Pepe Escobar - Perché Thailandia e Cambogia sono in conflitto (e si anche questo fa parte della guerra ai BRICS)
Domina la nebbia di guerra. Un esperto analista thailandese si preoccupa dell'intersezione di così tanti elementi che non sembrano avere senso: "C'è qualcosa di molto strano in questa guerra. Sembra che qualcuno stia spingendo entrambe le parti ad una escalation"
di Pepe Escobar – Sputnik
[Traduzione a cura di: Nora Hoppe]
Finora, l'escalation domina anche la scena. Nonostante la "Tempesta Tariffaria Trumpiana" (T3) si sia ora riciclato come "Paciere", vantando il suo "accordo" sull'"Arte del Cessate il Fuoco".
Eppure, questo lunedì, è in realtà la Malaysia – attualmente alla guida dell'ASEAN – a fare da mediatrice de facto, con il Primo Ministro Anwar Ibrahim che ospita i colloqui per il cessate il fuoco a Putrajaya. Come già confermato dal Ministro degli Esteri Mohamed Hasan, "questa è una questione ASEAN, e in quanto presidente, dovremmo guidare le trattative."
Alla fine, la Malaysia ha effettivamente guidato. Il Primo Ministro Anwar Ibrahim ha personalmente interrotto un cessate il fuoco tra i belligeranti.
E questo ci porta alla domanda inevitabile: quale tossica convergenza di fattori si è cristallizzata in una guerra calda nel cuore del Sudest asiatico?
Tutto inizia con una faida familiare – come riferito da una fonte d'intelligence thailandese di alto livello – che coinvolge i clan thailandesi degli Shinawatra e i cambogiani degli Hun Sen. Thaksin Shinawatra, di Chiang Mai nel nord, miliardario, ex primo ministro, recentemente graziato dal Re Maha Vajiralongkorn, è il perenne strongman della politica thailandese. Una delle sue figlie, Paetongtarn, è l'attuale Primo Ministro della Thailandia.
Hun Sen, ex soldato dei Khmer Rossi – disertò nel 1977 – già Primo Ministro in due mandati (1985-1993 e 1998-2023) e attualmente Presidente del Senato, è il strongman perenne della Cambogia.
I clan Shinawatra-Hun Sen erano un tempo molto legati, ma recentemente hanno avuto una rottura "irriconciliabile", in parte a causa del nuovo marito di Yingluck, figlia di Thaksin – per inciso, anche lei ex Primo Ministro – che intende aprire un grande casinò nel paradiso turistico di Phuket, progetto legato direttamente all’alleggerimento delle leggi thailandesi sul gioco d’azzardo.
La nuova impresa minaccia di intaccare pesantemente gli enormi profitti che Hun Sen ricava dai suoi casinò situati a Poi Pet, lungo il confine thailandese.
La situazione si complica ulteriormente se si considera lo sfondo della lunga disputa di confine mai risolta, ora riesplosa per colpa di – indovinate un po’ – Pipelineistan: tutto ruota attorno all’esplorazione di petrolio e gas.
L’attuale confine thai-cambogiano è delineato principalmente lungo lo spartiacque della catena montuosa dei Dangrek. Hun Sen è ansioso di conquistare anche piccoli lembi di terra sul lato thailandese dello spartiacque, usando come scusa gli antichi templi khmer. L’intera zona un tempo faceva parte del potente impero Khmer.
La scommessa di Hun Sen è quella di creare un precedente legale per modificare il confine sulla costa. Questo, ovviamente, influenzerebbe i confini marittimi nel Golfo di Thailandia e il controllo dei giacimenti petroliferi e di gas. Attualmente, diverse compagnie occidentali – tra cui Chevron – detengono diritti di trivellazione sul lato thailandese del confine marittimo, da qui il "sostegno" occidentale alla Thailandia.
Ed ecco che entra in scena la Cina. Pechino ha un rapporto commerciale molto significativo con la Thailandia: un fatturato di 135 miliardi di dollari. Una cifra che impallidisce al confronto con i 12 miliardi del commercio Cina-Cambogia. Inoltre, i militari cinesi e thailandesi sono strettamente legati. Per quanto la Cina stia investendo pesantemente nella modernizzazione della Cambogia – incluso un mega polo economico alle porte di Phnom Penh – Pechino non sosterrà la scommessa (ora controproducente) di Hun Sen.
Ora entriamo nella parte più delicata dell’equazione. Thaksin è stato sostanzialmente riportato sulla scacchiera politica thailandese dai consiglieri più vicini al Re, con l’obiettivo di tenere a bada la "minaccia" liberale. Ma ora sembra che Thaksin abbia fatto un pasticcio. E dai circoli monarchici giungono echi di un Re estremamente contrariato – che ha preso la questione con la Cambogia come un affronto personale.
Nell’esercito thailandese – un ambiente estremamente complesso – esistono diverse fazioni. I comandanti che attualmente controllano la situazione al confine sono noti come "gli uomini del Re".
E allora? Da tempo, gli osservatori della volatile politica thailandese sottolineano che il Regno ha nuovamente messo in atto un delicato equilibrio, riuscendo in molti modi ad avere sia gli USA che la Cina dalla sua parte.
Esiste quindi una forte possibilità che l’esercito thailandese spinga più a fondo in Cambogia, assecondando le rivendicazioni irredentiste dei nazionalisti più accesi. Parallelamente, potrebbe rivelarsi un’occasione irripetibile per correggere i confini coloniali stabiliti dal trattato franco-siamese del 1907.
A complicare ulteriormente le cose, queste mosse coincidono con gli interessi delle élite compradore di Bangkok, che disprezzano – e sono state corrotte per ostacolare – una maggiore cooperazione del Sud Globale.
Sì, anche questo fa parte della guerra ai BRICS
Ora, il Quadro Generale. Sia la Thailandia che la Cambogia, nodi cruciali dell’ASEAN a 10 membri, sono profondamente legate alla Cina – dalla geografia alla geoeconomia. Dunque, si applica la classica strategia imperiale del divide et impera – portata all’estremo, e subordinata all’imperativo supremo, come insegnano Mackinder e Mahan riletti in chiave moderna: dare fuoco alle terre periferiche (Rimland) attorno al Cuore Continentale (Heartland).
Questa è la spinta attuale, sotto steroidi, dell’Impero del Caos. E non abbiamo ancora visto nulla. E non dimentichiamolo: la Thailandia è anche un partner dei BRICS. Il Caos destabilizza contemporaneamente ASEAN e BRICS.
E ora, sangue sui binari – letteralmente. Un progetto chiave della Nuova Via della Seta è la linea ferroviaria ad alta velocità di oltre 6.000 km che collegherà Kunming, capitale dello Yunnan, al Sudest Asiatico fino a Singapore.
Il tratto Kunming-Vientiane (Laos) è già operativo, con successo strepitoso. L’estensione thailandese fino a Nong Khai – finora afflitta da corruzione dilagante – potrebbe finalmente essere completata entro il 2030. Un ulteriore ramo Vietnam-Cambogia collegherà Ho Chi Minh e Phnom Penh a Bangkok.
La guerra è scoppiata proprio al confine thai-cambogiano. Il copione del "Desperation Row" è sempre lo stesso: far saltare i corridoi di connessione dell’ASEAN dall’interno, con una guerra tariffaria abbinata a un possibile conflitto regionale.
Globalsouth.co sta fornendo analisi preziose, arrivando a elencare le "Autostrade per l’Inferno" promosse dall’Impero del Caos. Ecco una lista (non esaustiva) di esempi di divide et impera che circondano Cina, Iran e Russia – quello che chiamo il "Triangolo Primakov rivisitato" (RIC).
Si comincia con Gaza – e la Palestina, in prima linea nella Guerra all’Asse della Resistenza.
Poi c’è la disintegrazione in corso della Siria tramite i salafiti-jihadisti riabilitati; il piano di smembramento del Libano; il doppio/triplo gioco perenne del Sultano Erdogan; e soprattutto l'imminente attacco dell'Asse sionista all’Iran.
La Russia dovrà affrontare senza sosta nuovi fronti oltre la guerra per procura in Ucraina (ormai al collasso): la nuova Cortina di Ferro nel Baltico, con il sogno di trasformarlo in un "lago NATO"; il terrorismo nel Mar Nero – ossessione suprema dell’MI6; la strumentalizzazione della Moldavia e i piani per un attacco alla Transnistria; le infiltrazioni dell’MI6 tra i jihadisti emergenti in Asia Centrale; e il gioco mafioso dell’Azerbaigian, guidato da Aliyev.
Ali Akbar Velayati, consigliere dell’Ayatollah Khamenei, avverte che la proposta statunitense di prendere il controllo del corridoio strategico di Zangezur è una scommessa geopolitica di "USA, Israele, NATO e movimenti panturchisti" per "indebolire l'Asse della Resistenza, recidere il legame dell'Iran con il Caucaso e imporre un blocco terrestre a Iran e Russia nel sud della regione".
Spostandoci in Asia meridionale, orientale e sudorientale, assistiamo a un caos intermittente imposto alle relazioni India-Pakistan (entrambi membri dell'SCO); ogni tentativo immaginabile, ufficiale e non, per destabilizzare il Mar Cinese Meridionale – fino a spingere Taiwan a una provocazione finale contro la Cina; nuove provocazioni tra Cina e Giappone sulle isole Diaoyu/Senkaku; e tentativi di innescare una guerra regionale tra Thailandia e Cambogia, accompagnati da possibili rivoluzioni colorate – un copione già visto in Myanmar.
Tutto questo senza nemmeno considerare il fronte africano – dalla Somalia alla Nigeria (un partner dei BRICS), passando per l'Alleanza degli Stati del Sahel e la Repubblica Democratica del Congo (RDC). E in Sud America, il bersaglio prescelto è ovviamente il Brasile, specialmente dopo il successo del vertice BRICS di Rio; Brasilia, considerata l'anello debole dei BRICS a Washington, è ora sotto un incessante attacco commerciale e geo-economico da parte di Trump 2.0.
Il Ministero degli Esteri cinese, sempre impeccabilmente educato, ha almeno riassunto il sentimento del Sud Globale: "Gli Stati Uniti hanno perso la loro legittimità di guidare il mondo agli occhi delle nazioni. Non sono più moralmente qualificati per parlare di valori o di pace mentre sostengono un genocidio a Gaza."
Ciò significa che praticamente nessuno, in nessuna latitudine asiatica, è disposto a diventare un'Ucraina 2.0, asservita ai piani di CIA/MI6/NATO per fabbricare una guerra contro la Cina. È esattamente ciò che la presidenza rotante malese dell'ASEAN comunicherà oggi sia a Bangkok che a Phnom Penh. Il vertice annuale ASEAN si terrà in Malaysia il prossimo ottobre.
Cosa dovrebbero fare i BRICS nel breve termine, mentre l'incandescenza prevale? Agire con discrezione e astuzia, guardando al lungo periodo, ad esempio privilegiando la "centralità dell'ASEAN". Alla fine, potrebbe rivelarsi che gli USA siano lo "stato pivot", dato che i veri centri di potere del divide et impera occidentale rimangono Tel Aviv e Londra.