Protezionismo sì o protezionismo no?

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Protezionismo sì o protezionismo no?

 

di Federico Giusti

L’elezione di Donald Trump ha dimostrato che un repubblicano alla Casa Bianca non avrebbe interrotto le guerre in corso, anzi se guardiamo alla Palestina Israele agisce indisturbata e con maggiore collaborazione militare ed economica da parte della Nato e degli Usa di quando i democratici erano al potere. Giusto per ricordare che farsi illusioni sui presidenti Usa è non solo sbagliato ma assai pericoloso.

Di nuovo, ma fino ad un certo punto, c’è la teoria della "America First", ossia la somma tutela degli interessi economici e strategici Usa, da qui l’adozione dei dazi e la sostanziale imposizione alla Ue di sobbarcarsi l’onere della guerra in Ucraina.

Senza giocare sulle definizioni la cosiddetta Trumponomics non ha portato benefici alle classi sociali meno abbienti, si è accanita ferocemente sulle università dove la cultura liberal è ancora forte, ha individuato nei migranti la vittima sacrificale della propaganda di rito. L’inasprimento delle politiche tariffarie rientra nel classico protezionismo economico del quale nel primo mandato di Trump avevamo avuto un assaggio con risultati deludenti visto che da una parte era diminuito il disavanzo con la Cina ma al contempo cresciuto il totale ammontare del disavanzo stesso.

Gli Stati Uniti sono il primo patner commerciale dell’Unione Europea che a sua volta presenta un grande disavanzo commerciale proprio verso gli Usa e in particolare nel settore dei servizi.

Oggi la Ue dipende dagli Stati Uniti per il rifornimento di gas e petrolio che prima acquistava dalla Russia a costi decisamente inferiori (oltre il 400 per cento in meno), aggiungiamo la dipendenza tecnologica e militare e ricaveremo un quadro assai preoccupante per il vecchio continente che abbracciando le ragioni del Riarmo farà felice, da qui ai prossimi 10 anni, gli Usa.

Un anno fa l’Italia registrava un avanzo commerciale verso gli Stati Uniti di 38,9 miliardi di Euro, questo avanzo si va contraendo per le ragioni sopra evidenziate ossia l’acquisto di energia a prezzi esorbitanti.

Le conseguenze dei dazi sono ancora tutte da verificare ma i costi doganali avranno impatti negativi sui settori manifatturieri quali la meccanica, la farmaceutica, l’agro alimentare e il settore del lusso e della moda, dovremo attendere mesi prima di quantificare il calo delle esportazioni italiane e le probabili conseguenze sul fatturato delle imprese di casa nostra e sui posti di lavoro

Detto ciò la Ue non può permettersi di andare in ordine sparso e per questo nasce il riarmo con sinergie tra imprese produttrici di più paesi, allo stesso tempo i paesi del vecchio continente non potranno permettersi lotte intestine trovando invece strategie comuni per penetrare nei mercati emergenti come quelli asiatici, orientali del Golfo e dell’area confinante con la Ue

La supremazia del dollaro potrebbe poi giocare un ruolo negativo per la Ue e la sua indubbia forza finanziaria come dimostrano i miliardi di dollari investiti nel debito pubblico statunitense e le azioni detenute da europei nei mercati azionari di Oltre Oceano. E per chiudere questo breve ragionamento andrebbe aperta una discussione sul ruolo delle tante multinazionali statunitensi operanti nei paesi della Unione Europea per le quali Trump ha ottenuto la assicurazione che potranno continuare a svilupparsi e concludere affari vantaggiosi.

Un’arma a doppio taglio per la Ue, una politica fiscale aggressiva verso queste aziende potrebbe portare all’abbandono di questi colossi economici dei paesi europei con una crisi occupazionale senza precedenti, dall’altra parte gli Usa ben sanno che limitare gli scambi commerciali e in particolare le esportazioni europee verso gli Stati Uniti avrebbe un impatto negativo proprio sulle aziende a stelle e strisce. Per queste ragioni gli inasprimenti tariffari sono stati assai ridotti rispetto alle prime avvisaglie per evitare che pesassero sugli interessi economici americani.

Ma fino a quando varranno questi equilibri?

 

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