Ucraina: venti di guerra in stile Geogia 2008

Ucraina: venti di guerra in stile Geogia 2008

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Si intensificano i venti di guerra in Ucraina, dove da mesi si susseguono scontri sulla linea di contatto del Donbass, mentre Kiev continua a lanciare proclami sulla necessità di un ritorno delle recalcitranti regioni autonome sotto la sua giurisdizione, unitamente alla Crimea, oggi russa.

A dare notizie allarmanti sugli sviluppi ucraini sono stati prima i media russi, ma oggi la crisi è sotto gli occhi di tutti. Allarmi sono risuonati alti e forti in Francia e Germania. Per questo la Merkel e Macron hanno tenuto colloqui (online) con Putin, ma con scarso successo.

Zelensky e Biden non possono frenare

Lontani i tempi in cui il presidente ucraino, Volodimir Zelensky, parlava di pace: allora alla Casa Bianca sedeva Donald Trump, interessato a porre fine al conflitto. Oggi il presidente ucraino non può porre alcun freno alle spinte revansciste del suo Paese, dato che la nuova amministrazione Usa è piena di democratici che al tempo alimentarono il conflitto tra Kiev e Mosca.

Né sembra che Joe Biden possa porre un freno ai falchi che lo attorniano, dato che per lui l’Ucraina è campo minato a causa dello scandalo che per poco non ha travolto il figlio Hunter.

Questi, infatti, quando il padre era vice di Obama, entrò nel consiglio di amministrazione di Burisma, un’operazione di lobbyng che permetteva all’azienda ucraina di accedere ai più alti livelli del potere Usa.

L’attività di Hunter in Burisma finì però al centro di un’inchiesta giudiziaria ucraina che impensierì il padre, tanto da adoperarsi per chiuderla, come dichiarò in un pubblico intervento.

Anche se addirittura lo stesso Putin, avversario di primo livello di Joe e con informazioni accurate sulla nazione vicina, ha dichiarato che Hunter non aveva commesso alcun illecito in Ucraina, di certo a Kiev hanno carte che potrebbero mettere in imbarazzo il nuovo inquilino della Casa Bianca.

E senza Biden a frenare, la crisi ucraina rischia di degenerare. I russi, che si aspettano l’inizio delle ostilità con l’arrivo del caldo, che favorisce le manovre militari nella fredda ucraina, hanno iniziato ad ammassare truppe al confine.

Sanno perfettamente che stavolta, se guerra sarà, sarà più dura della precedente. La controparte non sarà avventata come nel 2014, quando si illuse in una facile vittoria, rimediando una lacerante sconfitta.

Peraltro a complicare le cose il disastroso stato economico dell’Ucraina: di fatto una nazione fallita, destino comune di tutti i Paesi che hanno visto la vittoria delle rivoluzioni colorate a guida Usa.

Un dissesto aggravato dalla guerra e dal Covid-19, che solo gli aiuti internazionali consentono di occultare, ma fino a un certo punto. Una guerra potrebbe apparire ad alcuni dei suoi governanti e ai loro alleati internazionali una via di fuga per evitarne la disgregazione in stile Libia.

Dalla Georgia all’Ucraina

Ad alimentare le tensioni, la spinta dell’alleato d’Oltreoceano. Ne scrive, sul National Interest, Ted Galen Carpenter, che fa un parallelo tra quanto sta avvenendo in Ucraina con quel che avvenne in Georgia.

“L’amministrazione Biden – scrive Carpenter – sta correndo il grave pericolo di replicare la disastrosa politica di George W. Bush che incoraggiò il presidente della Georgia, Mikheil Saakashvili, a credere che il suo Paese fosse un prezioso alleato degli Stati Uniti e che gli Stati Uniti e la Nato sarebbero giunti in soccorso della Georgia se questa fosse stata coinvolta in un conflitto armato con la Russia”.

“Saakashvili aveva tutte le ragioni per ritenere di avere il sostegno incrollabile di Washington. L’amministrazione Bush aveva fornito a Tbilisi milioni di dollari in armamenti e aveva persino addestrato le truppe georgiane”.

Anche la Georgia, continua Carpenter, era reduce da una rivoluzione colorata vittoriosa come l’Ucraina e come per l’Ucraina anche alla Georgia era stato promesso un posto nella Nato.

Ciò aveva portato “Saakashvili a credere che la Nato si sarebbe coinvolta in un conflitto armato contro la Russia in caso di una resa dei conti tra Mosca e Tbilisi. Così, nell’agosto 2008,  lanciò un’offensiva militare per riprendere il controllo di una regione separatista, l’Ossezia meridionale, che era stata sotto la protezione delle forze di pace russe dall’inizio degli anni ’90”.

Conclude Carpenter: “Nonostante tutte le precedenti espressioni di sostegno, gli Stati Uniti e i loro alleati europei non erano disposti a rischiare un pericoloso e imprevedibile scontro con una potenza nucleare su un’oscura disputa territoriale”.

“Le truppe Usa e Nato rimasero così nelle loro caserme e Saakashvili dovette accettare un umiliante accordo di pace che lasciò l’Ossezia meridionale e un’altra regione secessionista sotto il controllo russo”.

La storia può ripetersi oppure, dato che i falchi Usa sono folli ma non idioti, immaginano di fare dell’Ucraina il Vietnam della Russia, dar vita cioè a una guerra lunga e logorante, che consumi le forze dell’avversario globale.

Detto questo, avevano immaginato lo stesso per la Siria, quando Mosca vi inviò le sue forze armate per sostenere di Damasco (Observer). Non è andata così.

Non si tratta di lodare le capacità strategiche russe, ma di mettere in luce la follia di certi progetti incendiari. Che peraltro non tengono conto che una guerra si sa quando e perché inizia non come si sviluppa o quando finirà. L’Europa ha già dato, si spera che le siano risparmiati altri orrori.

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