Resistenza e Sobrietà

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Resistenza e Sobrietà

 

Per chi come noi si sente antifascista nell’animo avere un sussulto di ripulsa è stato più che naturale, ma ci è voluto poco a ridimensionare l’indignazione appena ci si è resi conto che si trattava solo di una frase cretina detta in modo ancor più cretino. L’invito alla “sobrietà” per l’ottantesimo Anniversario della Liberazione si è rivelata una tafazzata in piena regola ed ha sortito l’effetto opposto rispetto a quello auspicato, rendendo la ricorrenza quella più partecipata degli ultimi anni.

Cosa che con un minimo di discernimento sarebbe stata ampiamente prevedibile.

Val la pena osservare che, mentre l’evocazione di tale virtù con riferimento al 25 aprile è avvenuta del tutto a sproposito, sarebbe stata invece auspicabile per il funerale di un papa che aveva chiesto di esser seppellito nella nuda terra. Ma come si sà logica e coerenza versano in pessime condizioni di salute e così quell’evento è stato il palcoscenico di una gara di ipocrisia dove alcuni leader mondiali hanno dato il meglio di sé (tralasciamo i particolari, ampiamente illustrati e approfonditi dai giornalacci e giornaloni nostrani che a loro volta vantano tradizioni consolidate in materia).  

Ma a pensarci bene, una certa “sobrietà” riguardo alla Festa della Liberazione sarebbe, almeno per i tempi a venire, parimenti auspicabile, ciò detto, da una prospettiva completamente diversa rispetto a quella dell’iniziale proponente e con buona pace sia dei detrattori della Resistenza quanto degli apologeti e dai sacerdoti del mito resistenziale. Gobettianamente parlando, gli avvenimenti recenti hanno costituito la miglior dimostrazione di come anche un certo antifascismo, al pari del fascismo sia ormai parte integrante dell’autobiografia della nazione.”

A pensar male si fa peccato ma spesso ci si azzecca”…. L’emanazione del decreto luogotenenziale istitutivo della ricorrenza del 25 Aprile avvenne all’epoca in via del tutto strumentale, in funzione del referendum che si sarebbe tenuto di lì a poco il 2 giugno 1946. Che glielo avesse suggerito De Gasperi o meno, il “re di maggio” cercò di prendere le distanze dalle vergogne di casa Savoia e salvare la monarchia. Finita l’epoca dei governi CLN e iniziata quella del centrismo la festa venne istituzionalizzata con la stessa legge che riconosceva il 2 giugno come Festa della Repubblica (L. 27 maggio 1949, n. 260).

Occorreva creare un diversivo e allo stesso tempo dare un contentino alla parte di popolo sensibile alla propaganda socialcomunista. Bisognava elargire incentivi identitari, sull’onda di quanto era già stato fatto dai comandi militari alleati, quando a guerra finita avevano cercato di farsi restituire le armi dalle formazioni partigiane seminando a spaglio attestati di riconoscimento e benemerenze.

Lo scopo degli alleati era quello di depotenziare i propositi di palingenesi e rinnovamento sociale, e per far questo la Resistenza andava istituzionalizzata. Si sarebbero messi anche col diavolo ew quel galantuomo di Churchill ci aveva provato con l’”operazione Unthinkable” (è credibile che gli americani ne fossero rimasti all’oscuro?), ma era essenziale che lo spettro del nazi-fascismo restasse sullo sfondo; serviva ad imbellettare il presente, ovvero a far dimenticare, come a tutti gli effetti si fosse passati da un’occupazione all’altra. L’istituzione del 25 aprile come festa nazionale rappresentò la classica occasione per prendere due piccioni con una fava.

Dopo il breve escursus veniamo all’oggi. Chi riduce il fascismo all’intolleranza e alla violenza contro gli oppositori rimarca il carattere più saliente del cd. fascismo diciannovista ma tralascia sistematicamente la caratteristica più saliente del fascismo-regime, ovvero il suo far leva sulla piaggeria e l’accondiscendenza popolari, radicate su un substrato cattolico secolare.

Nel nostro come nella maggior parte degli altri paesi occidentali, la religione cattolica è oggi in profonda crisi, ma a livello antropologico la morale e la cultura da questa determinate sono operanti, a tutti i livelli. Le manifestazioni recenti hanno mostrato come l’antifascismo politico sia diventato ormai un succedaneo religioso con una sua liturgia di formule fisse e stereotipate tra cori di “Bella ciao”, letture ispirate e rassicuranti riproposizioni rituali. Né sono mancati episodi che ricordano visioni estatiche e madonne piangenti; il sindacalista che si inventa aggressioni squadriste, la fornaia ispirata che si sente già a Ventotene ecc..

C’è insomma una sorta di conservatorismo “resistenziale”, del tutto autoreferenziale, che al pari di quello omologo di parte cattolica si auto-gratifica e si auto-frequenta mentre le religioni originarie perdono adepti. Sono le facce da Ventotene di cui parla M. Travaglio, gli “antifascisti Immaginari” di cui al libro di A. Padellaro (PaperFirst 2025), per lo più ospiti fissi dei vespri serali targati La Sette (quelli con cui spesso battibeccano gli stessi Travaglio e Padellaro sempre dagli scranni di la Sette). Questo tipo di antifascismo ha i suoi fedeli e oltre a qualche successo editoriale assicura una rendita di posizione costante in termini politico-elettorali, sia pure in calo per ovvie ragioni anagrafiche. Il che non rende certo onore a quanti allora si opposero alla barbarie nazifascista, oltre a non appassionare, quanti malgrado il fuoco incrociato, conservano ancora un minimo di senso critico.

Ma non è tutto. Si è visto, e questo è stato sicuramente l’aspetto più deleterio, con quanta facilità questo antifascismo politico si sia prestato all’uso pubblico della storia restituendo un messaggio che ha completamente stravolto l’impianto originario. In tal senso l’incessante riferirsi alla guerra in Ucraina come guerra di Resistenza proveniente anche dalle più alte cariche istituzionali costituisce un triplice insulto: ai morti di ieri, a quelli di oggi (russi o ucraini che siano) oltre che alla verità storica e alla capacità di analisi dell’ascoltatore. La nostra lotta di resistenza nasce dal sottrarsi al bando Graziani, ovvero dalla Diserzione. Potrebbe esservi una differenza più profonda coi reclutamenti forzati che grazie ai regimi illiberali e compiacenti degli stati limitrofi si estendono persino oltre i confini della stessa Ucraina? E così l’unico evento esaltante nella storia d’Italia viene usato ed abusato in un gioco perverso all’insegna del “gambling with world war three” (Copyright Donald Trump).

 Nel suo travagliato percorso la storia d’Italia ha una sua grandezza, e non può tollerare questa retorica grossolana e mistificante. La data simbolo, quella da celebrare, dovrebbe essere l’8 settembre 1943, quando di fronte alla fuga vergognosa di chi fino allora aveva governato l’Italia ognuno fu posto di fronte all’onere della scelta. Tra questi vi erano anche ragazzi di vent’anni o poco più o poco meno.; qualcuno scelse il riscatto dalla barbarie, dalla vergogna e dall’oppressione, altri andarono di fatto ad ingrossare i ranghi della “suprema bestia predatrice” come fin dall’inizio i nazisti amarono definirsi. A onor del vero va ricordato che, come scrisse Italo Calvino, allora nella maggior parte dei casi l’ideologia contò poco mentre furono rilevanti le circostanze ambientali, famigliari e personali: “ci voleva poco a finire dall’altra parte ( Il sentiero dei nidi di ragno, 1947). Questa è la storia di ieri e di oggi, e che resta ai margini delle parate delle ricorrenze ufficiali.

Alessandro Mariani

Alessandro Mariani

Laurea magistrale in Scienza politiche e a seguire in Giurisprudenza. In  buen retiro dopo 40 anni di Guardia di Finanza. Con attività avventurose cerco di contrastare il fattore tempo e mantenere un livello stabile di endorfine che mi consenta di coltivare a tempo perso velleità saggistiche e letterarie. A tempo pieno gestisco l’eredità di una prole, dottoranda oltre frontiera.

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