizio un’operazione in grande stile, con migliaia di uomini da terra e dal cielo che attaccarono il villaggio che rappresentava il quartier generale della resistenza palestinese. 

Data la disparità di forze (nonostante il sostegno giordano) la vittoria doveva arridere in un paio d’ore agli aggressori, ma non andò così. La battaglia durò 15 ore, il villaggio fu distrutto ma gli israeliani furono ricacciati indietro oltre il fiume che avevano varcato invadendo la Giordania, fatto che comportò la condanna di Israele da parte del Consiglio di sicurezza dell’ONU tramite la Risoluzione 248, per violazione della linea del cessate il fuoco. 

Il modo in cui viene raccontata la battaglia di Al Karame ricorda un po’ la battaglia delle Termopili che si studia nei nostri licei e il presidente Arafat somiglia in qualche modo all’eroe Leonida. 

Poi da allora le cose sono cambiate e i palestinesi hanno scelto altre vie per ottenere i loro diritti.  Non li hanno ancora ottenuti.  

La resistenza armata, al pari della resistenza non violenta, non sono ancora riuscite ad ottenere neanche il rispetto delle Risoluzioni Onu da parte di Israele e le violazioni dei diritti umani sono all’ordine del giorno. 



Accordi e percorsi cosiddetti di pace hanno solo consentito a Israele di afferrare altra terra palestinese per insediare ebrei che della religione hanno fatto un’arma di sterminio dei diritti del popolo palestinese.

Ma nessun potere è eterno e Israele non fa eccezione, per questo è importante mantenere la memoria, perché la resistenza si nutre anche degli episodi di resistenze più antiche.
 
Così, quando quel pezzetto di terra in Wadi al Ouja in cui ieri sera suonava il flauto, sarà adeguatamente attrezzato, ogni sera, sotto la luna e il cielo incredibilmente stellato di Gerico, si potrà rendere omaggio ai combattenti di Al Karame e forse - è lecito sperarlo - si potrà raggiungere a piedi il Giordano senza rischiare le pallottole delle jeep che fanno la ronda. 
Creare oasi di memoria, di diritto alla bellezza e al paesaggio, di omaggio alla storia e ai suoi martiri è uno dei tanti modi di fare resistenza. Lo è in sé, e non ha bisogno di aggettivi. A Wadi al Ouja ne sorgerà una. 
  

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