Unione Europea: il mito dell'uscita da destra

Unione Europea: il mito dell'uscita da destra

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Una delle posizioni più diffuse negli ambienti euroscettici e anti-euro/UE di sinistra, sia in Italia che all’estero, è quella secondo cui l’uscita sarebbe auspicabile ma solo se avvenisse “da sinistra”, solo cioè se a gestire l’uscita fosse un governo di stampo socialista; per contro, un’uscita “da destra”, cioè gestita da un governo di inclinazione liberista, sarebbe assolutamente da avversare, in quanto nella migliore delle ipotesi non cambierebbe nulla, mentre nella peggiore delle ipotesi potrebbe persino condurre a un peggioramento delle condizioni delle classi popolari (anche se non si capisce cosa terrebbe a freno un siffatto governo nelle condizioni attuali ma tant’è). 

In questi giorni abbiamo nuovamente sentito queste argomentazioni a proposito della Brexit: «Se a uscire dalla UE fosse stato un governo di sinistra, allora la Brexit sarebbe potuta essere una cosa buona, ma visto che l’uscita è stata gestita, e continuerà a essere gestita nei prossimi anni, da un governo di destra, allora è da considerarsi una cosa brutta». 

Cercherò di spiegare, nel modo più semplice possibile, perché si tratta di una posizione che non ha alcun senso. Il mito dell’uscita da destra si basa sostanzialmente sull’incapacità di distinguere tra condizioni contingenti e condizioni strutturali: le prime rappresentano l’indirizzo politico di chi sta al potere, le secondo la cornice entro cui è costretto ad operare *chiunque* stia al potere. Se lasciando un certo sistema si allarga la cornice – cioè si facilita la possibilità di perseguire politiche di un certo tipo (nella fattispecie quelle che piacciono a noi, cioè politiche di stampo socialista) che sono bandite nel sistema attuale: forme di regolazione industriale, commerciale e dei flussi finanziari nel sistema UE; praticamente qualunque forma di reale politica economica nel sistema euro –, allora possiamo dire che l’uscita da quel sistema rappresenta un indubbio vantaggio “strutturale”, da una prospettiva socialista, a prescindere dall’indirizzo politico di chi si trova al potere al momento dell’uscita e dalle scelte prettamente contingenti del governo uscente, giacché uscire dal regime UE/euro aumenta le possibilità di implementare politiche socialiste un domani. 

Insomma, se si esce da un sistema o ci si guadagna o ci si perde, in termini strutturali; se si ritiene che l’uscita porti dei vantaggi strutturali, allora quella battaglia va sostenuta a prescindere da chi stia gestendo l’uscita. Questa è la ragione per cui molti di noi hanno sostenuto la Brexit, pur non riconoscendoci in molte delle posizioni dei conservatori britannici. 

Certo, è ovvio che sarebbe meglio se a gestire l’uscita fosse un governo socialista, in quanto questo permetterebbe di massimizzare fin da subito i benefici dell’uscita. Ma si tratta di uno scenario improbabile, se consideriamo che una delle funzioni del vincolo esterno, soprattutto nel sistema euro, è precisamente quello di rendere estremamente difficile, se non impossibile, la salita al potere di un governo radicalmente ostile allo status quo, soprattutto se di stampo socialista, sia attraverso tutta una serie di dispositivi psicologico-narrativi che servono a giustificare le politiche dei ceti dominanti (“ce lo chiede l’Europa”, lo spread ecc.), offrendo alle autorità politiche nazionali organismi o presunti “fattori oggettivi” su cui scaricare la responsabilità di scelte politiche impopolari, sia attraverso tutta una serie di strumenti che permettono di mettere sotto pressione un eventuale governo ostile (asfissia monetaria, rialzo dei tassi di interesse ecc.). 

In questo senso, l’uscita dal sistema UE/euro non rappresenta solo il ristabilimento di un contesto di lotta in cui le classi popolari non siano sconfitti in partenza, mediante la reintroduzione di meccanismi economico-istituzionali che consentano di ridefinire rapporti di forza più favorevoli alle classi lavoratrici – e dunque qualcosa da sostenere a prescindere dalle condizioni contingenti dell’uscita –, ma anche, con ogni probabilità, la condizione stessa per poter accedere alle leve del potere. 

In conclusione, l’uscita è “di sinistra” (nell'accezione socialista del termine) a prescindere, in termini strutturali, che poi sono quelli che contano veramente.

L’aspetto contingente è del tutto secondario. 

Ecco perché il mito dell’uscita da destra rappresenta l’ennesima supercazzola di un’area politica cha ha ormai perso completamente la bussola. Senza considerare che nel contesto italiano il concetto ha ancora meno senso visto che non si vedono all’orizzonte forze di destra che sostengono l’uscita dall’euro.

Thomas Fazi

Thomas Fazi

Economista e saggista. Autore con W. Mithchell di "Sovranità e barbarie" (Meltemi). Su twitter:  @battleforeurope

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