Un po’ di vera Storia Africana…

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Un po’ di vera Storia Africana…

 

*Daniel Wedi Korbaria

Asmara. Quest’ultima fatica di Alemseged Tesfai[1], intitolata An african people’s quest for freedom and justice[2] (Un popolo africano alla ricerca di libertà e giustizia), è una pietra miliare per tutti coloro che si interessano di Eritrea e che vogliono conoscere veramente la sua Storia, raccontata per voce di uno dei suoi migliori scrittori. Offre una risposta alla fatidica domanda dell'eritreo sceik Ibrahim Sultan[3] rivolta all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite proprio alla vigilia della Federazione dell'Eritrea con l’Etiopia: “Ma perché ci negate il nostro diritto naturale che invece è stato dato alla Libia e alla Somalia?” Inoltre, la sua reperibilità sugli scaffali delle Università anglosassoni, mi auguro presto anche quelle italiane, aiuterà i giovani studiosi a capire le ingiustizie e le malefatte che le Grandi Potenze hanno commesso contro un popolo africano, quello eritreo, già vittima del colonialismo, costringendolo a lottare duramente e a versare il sangue innocente di oltre 100.000 persone per poter trovare quella Libertà e Giustizia negata.

Nella sua voluminosa opera in lingua inglese (536 pagine), con una scrittura accattivante e scorrevole, lo storico eritreo ripercorre cronologicamente tutte le tappe di quegli avvenimenti che dai boicottaggi dell’Amministrazione Militare Britannica (BMA), passando per la farsa della Federazione, condurranno l’ex Colonia primigenia a diventare la 13ma provincia dell’imperatore Haile Sellassie d’Etiopia.

In seguito ai primi malcontenti della popolazione, il Brigadiere Kennedy-Cooke (nominato Amministratore militare dell'Eritrea) emise un ordine per proibire le manifestazioni o gli incontri non autorizzati di più di tre o quattro persone. Così iniziò il rapporto degli eritrei con gli inglesi che avevano promesso loro di “liberarli”. Infatti, per convincere gli ascari a non combattere a fianco degli italiani, nei loro numerosi bombardamenti aerei effettuati in diverse città e che fecero centinaia di morti tra i civili, fecero piovere dei volantini promettendo che se la popolazione non li avesse ostacolati, avrebbero restituito i terreni in mano ai concessionari italiani e concesso l’Indipendenza. Ma, entrati da vincitori, alla gente che li accoglieva festante dissero: Sorry, non l’abbiamo fatto per voi!

Iniziarono subito lo smantellamento di tutte le installazioni costruite dagli italiani e, come preda bellica, le imbarcarono per vendere il ferro a chili. Ponti, ferrovia, moli, gru galleggianti e decine di grandi navi furono venduti al Pakistan per un valore stimato in centinaia di milioni di dollari. Poi passarono agli impianti industriali che furono chiusi, smantellati e spediti ad altri paesi. “Non lasciarono nemmeno chiodi arrugginiti.” scrive Alemseged, citando un detto eritreo. Da veri barbari non risparmiarono nemmeno la teleferica, la più lunga del mondo e tecnologicamente all’avanguardia. L’Autore cita in proposito il libro della studiosa inglese Sylvia Pankhurst “Why are we destroying Ethiopian Ports? Perché stiamo distruggendo i porti etiopi?” dove la signora accusava il proprio Governo di derubare l’Etiopia (e non l’Eritrea).

Non si trattava certo di un lapsus, perché l’unica proposta della Gran Bretagna sul futuro dell’Eritrea era sempre stata quella della spartizione, ossia l’altipiano eritreo e le regioni costiere regalati all’Etiopia, mentre tutto il bassopiano al Sudan Anglo-Egiziano. In pratica non si accettava l’idea di un’Eritrea come nazione indipendente e il popolo eritreo come unico ed indivisibile, perché entrambi sarebbero stati creati artificiosamente dagli italiani e andavano perciò smembrati su base etnico-religiosa. Difatti, nell’identificare gli eritrei, gli inglesi usavano appellativi quali “nativi”, “indigeni”, “copti” o “mussulmani”. Eppure, secondo l’Autore, già dal 1934 gli italiani avevano iniziato a chiamarli “Eritrei”.

Inoltre si erano convinti che gli eritrei non possedessero la capacità di amministrare se stessi, in quanto gli italiani, in 60 anni di colonialismo, avevano negato loro l’istruzione oltre la quarta elementare. Una grande differenza con i propri sudditi sudanesi che loro avevano invece formato adeguatamente fino a renderli dei buoni quadri amministrativi. Che gli italiani avessero educato gli eritrei per trasformarli in ascari e che quel poco di istruzione concesso serviva soltanto per farsi obbedire era innegabile ma gli inglesi usarono questa colpa per ritorcerla contro gli stessi eritrei. 

Ma poiché la malsana idea di smembrare in due il Paese e il suo popolo non ebbe alcun successo, il brigadiere Stephen Longrigg, nuovo Amministratore Capo dell’Eritrea, annunciò l’abolizione del divieto di organizzazioni politiche e perciò gli eritrei sarebbero stati titolati di discutere sul futuro del proprio Paese. Così il Mahber Ficri Hagher (MFH), ossia l’Associazione Amor Patrio, formatosi appena un mese dopo la vittoria della Gran Bretagna e che riuniva sia i musulmani che i cristiani eritrei allo scopo di difenderne gli interessi, verso la fine del 1945, iniziò ad incrinarsi con le prime controversie appunto tra musulmani e cristiani, a causa soprattutto delle interferenze inglesi ed etiopiche. Finché, aggiungendo al nome la dicitura: “Eritrea con Etiopia-una sola Etiopia”, venne trasformato nel Partito Unionista. Chi non era d’accordo con questa deriva unionista, fra tutti Ibrahim Sultan e Weldeab Weldemariam, venne estromesso, cosa che provocò la nascita di nuovi partiti ed associazioni. La prima fu Al Rabita al Islamia al Eritrea (Lega Musulmana dell’Eritrea), nata a Cheren ai primi di dicembre 1946, mentre il Movimento politico liberale progressista, attivo fin dal 1944, assunse la nuova denominazione di Partito Liberale Progressista con il motto: Ertra n’Ertrawyan, l’Eritrea agli eritrei.

Il BMA, preoccupato dalla nascita di partiti che ambivano all’Indipendenza, mise in atto ogni possibile divieto per arginarne la diffusione, ostacolandoli in tutti i modi. Per esempio, per poter indebolire la Lega Musulmana, sostenne nel bassopiano occidentale la creazione dell’alter ego, Lega Liberale; mentre nell’altopiano agevolò l’attività del Partito Unionista a discapito del Partito Liberale Progressista. Alemseged cita le parole del brigadiere Longrigg: “coloro che volevano l’unione Eritrea-Etiopia erano dei giovani educati nelle missioni dell’intellighenzia di Asmara, una piccola proporzione di notabili e di capi-villaggi, i sacerdoti copti che favorivano l’Imperatore nella speranza che poi egli, a sua volta, li favorisca.” Infatti divenne famoso Abune Markos[4], vescovo della chiesa ortodossa Eritrea, che già nel febbraio 1942, riferendosi all’Etiopia, iniziò a predicare ai fedeli di una “Madre che nutre” e negò persino la Santa Comunione, i funerali e i matrimoni a chi non aderiva al Partito Unionista. “Mentre l’idea dell’unione veniva opposta dalla maggior parte dei commercianti e dei notabili, da tutti coloro che valorizzavano il progresso raggiunto dall’Eritrea nell’ultimo mezzo secolo in netto contrasto con le condizioni dell’Etiopia e, ovviamente, anche da tutte le fila dei mussulmani.” Difatti era impensabile per i mussulmani eritrei considerare la sottomissione ad una nazione, quale l’Etiopia, governata con il simbolo della Santa Croce e che apertamente si definiva una Nazione cristiana.

Secondo l’Autore, l’idea dell’unione entrò in Eritrea dall’Etiopia, non nacque in Eritrea, come spesso viene raccontato. Ciò era stato possibile attraverso molti ufficiali del governo etiope di origini eritree che usarono le loro posizioni di privilegio per adescare altri eritrei in Eritrea. Nel raccontare dettagliatamente questi avvenimenti, l’Autore, nella sua prefazione, precisa: “Sono stato fortunato di aver incontrato alcune delle più prominenti personalità di entrambi gli schieramenti e di aver avuto accesso a documenti, articoli di giornali, corrispondenze e fonti simili che mi hanno aiutato ad identificare la grande questione.” Infatti, nel libro sono riportate molte citazioni, centinaia di fonti e qualche interessantissima intervista.

L’aggravarsi della situazione economica della ex Colonia, favorì nel 1943 la nascita di numerosi gruppi shifta (i banditi armati). Quell’anno furono registrate alle stazioni di polizia in tutto il Paese 108 casi di rapina con alcuni omicidi. Negli anni successivi i morti aumentarono e gran parte delle vittime erano italiani che avevano qualche attività imprenditoria, soprattutto le concessioni agricole. Ne parla dettagliatamente Eros Chiasserini nel suo libro intitolato: “Gli anni difficili”.[5] Ma quelli erano anni difficili soprattutto per gli eritrei. Per esempio, il 16 agosto 1946 per le vie di Asmara ci fu il massacro di 40 eritrei cristiani ad opera di soldati sudanesi, importati in Eritrea dagli stessi inglesi. Durante i funerali, il vescovo Abune Markos si rivolse direttamente al nuovo Capo amministrativo, Benoy, dicendo: “Né gli italiani né gli inglesi, ai quali avevamo creduto, ci aiutarono. Quindi dobbiamo tornare alla nostra Madre Etiopia che riceverà i suoi figli eritrei a braccia aperte!

A peggiorare la situazione era nata l’ala estremista del Partito Unionista, denominata Andinet, che nella lingua del Negus significava appunto “unione”, infiltrata da elementi etiopici, la quale subito si recò a manifestare davanti alla sede del BMA, chiedendo l’immediata unione con l’Etiopia. Un’altra simile manifestazione nel centro di Asmara finì in atti di violenza con i manifestanti che derubarono i negozi dei mussulmani e poi gli dettero fuoco. I soldati sudanesi uccisero qualche dimostrante per fermare la rivolta. Successivamente il BMA impose il coprifuoco e proibì le manifestazioni.

Le prime azioni terroristiche di Andinet, di chiaro stampo politico, iniziarono però a metà del 1947, quando vittimizzarono sia i rappresentanti cristiani del Partito Liberale Progressista che i mussulmani della Lega Musulmana. La sera del 27 marzo 1949 spararono diversi colpi contro Abdelkader Kebire[6], leader della Lega Musulmana, che morì due giorni dopo. In seguito a questo fatto, Andinet venne dichiarato gruppo terrorista e i suoi uffici furono chiusi. Il 16 maggio 1950, davanti alla sua abitazione, venne ucciso da una scarica di pallottole uno dei leader del Partito Liberale Progressista[7], il quale aveva accusato l’Etiopia di sponsorizzare il terrorismo dei shifta. Un mese più tardi, sarà il turno di un altro rappresentante della Lega Mussulmana, mentre il 20 luglio fu assassinato Vittorio Longhi, leader del Partito Pro-Italia[8], aderente al Blocco Eritreo per l’Indipendenza.

In quegli anni ci sono state diverse iniziative diplomatiche internazionali per decidere le sorti della ex Colonia, come la Conferenza di Londra o quella di Parigi, dove l’Etiopia ebbe l’onore di presenziare a fianco delle quattro potenze vincitrici (Stati Uniti, Unione Sovietica, Francia e Gran Bretagna), quale paese vincitore sul Fascismo. Così, il 12 novembre 1947, giunse in Asmara la Commissione Quadripartita d’Inchiesta con il compito di sondare le aspettative della popolazione circa il futuro assetto politico ed economico del Paese. Nelle zone controllate dal Partito Unionista, gli incontri della Commissione con il pubblico erano accompagnati da pomposi cortei, processioni religiose e da balli. Negli incontri organizzati dalla Lega Mussulmana, dal Partito Progressista Liberale o dal Partito Pro-Italia, invece, i giovani di Andinet, con l’intento di influenzare il giudizio finale della Commissione, al grido di “Etiopia o morte!”, impedivano ai sostenitori di raggiungere i siti o, peggio, interrompevano l’evento a sassate. Durante quel drammatico periodo si verificarono numerosi incidenti a Teraemnì, Adi Ugri, Cheren, Agordat e Decameré.

Dopo un anno di incertezze, si decise di delegare la “questione Eritrea” alle Nazioni Unite che, a loro volta, inviarono un’altra Commissione d’Inchiesta composta da cinque membri: Pakistan, Guatemala, Burma, Sud Africa e Norvegia. Anche stavolta scoppiarono dei sanguinosi disordini tra cristiani e mussulmani, ossia tra i giovani di Andinet e quelli di Shuban, giovani mussulmani nati per contrastare la prepotenza dei primi. Negli scontri armati morirono una cinquantina di persone e un centinaio furono feriti.

Nel frattempo era fallito anche il compromesso Bevin-Sforza[9] per la spartizione dell'Eritrea. Il Ministro degli Esteri italiano, in cambio dell’Amministrazione Fiduciaria affidata all’Italia sia della Tripolitania che della Somalia, accettò che l’Eritrea, già divisa in due, fosse unita all’Etiopia ma con la garanzia di sicurezza per gli italiani lì residenti. Dopo tutte le guerre degli italiani (vedi in Etiopia, Libia e Somalia) in cui gli ascari eritrei avevano combattuto e dato la vita, indimenticabili i mutilati della guerra di Adua, l’Italia tradì proprio quelle decine di migliaia di suoi morti per consegnare l’ex Colonia Primigenia al nemico di sempre: l’Etiopia, cioè quella di Ras Alula e di Menelik. Infatti Haile Sellassie aveva subito favorevolmente accolto il compromesso pensando di impossessarsi intanto dell’altipiano e delle coste sul Mar Rosso e, successivamente, di lottare per avere il resto. Era famosa una sua frase in proposito: “Più degli eritrei mi interessa la loro terra!

L’Imperatore etiope, che conobbe ben quattro Presidenti americani, nel novembre 1949 promise loro, qualora sostenessero l’assegnazione dell’Eritrea all’Etiopia, che avrebbe favorito la continuazione dell’affitto della base americana Radio Marina per tempo indefinito, così come l’utilizzo gratuito dell’aeroporto di Asmara e del porto di Massaua. L’attività statunitense di spionaggio era iniziata nell’aprile 1943 quando sette esperti di comunicazioni arrivarono all’ex base navale italiana per tirare su un’antenna e collegarsi con Washington. A ciò era seguito la creazione di Kagnew Station che dal 1950 divenne il più grande centro comunicazioni USA, con le sue antenne rivolte a tutto il Medio Oriente, Unione Sovietica ed Estremo Oriente.

La loro idea era quella di trasformare l’Eritrea in un “arsenale americano di democrazia in Africa”. Perciò, allettati dall’offerta di Haile Sellassie, cambiarono idea: da ché inizialmente erano favorevoli ad una decennale Amministrazione Fiduciaria affidata alle quattro potenze, poi sfociata in favore dell’Indipendenza, di nuovo favorevoli all’amministrazione temporanea dell’Italia, alla fine approdarono alla proposta del Segretario di Stato John Foster Dulles: “Gli interessi strategici degli Stati Uniti nel bacino del Mar Rosso e la pace nel mondo rendono necessario che l’Eritrea debba essere unita con il nostro alleato Etiopia.[10]

Il nostro paese non è mai stato soggetto all’Etiopia nemmeno in tempi antichi. Al contrario, gli eritrei erano costretti in molte occasioni a subire o a respingere i tentativi d’invasione degli etiopici con l’intento di razzie e saccheggi. (…) Il nostro Paese era composto da piccoli principati finché non venne occupato dagli Abbasidi e più tardi dagli ottomani, poi dagli egiziani ai quali subentrarono gli italiani.” disse Ibrahim Sultan all’Assemblea Generale, dove era riuscito a presentarsi nonostante i deplorevoli tentativi inglesi di negargli il visto per gli Stati Uniti. Memorabile fu anche il resto del suo discorso, che rimase però inascoltato poiché oramai il dado era stato già tratto.

Con la Risoluzione ONU 390-A(V) 38 nazioni, inclusa l’Etiopia, sostennero il piano USA di federazione. Tutti i paesi europei, esclusa la Svezia che si astenne, e i paesi del Commonwealth votarono a favore della proposta, convinti che “l’Eritrea non può sopravvivere politicamente ed economicamente, e che senza l’Etiopia non avrebbe avuto alcuna vita propria”; mentre il Pakistan, l’Arabia Saudita, la Siria, l’Iraq, l’Unione Sovietica e i suoi alleati dell’Est Europa votarono contro il piano americano. Così, il 2 dicembre 1950 l’Assemblea Generale chiuse la “questione Eritrea” con 46 paesi a favore, 10 contrari e 4 astenuti, approvando a maggioranza l’atto Federale che costringeva l’Eritrea a “costituire un’unità autonoma federata con Etiopia sotto la sovranità della Corona etiope”.

Un grande tradimento, la più grande parodia sulla giustizia delle grandi potenze contro una piccola nazione. Senza la consapevolezza del popolo, senza essere stato consultato, mentre in buona fede aspettava equità, glielo è stato fatto subire con coercizione, manipolazione e tradimento.” commenterà con rammarico l’indipendentista Weldeab Weldemariam[11].

La Costituzione della Federazione venne scritta dal boliviano Anze Matienzo, Rappresentante dell’ONU, che giunse in Asmara il 9 febbraio 1951. Alla fine di marzo vennero eletti i membri dell’Assemblea Rappresentativa Eritrea e la Costituzione venne approvata ad unanimità il 10 luglio. Il giorno seguente venne ratificata anche dal governo di Addis Abeba. Il 28 agosto Tedla Bairu assunse l’incarico di primo capo di governo dell’Eritrea.

Il 15 settembre 1952, la bandiera britannica venne ammainata e sostituita dal tricolore etiopico. L’indomani, dopo oltre 11 anni e mezzo di permanenza, gli inglesi lasciarono l’Eritrea senza suscitare alcun rimpianto. “Gli inglesi lasciarono Asmara come sono arrivati, furtivamente. Era come se sperassero di cancellare l’Eritrea dalla loro memoria collettiva.” scrive Alemseged accreditando loro di aver formato le forze di polizia eritree dopo lo smantellamento dei Carabinieri e dei loro Zaptiè, di aver introdotto dei giornali locali e la libertà di stampa, di aver creato lo spazio per dibattiti politici e l’organizzazione dei partiti ma soprattutto di aver riformato l’Istruzione per i nativi che dalla quarta elementare venne estesa fino alle superiori.

In breve tempo le esclusive ville italiane di Asmara furono date agli ufficiali federali etiopici provenienti da Addis Abeba. Così anche una trentina di abitazioni del genere erano state destinate agli ufficiali dell’esercito che con le proprie truppe si accamparono negli ex campi italiani di Gaggiret e Villaggio Genio. Le strade, la ferrovia, i porti e gli aeroporti, con tutti i beni mobili ed immobili, quali attrezzature e terreni ad essi attribuiti, passarono sotto la gestione di Addis Abeba. Così come l’amministrazione doganale e tutta l’economia dell’Eritrea.

Nell’ottobre 1952, il giorno in cui l’Imperatore sconfinò ed entrò per la prima volta in Eritrea, si rifiutò di baciare la Croce che il famoso unionista vescovo Abune Markos gli porgeva e non solo, di lì a poco quest’ultimo sarà rimpiazzato dal patriarca etiope Abune Basilios. Usare gli eritrei finché gli servivano per poi sostituirli con veri etiopici sarà una costante imperiale nei dieci anni di Federazione.

Nel 1953, il Presidente dell’Assemblea Tedla Bairu, incontrastato protagonista del Partito Unionista, bandì il Sindacato dei Lavoratori, reo di aver organizzato una manifestazione pacifica assalita dai proiettili della polizia. In quell’occasione ci furono decine di morti e di feriti. A ciò seguirà la protesta degli insegnanti, anch’essa finita male. Dopo che al fondatore ed ex presidente del Sindacato, Weldeab Weldemariam, venne negato l’ingresso nell’Assemblea, nonostante fosse stato democraticamente eletto, questi, già vittima di una decina di attentati con pistole e granate ai quali era sopravvissuto miracolosamente, nell’agosto 1953 decise di andare in esilio prima in Sudan, poi in Egitto. Da lì condusse “Radio Cairo”, un programma radiofonico in lingua tigrigna per sensibilizzare i giovani eritrei in Patria. Preoccupato del suo successo, Haile Sellassie convinse il Presidente egiziano Abdel Nasser a chiudere il programma, cosa che avvenne agli inizi del 1957.

In Eritrea farà la stessa fine anche il quotidiano Dehai (ex Hanti Eritra). Nel frattempo, già dall’inizio del 1954, la lingua amarica venne introdotta come materia d’obbligo in tutte le scuole eritree, dalla quarta elementare in su, successivamente diventerà la lingua ufficiale, a discapito dell’arabo e del tigrigna. Poiché nelle provincie occidentali aumentavano le attività dei shifta, con la scusa dell’emergenza, il governo di Addis Abeba mandò ad Asmara la 2° Divisione dell’Esercito e altri grandi reggimenti si accamparono ad Akordat e Tessenei. Oramai tutta l’Eritrea era militarmente occupata. In seguito alla manifestazione dei portuali eritrei del 1954, Haile Sellassie decise di sostituirli con i Guraghe etiopici, in questo modo la città portuale di Assab cadde totalmente nelle mani etiopiche. A metà del 1957 ci furono anche le manifestazioni degli studenti seguite dagli scioperi dei lavoratori del 1958, quest’ultima finita con una brutale soppressione e un numero imprecisato di morti e feriti e l’istituzione dello stato di polizia. Questi terribili fatti portarono alla nascita, in Port Sudan, del Movimento di Liberazione Eritreo intrapresa da 17 giovani eritrei.

Nel 1958 Tedla Bairu venne costretto dall’Imperatore alle dimissioni, gli successe Asfaha Weldemikael, ex interprete degli italiani, che Haile Sellassie definiva “un etiope di origini eritree”, il quale gli avrebbe servito sul piatto d’argento la tanto agognata annessione. Infatti al decimo anniversario della Federazione, un anno prima delle consultazioni popolari sul futuro dell’Eritrea già decise dalle Nazioni Unite, in occasione della visita ad Asmara dell’Imperatore in compagnia del Presidente della Guinea Sekou Tourè, Asfaha gli disse: “L’Assemblea è risoluta, permetteteci di terminare la Federazione!” ma poiché il suo Ministro degli Esteri lo sconsigliò dicendo: “Se la Federazione verrà abrogata mentre siete in Asmara, apparirà come se lo aveste imposto. E questo vi esporrà alle critiche internazionali”; la richiesta venne respinta. Pochi giorni dopo, al 34° Battaglione etiopico fu ordinato di entrare in Asmara e di circondare il Palazzo dell’Assemblea. “La tensione ad Asmara si tagliava con il coltello, pattuglie militari a bordo di jeep, armate di tutto punto, percorrevano lentamente le strade del centro. Si comportavano come se avessero conquistato una città nemica. Angolo dopo angolo e metro dopo metro, ovunque stanziavano agenti di polizia con elmetto e armi in pugno. Soprattutto nelle strade attorno al Palazzo dell'Assemblea. L'atmosfera non era di quelle aperte alla gioia.” scriverà[12] Enrico Mania, giornalista del Quotidiano Eritreo, unico giornalista presente all’evento.

Asfaha Weldemikael, senza alcuna votazione, proclamò finita la Federazione e tutti i presenti furono costretti ad applaudire sorvegliati dai soldati entrati nel Palazzo. Quel mattino del 14 novembre 1962 la Federazione venne abrogata per acclamazione e l’Eritrea venne annessa come 13ma provincia dell’Etiopia. Alle Nazioni Unite nessuno ebbe da obbiettare.

Con la prima fucilata contro una stazione di polizia sparata per mano di Idris Hamid Awate, un ex ascaro, il 1° settembre 1961 era di fatto iniziata la lotta armata per la Liberazione dell’Eritrea. Eppure, nel novembre 1949, Ibrahim Sultan aveva avvisato l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite che negare i legittimi diritti all’indipendenza dell’Eritrea avrebbe messo in pericolo la pace e la sicurezza della regione. E così è stato. Ci vorranno trent’anni di sanguinosa guerra per conquistare la Liberazione e l’Indipendenza.

L’opera di Alemseged Tesfai, oltre a farmi scoprire troppe cose che ignoravo di quel nefasto periodo (1941-1962), mi ha suscitato molta rabbia, che non sapevo di nascondere dentro di me, verso tutti quegli eritrei che vendettero la loro Patria all’imperatore Haile Sellassie illudendosi di ottenere la sua eterna gratitudine ma che, giustamente, furono invece spazzati via lontani dal suo entourage. Quei traditori condannarono, marchiando con le loro insanguinate mani, un intero popolo: donne, bambini e anziani compresi. Costoro non avranno mai spazio nel cuore degli eritrei, mentre Weldeab Weldemariam e Ibrahim Sultan, entrambi costretti dall’Imperatore all’esilio, proprio per le loro instancabili battaglie a favore di un’Eritrea indipendente, sono oggi ricordati come i Padri della Patria, assieme al primo martire Abdelkader Kebire. Il primo ritornò nell’Eritrea liberata, dove morì nel 1995, il secondo invece morì al Cairo nel 1887, quattro anni prima della Liberazione.

Come disse Suleiman Ahmed Omar[13]: “Quando l’Eritrea sarà liberata vieni alla mia tomba per sussurrarmelo”, così mi piace pensare che sceik Ibrahim Sultan, Abdelkader Kebire ed altri combattenti eritrei che hanno sacrificato la loro vita per la Causa abbiano sentito quel sussurro dell’Indipendenza Eritrea, riconosciuta dalle Nazioni Unite nel 1993, dopo un referendum, questa volta realmente plebiscitario.

*Daniel Wedi Korbaria, scrittore eritreo e panafricanista, è nato ad Asmara nel 1970 e vive e lavora in Italia dal 1995. Con i suoi libri, articoli e saggi pubblicati online e tradotti in inglese, francese, tedesco e norvegese si è battuto per offrire una voce alternativa ai racconti dei media mainstream italiani ed europei sull'immigrazione e il neo colonialismo. Nel 2019 ha pubblicato il suo primo romanzo "Mother Eritrea" e nel 2022 il saggio d'inchiesta "Inferno Immigrazione". Di prossima pubblicazione (2026) il suo romanzo sul colonialismo italiano in Eritrea.

[1] Alemseged Tesfai è nato nel 1944 ad Adi Quala (Eritrea), è un avvocato, drammaturgo e storico che ha scritto diversi libri di storia in lingua tigrigna ed inglese.

[2] An African People’s Quest for Freedom and Justice. A political History of Eritrea 1941-1962 pubblicato da C. Hurst & Co. (Publishers) Ltd. www.hurstpublishers.com

[3] Ex capotreno presso le Ferrovie Eritree (1922-26), impiegato alla Camera di Commercio dell'Eritrea (fino a novembre 1946), fu uno dei fondatori e leader del partito Lega Musulmana dell’Eritrea.

[4] Abune Markos era stato nominato vescovo della diocesi Eritrea-Tigray da Rodolfo Graziani dopo l’occupazione italiana dell’Etiopia. Con la disfatta italiana per il timore di essere perseguito come collaboratore dei fascisti divenne uno dei primi accaniti sostenitori dell’Unione con l’Etiopia.

[5] Eritrea 1941-1951 Gli anni difficili

[6] Fu tra i fondatori del Mahber Ficri Hagher e della Lega Musulmana dell'Eritrea. Abdelkader Kebire è ricordato oggi come il primo martire della lotta per la Liberazione dell’Eritrea.

[7] Berhe Gebrekidan è considerato il secondo martire della lotta di Liberazione.

[8] Il Partito Eritrea pro-Italia vide la luce il 29 settembre del 1947 e raccolse centinaia di migliaia di iscritti.

[9] Ministro degli Esteri inglese Ernest Bevin e suo omologo italiano conte Carlo Sforza

[10] L’Autore non cita le parole di John Foster Dulles che le considera una sorta di storia orale.

[11] Ex insegnante presso le scuole della Missione Svedese, giornalista (fondatore e direttore del quotidiano “Hanti Ertra”), esponente politico del Fronte Democrat Eritreo.

[12] Non solo cronaca dell’Acrocorò - Enrico Mania

[13] Membro del Consiglio Superiore delIa Lega Mussulmana, nel 1949 a Lake Success assistette ai lavori delIa III. Sessione dell'Assemblea Generale delI'ONU sul futuro assetto dell’Eritrea.

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