Totalitarismo digitale
Standardizzazione dei comportamenti, controllo a distanza, accessibilità ai contenuti, sono gli aspetti delle attuali forme di disciplina attraverso cui viene a manifestarsi la società della sorveglianza
di Giuseppe Giannini
L'entusiasmo crescente che viene dai media e da diversi settori delle istituzioni, con tanto di pubblicità e testimonial pensati ad hoc, verso le trovate tecnologiche, da ultima l'intelligenza artificiale, rappresenta la forma recente di indottrinamento delle masse, affascinate da tutto ciò che è nuovo. Un linguaggio affabulatorio ci viene propinato senza nessuna preoccupazione sulle conseguenze che queste innovazioni possono comportare.
Già l'avvento di internet, la diffusione dei social e delle applicazioni di interazione continua fra distanti non presenti fisicamente avrebbero dovuto insegnarci qualcosa. La surrogazione del reale attraverso l'immersione in una dimensione altra dove costruire la nostra proiezione. Un doppio più attraente dell'essere corporeo con le sue imperfezioni. Eppure sono evidenti gli effetti nefasti che il progresso della tecnica (quello della civiltà è tutt’altra cosa) dispiega sugli umani.
Soprattutto con riguardo alle giovani generazioni cresciute con il telefonino a disposizione sin dall'età infantile come se fosse qualcosa di normale/naturale. Modi di fare, che non sono modi di essere, e che diventano abitudini incidenti sui comportamenti. Ed in quanto tale l'etimologia della parola "incidente" dovrebbe chiarire come qualsiasi cosa che è una caratteristica proveniente dall'esterno diventa allo stesso tempo condizionante.
Quindi siamo di fronte a prassi normalizzate piuttosto che ad eventualità (incidenti di percorso). Così la maggior parte delle persone di qualsiasi età o luogo sono ridotte da qualche decennio ad essere degli zombie camminanti con la testa perennemente piegata. Impossibilitati a staccarsi dalle tentazioni della rete, il cui eccesso di contenuti lascia poco spazio all'autonomia. Desiderosi di novità fino a diventare bulimici alla fine il rischio è l'incapacità di elaborare un pensiero critico. E considerando come le tecniche manipolatorie e disinformative si siano affinate appare sempre più complesso riuscire a discernere.
Di questo passo i bipedi disumanizzati saranno in futuro sempre più ingobbiti e con problemi di vista, ma soprattutto, anche a causa dell’analfabetismo di ritorno e della poca trasparenza (faziosità, propaganda, servilismo) dell’informazione, avulsi dalla realtà. Se pensiamo ai video generati dall'intelligenza artificiale, in grado di riprodurre voci e sembianze di ognuno come distinguere ciò che è vero da quanto è pura imitazione? E’ opportuno ribadire che ogni rivoluzione industriale, se nell’immediato può portare benefici negli aspetti pratici, di fatto, a lungo termine, si risolve nel creare nuove dipendenze.
La potenza del mondo di internet ci mette tutto a disposizione, fino a poter giocare, grazie alla intelligenza non umana, ma programmata ed allenata dalla neuroscienza, con le esistenze altrui. Le piattaforme accontentano tutti coloro a cui piace apparire ed essere onnipresenti. Allo stesso tempo immagazzinano i nostri dati presenti, il passato (foto, esperienze, curriculum), comprando di fatto gratis le nostre esistenze. Abbiamo superato il confine tra la dimensione pubblica ed il privato, sacrificato il pudore, pur di illuderci di essere celebri nella rete. Come diceva Guy Debord lo spettacolo del capitale ha assunto una tale forza da diventare immagine.
L'accumulazione va dalle risorse alle competenze invadendo la sfera immateriale. L'antico scopo del capitalismo: quello di fare profitti. Lo sfruttamento che allargando la sua influenza su ogni aspetto dell'esistente trasforma il capitalismo stesso rendendolo parassitario, informatizzato, tecnologico (Capitalocene e Tecnocene) La pericolosità, in questo caso specifico, è che si gioca con la vita delle persone. Dalla reificazione di marxiana memoria all’ibridazione con il dispositivo e successiva sostituzione dell’umano, le cui peculiarità - sentimenti, emozioni, stati d'animo, gusti – diventano merce preziosa.
L'intelligenza post-umana è una macchina deficiente, perchè per quanto programmata e standardizzata, anche se capace di immagazzinare dati all'infinito o di effettuare molteplici operazioni, impossibili per la mente biologica, essa va comunque in crisi di fronte all’imprevisto. Ci sono aspetti e facoltà dell'essere umano che nemmeno il miglior calcolatore è capace di comprendere.
Allenati nel copiare e raccogliere informazioni da elaborare ma inabili a capire l'ironia, il sarcasmo, e il linguaggio metaforico, i robot, gli algoritmi, o gli assistenti virtuali, vanno in crisi quando davanti a loro appare l'inconsueto. Sfuttare questi aspetti potrebbe servire ai cittadini per sviluppare quel penisero critico con cui chiedere risposte ai decisori sugli impatti che ha la tecnologia. Il problema è che già abbiamo rovinato vite e rimodellato le esperienze di intere generazioni secondo i dettami della tecnica. Dove sta l'etica? Politici, economisti, scienziati, sono consapevoli dei danni neurologici e sociali che hanno contribuito a produrre?
L’eccesso di contenuti che conduce all’ansia, all'apatia, alla noia. Conseguenze deleterie arrivano a comportamenti autolesionistici o desocializzanti. Con l’ AI viene portato a compimento il progetto storico di controllo delle masse, in maniera soft, grazie al consenso dei sudditi. Secondo una visione distopica, che supera, peggiorandole, le previsioni dei migliori romanzi di fantascienza. Ray Bradbury, George Orwell, Aldous Huxley, Philip K. Dick, Isaac Asimov, J. G. Ballard e la letteratura cyberpunk sono stati profetici. Hanno cercato di metterci in guardia sui meccanismi perversi che lambiscono il potere.
Solo che qui non abbiamo a che fare con i sistemi totalitari o le dittature, ma con regimi che si autodefiniscono democratici e liberali. Siamo passati dalle forme conosciute di autoritarismo a quelle sottili e meno violente dell'attuale totalitarismo tecnologico.