Tempo di ammazzare il maiale: lo stato delle relazioni USA-UE

Tempo di ammazzare il maiale: lo stato delle relazioni USA-UE

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di Edoardo Laudisi per l'AntiDiplomatico


Nel mondo contadino preindustriale tanto rimpianto da Pasolini, quando le cose si mettevano male e all’orizzonte si affacciava il volto fetido della carestia, rimaneva solo una cosa da fare: ammazzare il maiale. Il suino è stato per secoli una riserva mobile di grasso e proteine per i tempi duri. Senza andare troppo indietro nel tempo, ancora nell’Italia dell’immediato dopoguerra il porco era considerato la dispensa naturale per l’inverno e quando veniva scannato faceva festa tutta la tribù. L’animale tirava le cuoia ma la famigliola contadina andava avanti fino a primavera, in temo per avviare un altro ciclo produttivo e scampare la fame. Prima del sacrificio il verro era curato e coltivato a dovere affinché ingrassasse ben bene così che le sue carni, di cui non si buttava via nulla, potessero sfamare la comunità. Il successo dell’operazione dipendeva dal fatto che l’allevamento e la conservazione della riserva mobile di grasso non insospettiva la povera bestia circa il suo destino. La si lasciava razzolare liberamente nel cortile dal quale ovviamente non poteva scappare fino al giorno della mattanza e poi, quando meno se l’aspettava zac, un colpo di mannaia e via; mors tua vita mea.

Ora si dà il caso che nella vita, come in politica, capiti che qualcuno diventi suo malgrado il maiale di qualcun altro. Vale per gli esseri umani ma vale anche per gli Stati. Naturalmente anche in questo caso chi fa le veci del suino ignora il destino che lo attende, e, nell’improbabile caso in cui dovesse accorgersene, ci penserebbero i media solerti a fugare ogni sospetto. Questo rapporto padrone – vittima sacrificale caratterizza l’essenza della relazione attuale tra Stati Uniti d’America ed Europa. Dopo aver allevato e ingrassato il maialino europeo per tanto tempo - dal piano Marshall fino alla costruzione dell’Unione Europea il suino di Bruxelles è stato tirato su a suon di dosi massicce di libero mercato e scambi commerciali dazi free, con lo zio Sam che si faceva carico della difesa dal cattivone di turno e garantiva la stabilità interna del porceddu europeo affinché potesse prosperare e ingrassare in pace- è giunto il tempo di sacrificarlo.

La crisi del sistema dollaro accelerato dalla guerra in Ucraina e l’emergere del mondo contrapposto dei Brics rischiano di compromettere gli asset Usa in Asia e Medioriente con conseguente perdita di risorse fondamentali per il sistema americano. E così qualcuno a Washington deve aver pensato che fosse giunto il momento di consumare il maiale. Infatti, la sostituzione forzosa delle fonti energetiche europee da quelle a buon mercato russe a quelle molto più costose americane altro non è che un trasferimento di ricchezza dall’Europa agli Usa che affossa noi e garantisce a loro lo standard di benessere per i duri anni a venire. La stessa cosa vale per le industrie europee attirate negli Usa a botte di incentivi statali; Northvolt (Svezia), Linde e VW (Germania) solo per fare alcuni nomi, mentre in Europa gli incentivi statali sono proibiti in nome del dio mercato. Così si spolpano le province per rimpinguare le casse di Roma in modo che Roma possa continuare a prosperare e a condurre le sue guerre. Lo schema arcinoto del colonialismo si ripete con l’Europa nei panni della vittima sacrificale proprio quando, è questo ha del grottesco, l’ondata woke dei progressisti engagé la indica proprio l’Europa come la madre di tutti i colonialismi presenti sulla faccia del pianeta.

Il fatto che una parte dell’Occidente cannibalizzi l’altra per difendere il suo primato nella gerarchia delle nazioni, rende sempre più probabile che il ciclo economico occidentale abbia esaurito la sua capacità di costruzione e pertanto possa continuare a funzionare solo scalzando a poco a poco le sue stesse basi materiali. A questo va aggiunto che gli strumenti della lotta economica: manipolazione cognitiva attraverso i media, esaltazione del lusso, corruzione, investimenti basti sul debito, smercio di prodotti assolutamente inutili con procedimenti quasi violenti, speculazione finanziaria spinta che spolpa interi settori produttivi, questi strumenti tendono tutti a distruggere le fondamenta della nostra vita economica e della nostra società.

Non che l’altra parte del mondo sia messa meglio. Anche lì agiscono le stesse cinghie di oppressione e sfruttamento, quello che cambia semmai è la propaganda con la quale si copre la sciagura. Però a questo giro il maiale da sgozzare siamo noi. Tocca a noi, è il nostro turno. E a portarci allo scannatoio sono le nostre classi dirigenti le quali, essendosi completamente liberate dai vincoli di rappresentanza democratica, si orientano e rendono conto ad altri poteri e ne seguono l’agenda. In altri tempi questo si sarebbe chiamato tradimento, oggi invece si dice governance e a nessuno importa se passa sopra ai principi fondamentali delle nostre ormai ex democrazie.

Edoardo   Laudisi

Edoardo Laudisi

Edoardo Laudisi (Genova, 1967) è scrittore e traduttore. Ha pubblicato il romanzo “Zenone” (2001, Prospektiva Letteraria) l’ebook “Superenalotto” (2013), il romanzo “Sniper Alley” (2015, Elison Publishing), il romanzo “Le Rovine di Babele” (2018, Bibliotheka Edizioni), il saggio “Germania anno nero” (2020 Edizioni Epokè). Laureato in economia, suoi articoli sono apparsi su numerose riviste e siti internet. 

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