Mega-elezioni in Venezuela, il chavismo stravince
Una vittoria storica, una vittoria popolare. Unanime la sintesi espressa a caldo dal presidente venezuelano Nicolas Maduro e dai dirigenti del Partito Socialista Unito del Venezuela sulle mega-elezioni del 21 novembre. Poco prima dell’annuncio dei risultati, l’allegria sui volti di Diosdado Cabello, vicepresidente del Psuv e di Tania Dia, portavoce del Comando di Campagna Aristobulo Isturiz e infaticabile motore della comunicazione del partito, avevano lasciato presagire la vittoria: “Abbiamo ottimi motivi per sorridere”, aveva preannunciato Diosdado in una breve conferenza stampa.
A qualche ora dallo spoglio (i seggi si sono chiusi un po’ oltre le 18 ore locali per consentire a chi era in coda di esercitare il proprio diritto al voto), il presidente del Cne, Pedro Calzadilla ha annunciato i nomi dei governatori e delle governatrici, grazie all’efficiente sistema altamente informatizzato che ha retto anche questa elezione n. 29. Ai principali cartelli di opposizione, vanno tre governatori su 23 stati. Al chavismo, gli altri 20, più l’importante municipio della capitale, dove governerà l’almiranta Carmen Rodriguez, scelta a furor di popolo come candidata del Psuv durante le primarie del partito, che hanno rinnovato i volti di queste elezioni per oltre il 90%.
Con oltre il 90,21% dei voti scrutinati e una partecipazione del 41% (8 milioni di persone, superiore a quella del 2017), i venezuelani hanno eletto 3.082 candidati e candidate, distribuiti in 23 governatorati, 253 legislatori statali (152 per lista, 93 con voto nominale e 8 per le popolazioni indigene), 335 sindaci, per voto nominale, e 2.471 supplenti o consiglieri (1.420 con voto lista, 982 con voto nominale, e 69 per le rappresentazioni indigene). La gran maggioranza degli oltre 70.000 candidati al voto – che in Venezuela non è obbligatorio, perché è considerato un diritto e non un dovere, è stata presentata da partiti e organizzazioni della destra.
Nel paese erano presenti 350 “osservatori” dell’Unione Europea, dell’Onu, del Centro Carter e di altre importanti organizzazioni regionali (fatto salvo l’Organizzazione degli Stati Americani, Osa, che non era stata invitata, considerati i precedenti di parzialità e ingerenza dimostrati in altri paesi del continente, a cominciare dalla Bolivia). Se agli invitati del Cne si aggiungono quelli dei vari partiti e istituzioni venezuelane, il numero degli accompagnanti, dispiegati in tutto il paese, arriva a circa 500.
Nonostante i consueti allarmi, lanciati da alcuni media internazionali, tutto si è svolto nella calma e nella stretta osservanza delle misure di sicurezza dovute al covid-19, ed è terminato con mega-feste in tutti gli stati. Di pochissimo peso anche le dichiarazioni bellicose di quelle frange di estrema destra che, pur avendo avuto propri candidati a sindaci e governatori, hanno continuato gli appelli al sabotaggio, sperando di mantenere ancora un simulacro di rappresentanza all’”autoproclamato” presidente a interim Juan Guaidó. Ma i fatti sono lì a dimostrare che, anche i più inveterati oppositori del chavismo, hanno dovuto ammettere la legittimità di Nicolas Maduro, come unico presidente legittimo, eletto dal popolo.
Tra gli stridori registrati durante la giornata elettorale, le dichiarazioni dei due rettori di opposizione eletti nel Cne, che stanno dimostrando un’attitudine tutt’altro che imparziale, secondo i quali “la presenza dell’Unione Europea non legittima il governo Maduro”. Da tutt’altra sponda, fa discutere l’informativa del Partito Comunista Venezuelano, che ha presentato un’informativa all’Unione Europea, secondo la quale sarebbero stati violati i diritti politici della sua formazione.
Intanto, si sta terminando il conteggio relativo ai municipi, che dovrebbe confermare la tendenza espressa nelle governazioni.