Pensioni, il Governo si rimangia le promesse elettorali
di Federico Giusti
Il Governo Meloni continua, al pari degli esecutivi precedenti, a far cassa sulle pensioni, da qui il taglio alla quota retributiva delle pensioni dei dipendenti pubblici che a fine dicembre 2015 avevano meno di 15 anni di contributi, parliamo di quanti usciranno, da qui ai prossimi anni, dal mondo del lavoro.
Le pensioni anticipate erogate prima dei 67 anni, che nell’arco di pochi anni diventeranno 68 con l’aumento della aspettativa di vita, subiranno i tagli alle aliquote di rendimento.
Il Governo interviene sulle posizioni contributive già maturate solo per risparmiare sui futuri importi dell’assegno previdenziale e del TFR.
Parliamo di miliardi di euro di tagli alle pensioni dei lavoratori pubblici che già subiscono contratti nazionali rinnovati a un terzo del costo della vita, buoni pasto fermi da lustri a 7 euro quando nel privato sono quasi il doppio.
Il Governo che prometteva il “superamento della Legge Fornero” o “quota 41 per tutti” si è rimangiato le promesse fatte, anzi ci contringeranno a posticipare l’uscita dal mondo del lavoro fino a quasi 70 anni di età solo per non subire decurtazioni ad una pensione che, calcolata con il sistema contributivo, si annuncia già più bassa di quella percepita dai nostri genitori.
L’incidenza della spesa pensionistica lorda sul PIL in Italia nel 2022 (15,6 per cento) risulta più elevata rispetto a Francia, Germania e Spagna ma se guardiamo ad alcune proiezioni, ad esempio dati Istat e il Rapporto AWG 2024 si capisce che obiettivo del Governo è quello di ridurre fino al 13,7 la spesa previdenziale. Se perfino i centri studi legati ai due rami del Parlamento stanno esaminando le dinamiche di spesa previdenziale per rendere le pensioni compatibili con una economia a bassa crescita possiamo sostenere che il Governo si prefigge alcuni obiettivi quali scoraggiare l’uscita anticipata dal mondo del lavoro e per farlo ha bisogno di diminuire il futuro importo dell’assegno pensionistico e l’ammontare del TFR sperando, in tempi brevi , che lo stesso sia destinato interamente alla previdenza integrativa.
Meloni interviene ancora sulle pensioni sapendo che aggiustando il tiro (ad esempio riducendo le aliquote di rendimento) si andranno a costruire dei meccanismi atti a ridurre complessivamente la spesa previdenziale, ad affidarsi a quella integrativa, a posticipare l’età della pensione, a scoraggiare uscite anticipate Poi dovranno intervenire, e qui diventa una impresa ardua, per accrescere la produttività del lavoro (in Italia a lungo hanno pensato ad una unica soluzione ossia la riduzione delle buste paga), per aumentare le ore lavorate, il numero degli occupati, ridurre la vasta platea dei part time incolpevoli.
E a proposito del pragmatismo Governativo non sfugga alla nostra attenzione la modalità con cui si sono sottratti ai pronunciamenti della Corte Costituzionale che imponevano tempistiche nel pagamento del TFR nella Pubblica amministrazione analoghe a quelle del settore privato, dopo mesi i lavoratori pubblici continuano a ricevere il loro TFR con anni di ritardo. La disparità di trattamento è non solo inaccettabile ma la stessa Corte Costituzionale esce delegittimata da questo desolante panorama.
Siamo in presenza allora di scelte che vanno in una sola direzione: aggirare i principi costituzionali, introdurre tagli e penalizzazioni per le lavoratrici e i lavoratori pubblici che per altro, ormai da anni, subiscono una continua erosione del potere di acquisto, tagliare le aliquote di rendimento, ritardare le finestre di uscita per la pensione fino ai mancati impegni per la erogazione in tempi accettabili del TFR/TFS. La riduzione del valore medio della pensione rispetto a quello del reddito da lavoro è un elemento comune ai paesi Ue, si tratta ora di rafforzare il depotenziamento della pensione diminuendo progressivamente l’importo dell’assegno la cui diminuzione è partita molti anni fa da quando sostituirono il calcolo retributivo (la pensione si adeguava alla media delle retribuzioni negli ultimi anni di lavoro) con quello contributivo
Non ci sono altre parole per descrivere questa situazione: fanno cassa sulla pelle dei lavoratori e delle lavoratrici della Pubblica amministrazione.