Un establishment a corto di credibilità

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Un establishment a corto di credibilità

 

In queste settimane piene di avvenimenti internazionali - dalle elezioni europee al G7 - , che vedono i vertici delle istituzioni dei singoli Paesi incontrarsi per fare il punto sulla situazione, un dato pare evidente: nonostante le drammatiche urgenze (i conflitti in corso), un peggioramento generalizzato della qualità della vita nell'Occidente ricco, gli impatti sulle economie globali e la salute di fenomeni climatici estremi, i capi, coloro che semplicemente stanno alle dipendenze degli interessi capitalistici (estrattivi, militari,della finanziarizzazione ecc.),  ribadiscono la loro distanza dalla materialità delle vicende, camuffandola con le solite dichiarazioni di principio inconcludenti.

Una superbia venata di retorica. Sordi alle richieste di cambiamento, tra una stretta di mano ed un selfie collettivo a disposizione dei gossipari dell'informazione mainstream, imperterriti seguono la loro strada. Tutto ciò che accade intorno non li riguarda.

Prendiamo il conflitto ucraino. Oltre due anni di devastazioni, morti e sofferenze, gli inevitabili effetti collaterali sugli equilibri internazionali, e profittatori pronti ad intervenire, sulla scia di quanto già sperimentato nella ricostruzione irachena. Decenni di provocazioni targate USA/NATO ed una UE colpevolmente incapace di assumere una posizione terza. Gli altri interlocutori, come la Cina, che riveste un ruolo di primo piano avendo da tempo investito in diversi settori, finanziato infrastrutture negli altri continenti, e rappresentante la catena di approvvigionamento per l'interconnessione delle economie, vengono ostacolati. In tal modo, allontanandosi il dialogo tra le parti, diventa difficile una soluzione negoziale.

La questione è sia politica che economica, se pensiamo all'enorme peso in ambito tecnologico della Repubblica Popolare, la quale corre il rischio di scalzare il primato americano, e sappiamo benissimo come storicamente gli USA non siano disposti ad accettare un ridimensionamento del loro ruolo. Con le guerre, le sanzioni e le intromissioni, i governi statunitensi repubblicani o democratici, poco cambia, vogliono ribadire ai vassalli (pardon alleati) occidentali, ma anche agli altri territori a loro alieni (in quanto non conoscono e rispettano le altre culture) la supremazia della forza. Una prepotenza chiamata esportazione della democrazia capitalistica, che da oltre un secolo persegue il  processo di appropriazione di territori, risorse, immaginari.Violenze che seguono quelle prima realizzate dalle potenze europee  ( i tanti colonialismi).

Gli stili di vita vanno modellati sull' ideale tipico del consumismo, chi non si adegua ne paga le conseguenze.

Ora, il ringalluzzito in mimetica, pedina del momento funzionale alle mire strategiche della geopolitica può sorridere: arriveranno altre armi. Poco importa dell'ulteriore spargimento di sangue. Vanno avanti le provocazioni di Stoltenberg (nome omen) e il coinvolgimento più o meno diretto dei vari Stati dell'Alleanza. La guerra per procura rischia di trascinarci in un lungo periodo oscuro. E' impossibile immaginarne le conseguenze. In prima fila troviamo il tronfio Macron, che crede di essere una specie di Bonaparte, ma le similitudini si fermano all'altezza in cm. Dopo aver invocato l'invio di personale militare continentale in Ucraina, e per la quale tutti i contingenti eseguono addestramenti ed esercitazioni, adesso alle prese con la debacle interna reclama l'unità di intenti per sconfiggere le destre estreme.

Corsi e ricorsi storici. Da circa un trentennio, ogni qualvolta lo spauracchio dell'estremismo nazionalista bussa alle porte delle istituzioni dei singoli Stati, ecco puntuale l'appello al voto utile al fine di scongiurarne il pericolo. Mai che costoro facessero mea culpa.

In tutto questo tempo, chi ha governato sono le stesse forze partitiche liberali e moderate, che insieme al sostegno acritico di quelle con un passato socialdemocratico, hanno fatto danni.

Il notevole ridimensionamento delle politiche pubbliche, causa di tagli al mondo del lavoro, alla sanità, all'istruzione ed ai servizi hanno reso il sociale un lontano ricordo.

Pertanto, parte dell'astensionismo è la risposta intesa come crisi di fiducia verso i rappresentanti delle istituzioni. Vi è poi una parte "incattivita" della popolazione, che cerca soluzioni a portata di mano ed ha optato per la via più semplice, quella pseudoidentitaria. Un nazional-populismo che riemerge quando la gente è impaurita, e va alla ricerca di sicurezza in modo da compensare la mancanza di stabilità economica.

Cosi, dal Fronte nazionale francese all' AFD, da Fratelli d' Italia a Vox. Passando per personaggi ambigui ed imparentati con settori xenofobi ai quali strizzano l'occhio in campagna elettorale.

I Lepen, Salvini e Borghezio; e poi Orban e il gruppo di Visegrad. E come non dimenticare Haider. O ancora Farage. Una galassia di sovranisti che alzano i toni in casa propria, prendendosela con chi viene escluso dalle conquiste sociali, attaccando i diritti acquisiti e le rivendicazioni, ma che si guardano bene di mettere in discussione questo modello di sviluppo.

Un paradigma dal quale sono venute fuori storture ed aumentate le diseguaglianze. E' il fallimento della globalizzazione liberista! Mentre capitali e merci circolano liberamente vengono eretti muri e spazi di reclusione per gli espulsi dal market globale. Politiche di chiusura verso l'esterno perseguite dai nazionalisti ed attuate dai liberal e democratici.A voler confermare come la contesa fra le parti riguardi solo la presa del potere, con una maggiore  restrizione dei diritti civili nel primo caso, e di quelli sociali per quanto riguarda i secondi.

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