L’Istat distrugge le illusioni del Governo

Ma quale età dell’oro siamo in retromarcia!

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L’Istat distrugge le illusioni del Governo

 

di Federico Giusti

L‘ Italia continua a scontare un ritardo nella dotazione di capitale umano qualificato, che si riflette anche in una minor capacità di adozione delle tecnologie digitali che richiedono competenze specializzate.

PILLOLE-PER-LA-STAMPA_RAPPORTO-ANNUALE-2025.pdf

Il rapporto annuale Istat boccia il Governo Meloni, non entra nel merito dell’operato governativo e delle scelte adottate ma fotografa, dati alla mano, un paese attraverso una lente obiettiva come talvolta può essere la sola analisi statistica smentendo tutte quelle narrazioni auto celebrative che occupano tv, radio e stampa fin dall’insediamento dell’Esecutivo.

I dati sono sempre impietosi e le rilevazioni Istat non fanno sconti ai Governi qualunque sia il loro colore politico, poi possiamo dubitare su alcuni sistemi di rilevazione, ad esempio quelli relativi alla nozione di occupato. Da qualche anno, dal 2021, su spinta europea, la nozione di occupato è cambiata:

  • i lavoratori in Cassa integrazione guadagni (Cig) non sono più considerati occupati se l’assenza supera i 3 mesi;
  • i lavoratori in congedo parentale sono classificati come occupati anche se l’assenza supera i 3 mesi e la retribuzione è inferiore al 50%;
  • i lavoratori autonomi non sono considerati occupati se l’assenza supera i 3 mesi, anche se l’attività è solo momentaneamente sospesa.

Cambia la rilevazione sulle forze di lavoro – Istat

In estrema sintesi, la durata dell’assenza dal lavoro (più o meno di tre mesi) è il criterio prevalente con cui viene definita la condizione di occupato. 

Il rapporto annuale smentisce non solo le previsioni del Governo ma dovrebbe indurre a qualche riflessione anche le parti sociali, datori e sindacati, siamo ormai il paese in cui i posti di lavoro di nuova creazione vanno ad appannaggio degli over 50, calano produttività e redditi, il potere di acquisto dei salari è in continua erosione, continua la fuga all’estero dei giovani (in meno di 10 anni oltre 90 mila contando anche chi ha fatto ritorno in Italia)

 Se le retribuzioni reali sono ancora ampiamente sotto il livello del pre-covid possiamo immaginare quanto sia grande la perdita del potere di acquisto accumulata in anni nei quali i prodotti elettrici e in generale il costo della vita è cresciuto come non accadeva da tempo. Basti pensare che pur con il codice Ipca si calcola nell’ultimo triennio il 18 per cento di aumento del costo della vita e il Ministro Zangrillo propone di sottoscrivere contratti, per 3 milioni di dipendenti pubblici, con incrementi del 6 per cento.

 Si evidenziano gli effetti devastanti di alcune decisioni, ad esempio avere cancellato il reddito di cittadinanza comporta la crescita della povertà relativa e di quella assoluta, ogni anno aumentano le persone che non si curano perché la sanità pubblica ha tempi di attesa infiniti e rivolgersi al privato avrebbe costi insostenibili.

Il Governo Meloni da tempo si sottrae alla realtà mandando in televisione chi è disposto a sciorinare solo dati parziali senza mai addentrarsi in un ragionamento sui dati stessi, ad esempio se un paese non riesce a garantire formazione e inserimento lavorativo agli under 40 significa che va a ricollocare solo la forza lavoro in età avanzata che possiede competenze immediatamente spendibili. Questa ennesima e furbesca via di uscita presenterà il conto al sistema produttivo nei prossimi anni quando sconteremo la assenza di figure professionali debitamente formate e preparate per essere immesse nel mercato del lavoro.

Ma anche sui numeri la narrazione tossica meloniana non la racconta giusta, il tasso di occupazione è il più basso tra i 27 Paesi dell’unione europea e, come spiegato pocanzi, non solo oltre l’80 per cento dei nuovi occupati sono over 50 ma sotto i 30 anni gli occupati risultano in forte calo.

Hanno ragioni da vendere quanti parlano non di crescita degli occupati ma di incremento dell’età pensionabile, siamo in perfetta linea di continuità con i Governi precedenti innalzando l’età di uscita dal mondo del lavoro. Ma in questo modo non solo l’ascensore sociale resta fermo ma anche l’occupazione non cresce. E stagnano anche i salari perché in paesi con risultati economici analoghi e peggiori dei nostri le buste paga sono cresciute come potere di acquisto, in Italia invece no (la perdita di potere d’acquisto rispetto al 2019 è pari al 4,4%. E la erosione si è fermata al 2,6% in Francia e all’1,3% in Germania, mentre in Spagna c’è stato un guadagno del 3,9%).

Sempre il rapporto annuale parla di un paese alle prese con crescenti disuguaglianze in particolare tra aree geografiche e in base al livello di istruzione. Ci sono troppi giovani che abbandonano gli studi, non completano le scuole superiori e non acquisiscono un diploma di laurea, la bassa scolarizzazione è ancora identificabile in una forza lavoro sottopagata o disoccupata, con salari da fame e una condizione di vita assai precaria.

Gli anni del jobs act hanno indebolito il potere contrattuale ma anche arretrato le condizioni di vita e di lavoro, la vulnerabilità occupazionale è anche sintomo di fragilità sociale come per altro dimostra l’elevato numero degli inattivi, di quanti sarebbero disposti a lavorare ma una occupazione non la trovano.

Parlavamo all’inizio poi del calo di produttività che l’Istat ha fotografato in base ad ogni ora lavorata (meno1,4%), un altro elemento di riflessione in un paese nel quale si pensa che la riduzione del cuneo fiscale e del costo del lavoro siano sufficienti per il rilancio della economia.  E anno dopo anno il calo della produttività fotografa un paese lontano dai processi innovativi e dagli investimenti che poi sono da sempre fattori dirimenti per la crescita economica.

Quello che salva, solo al momento, i salari italiani dalla assolta debacle è la inflazione bassa anche rispetto ad altri paesi europei, se la inflazione aumentasse la erosione del potere di acquisto sarebbe subito percepibile  e assai maggiore, forse l’intervento sulla dinamica dei prezzi di beni energetici ed alimentari ha prodotto dei buoni risultati ma, in prospettiva, l’aumento della spesa militare ed eventuali dazi potrebbero rimettere tutto in discussione e in maniera a dir poco traumatica confermando la inadeguatezza di questo Esecutivo che riesce a guadagnare consensi senza mai affrontare i reali problemi del paese.

E a conferma di questa dissociazione dalla realtà un passaggio eloquente dal Rapporto Istat

Nel mercato del lavoro, nonostante l’occupazione abbia raggiunto il massimo storico, l’Italia presenta ancora tassi di partecipazione tra i più bassi d’Europa, in particolare per giovani e donne. La qualità dell’occupazione è migliorata in termini di stabilità, ma persistono forti vulnerabilità. Le condizioni economiche delle famiglie restano fragili. La povertà assoluta è stabile rispetto all’anno precedente ma in aumento nel confronto con il 2014. Anche tra chi lavora si diffonde la vulnerabilità economica con l’aumento delle persone i cui redditi non sono sufficienti a garantire un livello di vita adeguato. Le condizioni di salute mostrano segnali contrastanti. La speranza di vita alla nascita ha superato i livelli pre-pandemici, ma gli anni vissuti in buona salute si riducono, soprattutto tra le donne e nel Mezzogiorno. La rinuncia alle prestazioni sanitarie è in aumento, in particolare a causa delle lunghe liste di attesa o per motivi economici. Il disagio psicologico cresce e le condizioni di salute soggettive dichiarate dalle persone con disabilità restano critiche. Per loro la prevalenza di malattie croniche è molto elevata, colpendo in particolare gli anziani, con un impatto più marcato sulle donne.

 

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