Se perfino il CSM critica il decreto sicurezza

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Se perfino il CSM critica il decreto sicurezza

 

di Federico Giusti

«L’impatto complessivo che le nuove disposizioni potranno avere sul carico di lavoro e sull’assetto organizzativo degli uffici non e? del tutto prevedibile. E? pero? evidente che il sistema giudiziario non potra? non risentirne, essendo acclarato il fatto che, in linea di principio, a favorire una migliore efficacia dell’organizzazione, con riferimento alle politiche di individuazione degli ambiti di rilievo penale delle condotte, siano solo interventi ispirati alla logica, opposta, della depenalizzazione, seguita – dopo il significativo intervento normativo di cui ai decreti legislativi nn. 7 e 8 del 2016 – unicamente con riferimento ad alcune ipotesi di delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione (Capo I del Titolo II del Libro II: essenzialmente, l’abuso d’ufficio, cui e? seguita l’introduzione del nuovo art. 314-bis c.p.; si veda parere reso da questo Consiglio con delibera del 21.2.2024)». 

Il parere della VI commissione del CSM sul decreto sicurezza | Sistema Penale | SP

Anche il Consiglio superiore della Magistratura contesta il decreto sicurezza , lo fa adducendo motivazioni diverse dalle nostre ma con parole forti e concetti chiari in particolare ove critica apertamente i nuovi reati e l’inasprimento delle pene a cui aggiunge forte preoccupazione per la gestione degli uffici e del sistema giudiziario stesso.

Siamo ormai davanti non solo a autentici deliri di onnipotenza ma a quel fenomeno definito da più di un giurista “incontinenza securitaria”, a una visione della giustizia classista che punisce severamente i reati di piazza ma si mostra assai blanda verso altri reati legati a fenomeni corruttivi che minano la tenuta e la credibilità delle istituzioni. Non esiste necessità e urgenza per legittimare l’operato della Meloni e la rinuncia a un percorso legislativo ordinario, si teme di fatto una discussione in Parlamento che negli ultimi mesi aveva anche evidenziato innumerevoli criticità del testo inizialmente approvato alla Camera nel settembre 2024.

 E la decretazione di urgenza su un tema per altro non centrale ma senza dubbio qualificante per la maggioranza di destra arriva anche attraverso la parziale riscrittura di alcune norme che mal si sarebbero coniugate con il dettato Costituzionale. Chi poi si attendeva un atto eroico del Presidente della Repubblica è stato ancora una volta smentito, del resto non è mai stata esercitata la potestà di fermare norme di chiara marca repressiva: dalla Legge Reale a quella Cossiga, dai primi pacchetti sicurezza al testo oggi delle destre.

E appellarsi alla costituzione o al Presidente Mattarella è il solito rituale, e inutile, esercizio di impotenza politica. Sul finire del mese di maggio viene annunciata una manifestazione nazionale a Roma da una rete contro il decreto Sicurezza dentro cui ritroviamo anche posizioni politiche che ai tempi di Minniti non si sono fatti scrupoli a votare in Parlamento i testi o a girarsi dall’altra parte quando si invocava la mobilitazione contro i processi repressivi.

La mobilitazione contro questo pacchetto ha scontato le solite divisioni anche in seno alla sinistra politica e sindacale, esistono più reti contro il decreto e perfino rispetto ad un obiettivo minimo non c’è stata alcuna convergenza. Ma focalizzare l’attenzione sulle zone rosse attorno alla stazione è il peggior servizio reso a una sana discussione sul decreto, un mero cedimento alla di movimento rispetto alla sostanza del problema.

 Dovremmo partire dalla nozione di sicurezza ossia dalla sicurezza di un lavoro degnamente retribuito, di una casa dalla quale non si possa essere sfrattati per incolpevole morosità, dalla sicurezza ambientale consapevoli che opporsi a una grande opera devastante per il nostro territorio non si traduca in anni di carcere. Non abbiamo mai sentito pronunciare questi concetti elementari da Bonelli e Fratoianni o men che mai dal Mov 5 Stelle, nel recente passato alcuni parlamentari delle forze politiche appena citate o hanno votato decreti vergognosi che spianarono la strada alla tutela della sicurezza concepita solo in termini securitari o si sono attestati su posizioni di comodo e generico attendismo. Estrarre dal cilindro legislativo nuovi reati o inasprire le pene per quelli già esistenti, criminalizzare l’opposizione sociale, sindacale e politica anche quando compie azioni non violente, arrivare a colpire il cosiddetto terrorismo della parola rappresenta un verso salto di qualità nella costruzione dello Stato penale. E poi le condizioni disumane nelle carceri, le ulteriori ipotesi di ostatività per beneficiare di misure alternative alla detenzione, norme che prevedono una eccessiva tutela delle forze dell’ordine, sono tutti elementi sufficienti a dubitare che un domani possa ancora esistere uno Stato di diritto.

Inutile negarlo ma la narrazione della destra appare fin troppo convincente agli occhi della opinione pubblica, la destra garantista verso i primi si mostra invece feroce persecutrice degli ultimi e da qui la risposta penale, il carcere vissuto come rimedio assoluto, la certezza della pena per i reati di piazza mentre i reati dei colletti bianchi se non restano impuniti ricevono comunque trattamenti fin troppo benevoli.

La risposta penale è oggi politicamente ed elettoralmente produttiva, il ricorso a politiche panpenaliste convince una opinione pubblica debitamente pilotata che l’esecutivo è attento verso i cittadini. Ci stiamo letteralmente americanizzando, ricordiamo ancora quando qualche giornalista e pseudo intellettuale di sinistra con le lacrime agli occhi rimpiangeva gli anni vissuti negli Usa (dove era lautamente pagato e con l’assicurazione privata garantita) dimenticando che in quel paese, con la popolazione penitenziaria più numerosa al mondo, nel quale era applicata la pena di morte, si registrano i maggiori tassi di criminalità e di innocenti ingiustamente imprigionati.

Siamo davanti allo stato etico contro quello di diritto, alla impunità dei potenti e alla feroce repressione degli ultimi, a un fiume di luoghi comuni elevati a somma conoscenza come quando il Ministro della Giustizia asserì che il sovraffollamento carcerario è causato dai troppi reati o quando si confonde la resistenza passiva con la rivolta carceraria stabilendo nei fatti un doppio registro della giustizia, dentro e fuori le sbarre, dentro e fuori le caserme, per le forze dell’ordine e per i manifestanti. Cosa altro dovrà accadere per risvegliarci dal lungo sonno della ragione?

 

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