Standard and Poor's irrompe nelle elezioni in Brasile

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Standard and Poor's irrompe nelle elezioni in Brasile

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di Ludovica Morselli

Sarà stato veramente un lunedì nero per la presidente del Brasile Dilma Rousseff quello di questa settimana. Infatti, la notizia che l’agenzia di rating ha declassato il debito brasiliano da BBB1 a BBB, quindi a un passo dai titoli spazzatura, dev’essere stato un boccone amaro. 
 
La ragione sta nelle preoccupazioni per una crescita economica troppo debole unite a una politica economica inefficace e le previsioni di un aumento di spesa pubblica considerevole per il prossimo futuro. Comunque di certo non si può parlare di fulmine a ciel sereno. Era nell’aria da mesi e ce lo si aspettava soprattutto di fronte a diversi avvertimenti che l’agenzia aveva diffuso a Giugno 2013. Questo era quello che dichiarava S&P 10 mesi fa: "L'outlook negativo riflette il fatto che ci sia almeno una probabilità su tre che il crescente fardello del debito sovrano e l'erosione della stabilità macroeconomica portino ad un downgrade (...) nei prossimi due anni".  
 
Una delle maggiori preoccupazioni di S&P è la dipendenza da prestiti di banche controllate per lo più dallo stato per pompare l’economia aumentando i consumi. Il problema però è che di fronte a un aumento dell'inflazione, la crescita è stata minima o comunque insufficiente e i consumatori brasiliani si sono dimostrati tiepidi o del tutto indifferenti. Inoltre, questa pratica indebolisce le banche stesse nel mercato finanziario poiché risultano come creditori ai consumatori stessi e soprattutto, fa apparire il sistema finanziario brasiliano non trasparente: sono operazioni che non compaiono nel bilancio governativo eppure sono finanziate dai contribuenti; una situazione a dir poco torbida. 
 
A parte le complicazioni del sistema finanziario nazionale, il peggioramento dell’economia brasiliana è ben visibile dai dati: nel 2010 il Brasile cresceva a tassi del 7,5%, solamente un anno dopo la crescita era diminuita addirittura al 2,7% per poi crollare nel 2012 allo 0,9%. Tuttavia, il Ministro delle Finanze brasiliano ha criticato la decisione di S&P rilanciando che il tasso di crescita del 2013 al 2,3% è stato molto più alto di quello della maggior parte dei membri del G20 e che è un giudizio che non corrisponde alle solide basi economiche del Brasile.

Inoltre, il fatto che vi siano elezioni incombenti sta spingendo la Rousseff a concentrarsi su opere infrastrutturali che le portino consensi ma di fronte a un taglio delle tasse questo non può che comportare un aumento del deficit. Per l’appunto l’agenzia di rating ha previsto che il debito brasiliano raggiungerà la quota del 45% del PIL diminuendo la capacità del paese di reazione a shock esterni. 
 
Ora la paura, soprattutto tra gli investitori, è che si arrivi a un contagio con altre agenzie di rating ovvero Fitch e Moody’s nonostante S&P abbia fatto capire che non vi saranno più altri downgrade da parte sua almeno nel breve periodo: “Abbiamo appena rivisto l’outlook del Brasile a stabile (non BBB- come inizialmente dichiarato ndr), non ci aspettiamo altri cambiamenti a breve termine”, così ha commentato l’analista dell’agenzia Lisa Schineller.  Eppure le altre agenzie di rating hanno rassicurato che non ci sarà nessuna revisione del rating brasiliano almeno non prima delle elezioni; chissà se c’è da fidarsi però considerato che il downgrade di S&P non era assolutamente previsto così presto. 
 
La popolarità della Rousseff non sembra aver patito ma questa notizia è stato un bel regalo per l’opposizione. Ha così commentato il leader dell’opposizione Aécio Neves: “Il Brasile sta attraversando un triste momento di mancanza di fiducia e reputazione rovinata”; e ha inoltre affermato che il downgrade è dovuto alla manipolazione dei conti pubblici, all’esorbitante spesa pubblica e all’indulgenza riguardo l’inflazione. Insomma questa notizia non poteva venire in un momento migliore per l’opposizione che nei sondaggi rimane ancora nettamente in svantaggio rispetto alla presidente in carica, che anzi vede la sua popolarità tra gli elettori in crescita. 

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