Se la Germania in recessione aumentasse il salario minimo
di Federico Giusti
Salario minimo a 15 euro all’ora, questa è la proposta di alcuni partiti che da mesi invocano la crescita dei salari nonostante due anni e mezzo in recessione economica.
Se confrontiamo l’andamento salariale renano con quello italiano si comprende come il divario tra i due paesi sia cresciuto da 30 anni a questa parte, logica suggerirebbe che, se la economia italiana va meglio di quella tedesca, non sia accettabile che i nostri stipendi continuino a stare fermi. Il Governo e le associazioni datoriali propongono aumenti, per il pubblico e il privato, pari a un terzo della inflazione nell’ultimo triennio.
Il salario minimo in Germania nel 2025 è pari a 12,82 euro/ora, 41 centesimi in più del 2024, le cifre sono lorde e in alcuni settori i livelli minimi salariali sono decisamente più alti, nel resto d’Europa la situazione è assai diversificata, in alcune nazioni non esiste il salario minimo legale e si rinvia alla contrattazione di settore come nel nostro paese.
Abbiamo già sviluppato in passato ragionamenti articolari sulla dinamica salariale e contrattuale specie quando il Cnel levò, nell’autunno 2023, le castagne dal fuoco al Governo Meloni disinnescando sul nascere una discussione sulla necessità di accrescere i salari italiani partendo da una norma di legge a fissare un salario minimo
SALARIO MINIMO, ASSEMBLEA CNEL APPROVA DOCUMENTO FINALE
Allora il Cnel, unitamente ai sindacati rappresentativi e al Governo, evitò di dare impulso ad una discussione in un paese che veniva dagli anni pandemici ma anche da una mobilitazione che da allora si è letteralmente spenta, l’adozione di un salario minimo avrebbe messo nei guai il Governo e i suoi traballanti conti ma anche il sindacato che sigla contratti nazionali con paghe basse.
La paga oraria fu introdotta in Germania nel 2015, in quella occasione venne fissata a 8,50 euro orari, le preoccupazioni di partiti come la Cdu parvero infondate e l’economia continuò a crescere. Al contrario in Italia la stagnazione salariale è anche risultato delle delocalizzazioni produttive e di un sistema industriale fermo, di una crescita nulla da lustri e di interi settori che puntano tutto sulla contrazione del costo del lavoro come avviene nelle economie meno sviluppate.
Il salario minimo tedesco di 10 anni fa sarebbe già vantaggioso rispetto al trattamento oggi riservato in qualche contratto nazionale siglato da Cgil Cisl Uil, immaginiamoci poi per gli altri contratti definiti pirata.
E a poche ore dal voto in Parlamento il presidente Cnel Brunetta ha subito sposato la legge approvata in senato, con l’astensione del Pd e il voto favorevole di Italia Viva, che assume nelle relazioni sindacali il modello non conflittuale e rivendicativo proprio della Cisl
“L’approvazione in via definitiva del Disegno di legge di iniziativa popolare sulla partecipazione dei lavoratori alla gestione delle aziende rappresenta una svolta epocale, che segna un discrimine tra un prima e un dopo. Si chiude l’era avviata con le rivoluzioni industriali, basata sul modello tradizionale della distribuzione del reddito e del controllo esogeno della produttività, un modello distributivo e salariale non più in grado di assicurare la sostenibilità del welfare e, quindi, destinato a implodere. E si apre uno scenario nuovo, capace di garantire un’equa redistribuzione dei guadagni di produttività derivanti dalle nuove tecnologie. Tutta la cassetta degli attrezzi del mercato del lavoro costruita intorno all’800 e al 900 deve essere rivista, a fronte delle grandi transizioni in atto. Solo così possiamo passare dalla società dei salariati alla società della partecipazione. Perché non funziona più il conflitto tra i fattori della produzione. Va anche evidenziato che la legge approvata è di natura promozionale e sostiene la contrattazione. Non è impositiva. Inoltre, è previsto un importante ruolo per il CNEL, stabilendo l’istituzione presso il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro della Commissione nazionale permanente con funzioni interpretative e di indirizzo sull’attuazione della partecipazione dei lavoratori alle aziende. Possiamo festeggiare un traguardo storico, che finalmente attua l’articolo 46 della Costituzione. Un traguardo che rafforza e rilancia la democrazia economica e sociale del Paese, aprendo una nuova stagione nei rapporti tra sindacati e imprese, centrata sul coinvolgimento attivo dei lavoratori nei processi decisionali delle imprese
BRUNETTA: CON APPROVAZIONE DDL PARTECIPAZIONE SVOLTA EPOCALE
Parole profetiche quelle di Brunetta che poi ritroviamo in bocca a vari esponenti sindacali e politici, tutti accomunati dalla esaltazione del modello senza conflitto. Se due anni fa si rinviava alla contrattazione di settore oggi si va ben oltre, si manda in soffitta un percorso di rivendicazioni salariali e contrattuali giudicato errato e impositivo e ancora una volta si vanno a rafforzare organismi paritetici e lo stesso ruolo del Cnel che molti, a destra come a sinistra, anni fa giudicavano un carrozzone tanto inutile quanto dispendioso. Sotto i nostri occhi e con l’immancabile sostegno del centro sinistra stanno gettando le basi di un nuovo sistema di relazioni sindacali che subordina le istanze salariali e contrattuali agli andamenti economici e azionari dell’impresa.
Siamo certi che i fatti ci daranno presto ragione ma nel frattempo dovremo subire ogni genere di offesa da quanti sosterranno la nostra critica come ideologica e pregiudiziale. Del resto, quando cancellarono la scala mobile dicemmo che i salari avrebbero perso potere di acquisto mentre tutti erano dell’avviso che saremmo stati meglio. Dopo 30 anni, i salariati odierni stanno peggio dei loro padri.
Chiudiamo con una considerazione ossia la critica al salario minimo come soluzione errata perchè farebbe crescere la spirale dei prezzi.
Anche questa tesi è veramente discutibile, il potere di acquisto è quello che conta e le politiche di austerità hanno ridotto la capacità di spesa dei salariati italiani e perfino i loro risparmi mentre sono cresciuti gli indebitamenti anche per il progressivo depotenziamento dello stato sociale.
La tenuta dei salari è data da tre fattori: la tutela del potere di acquisto determinato da meccanismi di reale equità e quindi ben diversi da quelli attuali, da un welfare funzionante (dalla istruzione alla scuola fino alle pensioni per capirci) e da politiche attive che favoriscano, a tassi agevolati, l’acquisto della casa o affitti a prezzi calmierati.
In questi 30 anni gli affitti sono schizzati alle stelle, un piano casa non si vede da oltre 60 anni, i rinnovi sono avvenuti ben al di sotto del costo della vita e i soli vantaggi derivano dalla riduzione delle imposte che poi hanno ripercussioni negative sulla tenuta dello stato sociale
Se i sindacati italiani rappresentativi sono divisi nelle soluzioni, ma stranamente ancora uniti avendo da tutelare previdenza e sanità integrativa, in Germania il Dgb, l’unione dei sindacati, parla di una giusta paga oraria se pari a 14,83 ero per il 2025 e di 15 euro e 27 a partire dal 1° gennaio 2026, la paga minima si dovrebbe attestare attorno al 60 per cento del salario medio.
Ora non è detto che i buoni propositi sindacali siano destinati al successo visto che il Riarmo in Germania comporterà tagli al welfare e ingenti finanziamenti alla riconversione industriale a fini di guerra. La differenza è che in Germania, al contrario dell’Italia, è vivido il dibattito sulle scelte da operare materia di economia e salari, non mancano ripensamenti rispetto alle politiche degli alti salari e basta ricordare che oggi un operaio qualificato cinese guadagna sei o sette volte in meno di uno renano che potrà poi contare anche sul welfare e sul reddito di cittadinanza. Ma nonostante tutto, un paese che in piena recessione decide di non abbassare il salario minimo ha idee ben più chiare del nostro, è consapevole che senza una domanda interna adeguata l’economia non riparte, proviamo a ricordarlo ai sonnolenti media italiani.