L’ignoranza ci rende più poveri.
di Michele Blanco*
Le principali fonti economiche e statistiche italiane: Istat, Banca d’Italia e Agenzia delle Entrate, ricostruiscono, non solo i reali numeri della ricchezza in Italia, ma anche i suoi tipici tratti distintivi, come le modalità di accumulazione e di trasmissione ereditaria, il sempre più stretto rapporto tra il potere economico e la politica, gli stili di vita, la formazione dei figli dei ricchi nelle scuole esclusive e nelle università d’élite, gli enormi interessi spesso nascosti della filantropia, l’elevata evasione italiana dal pagamento delle tasse e i paradisi fiscali, che permettono di nascondere all’erario enormi quantità di ricchezza da tassare. Dei ricchi e della loro ricchezza, in realtà, sappiamo poco o niente, e anche quando vengono pubblicate inchieste internazionali, che scoperchiano enormi giri finanziari illegali, società create fittiziamente in paradisi fiscali per evadere le tasse, liste infinite di ricconi evasori, sembra incredibile che l’interesse dei nostri media duri poche ore, nonostante si stimi che l’8% del patrimonio finanziario globale sia in paradisi fiscali. Diversamente dal mondo anglosassone, in Italia non ci sono molti studi che analizzano chi sono i veri ricchi nella nostra società, che cosa pensano, leggono, vivono, chi detiene la maggior parte della ricchezza in un dato periodo e per quali ragioni. Tutti noi italiani dovremmo saperne di più delle dinamiche economiche e sociali del Paese, capire come si esercita effettivamente il potere economico e finanziario, che influenza fortemente il potere politico, come si formano le élite, perché in Italia ci sono tante ingiustificate diseguaglianze e tanta insopportabile povertà.
Questa povertà e in generale le diverse forme di diseguaglianza sociale, sono i prodotti del funzionamento di un determinato modello sociale. In fondo i meccanismi economici, politici, sociali e culturali, che generano la povertà per alcuni individui o gruppi sono gli stessi che producono benessere e integrazione per altri.
Sappiamo anche che l’eccesso di ricchezza in poche mani, come sta sempre Più accadendo nella nostra società, può essere un problema non solo economico e sociale, ma anche per la vita della democrazia e il corretto funzionamento della partecipazione politica.
Il libro di Giulio Marcon, Se la classe inferiore sapesse. Ricchi e ricchezza in Italia, riesce a mostrarci come siamo ben poco informati sul mondo dei privilegi e dei privilegiati italiani: quello dei ricchi e dei super-ricchi.
*estratto dalla recensione I poveri non lo sanno. Considerazioni sul libro di G. Marcon Se la classe inferiore sapesse. Pubblicata su “Persona, periodico internazionale di studi e dibattito”, n. 1 anno 2024, pp. 99-108.
Soprattutto si interroga sul perché un popolo che ha sperimentato la povertà finisca per celebrare i modelli dei super ricchi. Per fortuna finalmente abbiamo una documentata critica al neoliberismo e al potere delle élite italiane. Il grande sfolgorio del denaro rende questa ricchezza spesso visibile, ma la visibilità non riesce a garantire l’effettiva conoscenza.
Le analisi di Piketty, fatte ormai nel corso di molti anni, hanno tratteggiato come nel mondo intero esistono mostruose e ingiustificate disuguaglianze, «per cui, per chi eredita patrimoni del passato, basta risparmiare una quota anche limitata di reddito del proprio capitale perché quest’ultimo si accresca più in fretta rispetto alla crescita economica nel suo complesso. In tali condizioni, è pressoché inevitabile che i patrimoni ricevuti in eredità prevalgano largamente sui patrimoni accumulati nel corso di una vita di lavoro, e che la concentrazione incompatibili con i valori del capitale raggiunga livelli assai elevati, potenzialmente incompatibili con i valori meritocratici e i principi di giustizia sociale che costituiscono il fondamento delle nostre moderne società democratiche», in T. Piketty, Il capitale nel XXI secolo, Bompiani, Milano 2020, p. 51.
L’enorme concentrazione della ricchezza è così elevata che si configura ormai come un vero e proprio destino non modificabile: chi ha, avrà sempre di più; chi non ha, non ha scampo resterà povero se non, al limite, può peggiorare la propria situazione economica. La società odierna si irrigidisce, sempre più, non esiste più “l’ascensore sociale” fino a sclerotizzarsi in una sorta di regime neofeudale e oligarchico.
L’idea democratica di civiltà che abbiamo ereditato dal passato, secondo cui ogni uomo è (dovrebbe essere) parte attiva e costituente per l’intera comunità, è svuotata di senso dinanzi ad un tale immenso accentramento di potere politico-sociale e di ricchezze. Per Luciano Gallino inesorabilmente assistiamo alla ‹‹più grande operazione di trasferimento di reddito e ricchezza dal basso verso l’alto – in altre parole di sfruttamento – che la storia abbia mai conosciuto. Un’operazione iniziata secoli addietro con le imprese coloniali, poi interrotta un paio di volte in alcuni Paesi nel corso del Novecento, per conoscere infine una formidabile accelerazione dagli anni ’80 ai giorni nostri. Si è inoltre appena ricordato che l’intreccio di economia e politica su cui esso si regge ha pressoché svuotato di senso il processo democratico››, in L. Gallino, Finanzcapitalismo. La civiltà del denario in crisi, Einaudi, Torino 2021, pp. 298-299.
All’opinione pubblica del triste presente, sembreranno sconvolgenti le considerazioni di Piketty e Gallino sul reale svuotamento della democrazia, con la costante riduzione della partecipazione degli appartenenti alle classi popolari alla partecipazione politica e sull’accentramento senza precedenti di così tanta ricchezza in poche mani di sempre meno persone. Il libro di Marcon inizia proprio con l’analizzare le ragioni dell’assenza di un dibattito pubblico e consapevole su questo fondamentale argomento in Italia. Si pensi al fatto che addirittura negli Stati Uniti il tema è discusso apertamente e pubblicamente. Marcon sono tre i motivi che caratterizzano la mancanza del dibattito sulla ricchezza e la povertà nel nostro Paese, aspetti religiosi e culturali, mancanza di informazioni serie e comprovate e i concreti interessi economici che entrano in gioco.
La prima ragione, secondo l’autore, è da ascrivere alle profonde radici cattoliche del nostro Paese: per il cattolicesimo la ricchezza è uno stigma da condannare. Da questi motivi religiosi e culturali si genera un atteggiamento generalmente omissivo verso la ricchezza.
Sulla seconda, invece, occorre fermarsi un attimo. Sappiamo perfettamente in Italia i dati sulla gravità della povertà, come è possibile che sui ricchi e le loro ricchezze effettive non ci sono dati adeguati. Le fonti ci sono, ma sono poche e molto lacunose: la Banca d’Italia e l’Istat redigono periodicamente un’indagine sulla ricchezza delle famiglie e delle società finanziare, tuttavia, si tratta soltanto di uno studio campionario. Lo stesso si verifica per il rapporto dell’Istat sui consumi, le condizioni di vita e i redditi delle famiglie. Non si dispone, inoltre, di una vera anagrafe patrimoniale.
La terza ragione, invece, è determinata molto più banalmente, si fa per dire, dal fatto che dipende dall’elevatissima e vergognosa evasione fiscale esistente, che viene purtroppo tollerata e resta impunita.
I ricchi e i superricchi italiani non hanno alcun interesse a far emergere i dati delle proprie ricchezze, visto e considerato che cercano da sempre di occultarle allo Stato e al fisco. Un dato inquietante, riportato da Marcon, riguarda il cosiddetto tax gap, ossia, la differenza tra le tasse che lo Stato avrebbe dovuto incassare se tutti avessero rispettato la legge e quelle effettivamente incassate.
La cifra arriverebbe a 103 miliardi di euro per il solo periodo 2017-2019.
Altri dati angoscianti, per il valore economico che rappresenta, riguardano l’enorme economia sommersa, il cui valore stimato per difetto, per il solo 2022, si aggira intorno ai 184 miliardi di euro. A questo poi, va aggiunto il fatturato generato dalla criminalità organizzata, da sempre caratteristica del nostro Paese. La mafia avrebbe prodotto un giro di affari per 140 miliardi.
In confronto a questi numeri, le tanto sofferte leggi finanziarie dei governi, con le “modestissime” cifre di una ventina di miliardi, sembrano addirittura risibili.
Una piccola riflessione al riguardo sembra utile, se si recuperassero solo in parte i soldi dell’evasione fiscale e dell’economia sommersa tutti pagheremmo meno tasse e avremmo dei servizi come la scuola e la sanità di livello elevatissimo.
Ma ben sappiamo che due sono le fondamentali variabili da prendere in considerazione per quantificare la ricchezza: i patrimoni e il reddito. Per il primo, nel 2022, Credit Suisse, definendo come ricchi coloro che dispongono di un patrimonio netto di almeno 1 milione di dollari e super-ricchi quelli che superano i 100 milioni di dollari, ha individuato con certezza in Italia 3930 degli 84490 super-ricchi di tutto il pianeta. Per il 2026, l’istituto in questione prevede un aumento del numero dei ricchi in Italia del 18%, arrivando alla soglia di 1 milione 672 mila individui.
Anche dal punto di vista del reddito, le stime sembrano rimanere invariate: il 10% dei più ricchi detiene il 32,2% del reddito totale. Marcon chiosa, commentando questi dati: ‹‹L’1% più ricco della popolazione (circa 500mila persone) detiene tra il 22 e il 24% della ricchezza totale››, p. 42 del libro. Dal punto di vista del reddito, ‹‹Il 20% più ricco della popolazione è 6 volte più ricco del 20% più povero del nostro Paese. Il 20% dei percettori dei redditi più alti detiene il 40% della torta complessiva dei redditi nazionali, mentre il 20% dei percettori dei redditi più bassi ne detiene solo il 6,6%››, p. 201.
A questi numeri assolutamente imbarazzanti e offensivi per chi nel nostro Paese fatica ad arrivare a fine mese, cioè la maggioranza delle persone.