Tra escalation e diplomazia: il pericoloso balletto di Trump sui missili per l'Ucraina
La possibile consegna dei missili fa tremare i già fragili rapporti con la Russia, che parla di "danno irreparabile". Ma sullo sfondo, la diplomazia silenziosa tra Washington e Mosca non si è mai fermata
In un'inedita dichiarazione a bordo dell'Air Force One, il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha definito la possibile fornitura di missili da crociera Tomahawk all'Ucraina come un "nuovo passo di aggressione". L'affermazione, fatta riferendosi a una richiesta del Presidente ucraino Zelensky, getta una luce nuova e contraddittoria sul sostegno USA al regime di Kiev, suggerendo un possibile riallineamento della strategia di Washington.
Trump ha rivelato di aver discusso la questione con Zelensky e di aver valutato la possibilità di parlare direttamente con la Russia al riguardo. "Potrei dire: 'Guardate, se questa guerra non si risolve, manderò loro i missili Tomahawk'. Potrei dirlo", ha affermato il Presidente, descrivendo il missile come un'arma "incredibile" e "molto offensiva" che la Russia "non si aspetta". Tuttavia, ha subito dopo aggiunto: "Onestamente, forse dovrei parlare con la Russia. Vogliono che i Tomahawk siano puntati contro di loro? Non credo. Penso che ne parlerò con la Russia".
Queste parole risuonano come un potenziale cambio di passo, interpretabile sia come una pressione negoziale su Mosca che come una presa di distanza dalla linea più bellicosa sostenuta da alcune frange dell'establishment più atlantista.
Dall'altra parte del fronte, la reazione del Cremlino non si è fatta attendere e è stata univoca nel suo monito. Il portavoce Dmitrij Peskov ha bollato l'eventualità di un invio di Tomahawk come una mossa che "potrebbe finire male", sottolineando come l'utilizzo di tali sistemi d'arma richiederebbe necessariamente la partecipazione di specialisti militari nordamericani, un fattore che condurrebbe a un'escalation diretta. Peskov ha inoltre ribadito, in linea con le precedenti dichiarazioni di Mosca, che non esistono "armi magiche" in grado di ribaltare le sorti del conflitto.
Anche il Ministero degli Esteri russo, per voce della portavoce Maria Zakharova, ha avvertito che una decisione del genere "infliggerebbe un danno irreparabile" alle relazioni bilaterali russo-statunitensi, che dopo il vertice in Alaska avevano mostrato timidi segnali di disgelo.
Proprio il vertice dell'Alaska di agosto tra Trump e Putin sembra essere il riferimento per entrambe le parti. Nonostante le critiche dei media occidentali all'inviato speciale americano Steve Witkoff, una nota di Kirill Dmitriev, assistente del Presidente russo che ha partecipato ai colloqui, conferma che il dialogo tra Washington e Mosca "prosegue sulla base degli accordi raggiunti al vertice". Questo suggerisce che, nonostante le dichiarazioni pubbliche infuocate, canali diplomatici più discreti rimangono aperti, con l'obiettivo dichiarato di trovare una soluzione negoziata alla crisi ucraina, un esito che, come fatto notare dall'assistente presidenziale Yury Ushakov, non è visto di buon occhio da Kiev e dai suoi sostenitori europei "che non vogliono che la crisi ucraina venga risolta pacificamente".
La situazione dipinge quindi un quadro complesso, dove le dichiarazioni pubbliche di Trump sui Tomahawk sembrano un pericoloso gioco per alzare la posta, mentre i diplomatici lavorano dietro le quinte, cercando di tenere in vita un dialogo la cui fiamma, come ha affermato il vice ministro Sergej Ryabkov, è stata in gran parte spenta dai "sostenitori della guerra" in Europa.