Xinjiang: Fatti vs Fiction

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Xinjiang: Fatti vs Fiction

 

Il Portale Sinistra.ch precisa che ilpresente articolo costituisce una libera traduzione dell’articolo di He Zhao intitolato “Xinjiang: Facts Vs. Fiction” (leggi qui la versione originale in inglese). Le parti successive del testo verranno pubblicate su sinistra.ch nelle prossime settimane.

 

di Samuel Iembo* - Sinistra.Ch

Un recente documentario australiano sui presunti “campi di concentramento cinesi” destinati agli uiguri (vedi qui) ha mostrato la realtà che viene diffusa in Occidente in merito alle cosiddette “violazioni dei diritti umani” perpetrate nello Xinjiang. Se si osserva con attenzione chi sono i personaggi intervistati ecco che ad emergere sono però legami, evidenti guardando solo i social media dei personaggi coinvolti, con personalità occidentali quali il senatore repubblicano Marco Rubio, o direttamente con agenzie come la CIA e altri gruppi terroristi e separatisti (vedi qui). Non è raro peraltro trovare in internet profili Twitter che postino immagini tratte da altri contesti ma collocandole falsamente nello Xinjiang (vedi qui).

In quest’operazione di disinformazione sono coinvolte anche testate giornalistiche e massmediatiche come “Democracy Now!”, un importante programma TV di orientamento liberal negli USA, che ha pubblicato due articoli che condannano il trattamento cinese degli uiguri nello Xinjiang, così come vari articoli di “Washington Examiner”, “Channel News Asia”, ecc. Perfino l’ex-presidente Donald Trump si era esposto criticando la Cina, con una posizione del tutto ipocrita vista la sua poca considerazione della popolazione musulmana residente negli USA (leggi qui). Emerge insomma come in Occidente, da destra a sinistra, si promuovano campagne di disinformazione anti-cinesi e anti-comuniste, con accuse ingiustificate su presunte violazioni dei diritti umani contro la popolazione musulmana.

Fake news fabbricate ad arte per isolare la Cina

Le storie più terrificanti dello Xinjiang provengono da “Radio Free Asia” (RFA), che su Wikipedia viene descritta così: “RFA è una società privata, non profit di trasmissione internazionale. Pubblica online e trasmette notizie, informazione e commenti agli ascoltatori nell’Asia orientale mentre procede nell’avanzamento degli obiettivi della politica estera americana. Fondata negli anni ’50 come operazione di propaganda anti-comunista, RFA è attualmente finanziata dalla Broadcasting Board of Governors (BBG), un’agenzia indipendente del governo degli Stati Uniti responsabile di tutte le trasmissioni non militari internazionali sponsorizzate dal governo USA che ne nomina il consiglio d’amministrazione.” RFA è in realtà un braccio dell’Amministrazione USA in Asia orientale, che esagera, distorce o fabbrica storie inaccurate, parzialmente vere o platealmente false contro i Paesi socialisti. In seguito, Reuters, New York Times, Washington Post, BBC, CBS, Buzzfeed, ecc., ripubblicano tali fakenews citando RFA come “fonte autorevole”.

Bay Fang, attuale presidente di RFA, ha lavorato come vice-segretario aggiunto per l’Eurasia al Dipartimento di Stato sotto Obama: non propriamente una giornalista “neutrale”…

Anche chi riconosce che i media occidentali sono di parte, spesso non ha che qualche sprazzo di conoscenza delle enormi operazioni di propaganda dell’Occidente, che controlla quasi il 100% delle fonti delle notizie mainstream. Prima dello Xinjiang e di Hong Kong si parlava della setta di Falung Gong, del separatismo tibetano, dei fatti di Piazza Tienanmen, ecc.: un perpetuo sforzo da parte occidentale di riappropriarsi dell’egemonia persa sugli ormai ex possedimenti coloniali.

Chi rammenta la testimonianza inzuppata di lacrime di Nayirah al-?aba? alle Nazioni Unite del 10 Ottobre 1990 sui soldati iracheni che avrebbero tirato fuori dei neonati kuwaitiani dalle incubatrici sbattendoli a terra, ricorderà anche che la giovane ragazza, anonima, si è rivelata poi essere la figlia dell’ambasciatore del Kuwait negli Stati Uniti, e la sua storia, usata per giustificare la seconda invasione dell’Irak, si è rivelata essere pura invenzione.

Chi sostiene la Cina e chi invece la critica?

Le prove aneddotiche non sono insomma necessariamente attendibili, e le testimonianze non possono sempre essere credute sulla parola. Solo con una rigorosa comprensione degli interessi globali di classe alla base della geopolitica possiamo vedere il mondo in maniera chiara: la maggioranza dei Paesi che supportano queste accuse infondate sono membri della NATO, e sono tutti legati all’imperialismo atlantico e all’unipolarismo statunitense.

 

 

La CNN riporta: “In un comunicato congiunto con l’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, 22 nazioni occidentali hanno criticato Pechino per ciò che descrivono come inquietanti segnalazioni di detenzioni arbitrarie su larga scala, diffusa sorveglianza e restrizioni” (leggi qui).

Il giorno successivo a tale dichiarazione, però, altri 37 Paesi accorsero in difesa di Pechino, con una lettera che invece lodava la Cina per i suoi traguardi nei diritti umani, respingendo la notizia della detenzione di quasi 2 milioni di musulmani nello Xinjiang (leggi qui). Quasi la metà dei firmatari di tale lettera sono Paesi a maggioranza islamica, inclusi Pakistan, Qatar, Siria e Emirati Arabi Uniti. “A confronto con la dura sfida del terrorismo e dell’estremismo, la Cina ha saputo prendere una serie di misure anti-terrorismo e deradicalizzanti nello Xinjiang, compresa la creazione di centri di istruzione e formazione professionale” – così afferma la lettera. Lo scritto continua affermando che non vi sono stati attacchi terroristici negli ultimi tre anni nella regione, e che la gente è soddisfatta e vive sicura.

La narrazione della persecuzione cinese dei musulmani nello Xinjiang è una delle tante fabbricazioni dell’imperialismo contro gli Stati che disobbediscono all’ordine dell’egemonia mondiale, come lo furono le armi di distruzione di massa irachene, l’uso in Siria di armi chimiche e l’assassinio dei dissidenti nella Libia di Gheddafi. Tutte bugie atte a demonizzare questi Stati così da fornire una giustificazione alle aggressioni economiche e militari e nella speranza di un rovesciamento di tali governi a favore di un riallineamento dei rispettivi paesi sull’asse atlantico.

*Dal 2015 al 2020 coordinatore della Gioventù Comunista Svizzera. Dopo la maturità presso la Scuola Cantonale di Commercio di Bellinzona, ha iniziato un percorso accademico.

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