Zweckrationalitat e crisi della sinistra
La Global Sumud Flotilla, il dramma di Gaza e la sua strumentalizzazione
di Alessandro Mariani
Accompagnare il caffè del mattino con la lettura online delle prime pagine dei quotidiani è diventata ormai per me un qualcosa di rituale, un vizio come un altro, dopo che al tempo funse da valido succedaneo rispetto al fumo di sigaretta. Attualmente è diventato una sorta di pratica per contrastare il decadimento cognitivo e così, giorno per giorno, cerco di indovinare quello che gli opinionisti delle principali testate nazionali potrebbero dire o non dire in merito ai fatti più rilevanti di politica interna ed internazionale. E’ un esercizio che generalmente non riserva sorprese, ma oggi (6 ottobre 2025 per chi legge) ho avuto un vero e proprio sussulto leggendo l’editoriale di Paolo Gentiloni su Repubblica.
Cito testualmente: “Il fatto che le manifestazioni di questi giorni siano state turbate da attacchi violenti e da oscene esaltazioni del pogrom compiuto il 7 ottobre dai terroristi di Hamas non va sottovalutato: solidarietà alle forze dell’ordine e nessuna tolleranza verso chi confonde le responsabilità di Netanyahu con Israele o addirittura con gli ebrei.”
Ora, pur nei tristi tempi di eclissi della logica che ci è dato di vivere, è del tutto evidente che, il termine “addirittura” tradisca il fatto che la precedente attribuzione di un’eventuale responsabilità ad Israele (a giudizio dello stesso estensore dell’articolo) non costituisca un’ipotesi poi del tutto sconsiderata.
Ma dopo aver schiantato i cuori il politically correct ha inaridito le menti e così non ci resta che armarci di pazienza e perseveranza per smascherare il velo di menzogne che certa propaganda aggiorna costantemente. Chi attribuisce la responsabilità del massacro di Gaza agli ebrei tout court, è (nell’ipotesi a lui più favorevole) semplicemente un ignorante, ma chi parla della responsabilità dello Stato e della società israeliana per i massacri in corso è all’opposto qualcuno mediamente più informato degli altri, non più disponibile a chiudere gli occhi di fronte ad evidenze che sono ormai ultradecennali.
Detto questo, una successiva puntualizzazione è d’obbligo anche a costo di apparire prolissi e ripetitivi. Non esistono più aggettivi con connotazione negativa per descrivere quel che è accaduto e sta accadendo a Gaza. Ogni persona che conservi un minimo di decenza non può che restare attonita di fronte al consenso che la maggior parte della società israeliana presta alla repressione, all’affamamento e alle continue vessazioni a cui è sottoposto il popolo palestinese. Chi a dispetto dei tempi conserva ancora qualche scampolo di umanità non può che provare indignazione e rabbia verso quello che in quella parte di mondo è ormai diventato un comune nazional-sentire, per cui si organizzano gite turistiche nelle colline sopra Sderot per assistere ai bombardamenti sui pochi edifici della Striscia rimasti ancora in piedi. Per quel che ne so, e fatte salve le debite proporzioni, questa perversione nel godere dell’altrui sofferenza non era diffusa neppure tra coloro che in un ormai dimenticato best-seller erano stati definiti “i volonterosi carnefici di Hitler.” [1] Chissà se un giorno si scriverà qualcosa di simile anche per gli israeliani con riferimento ai crimini commessi contro i palestinesi.
Del pari non si può che restar sconcertati di fronte all’ignavia, all’opportunismo e al ritardo della maggior parte dei governi occidentali e non solo, Italia in testa, nel denunciare e sanzionare, non dico adeguatamente ma almeno per quel poco che avrebbe consentito loro di salvare la faccia, le politica assassina, coloniale e razzista di Israele. Di fronte ai crimini dello stato nazi-sionista perfino il termine genocidio rischia di apparire inadeguato ed obsoleto. Ormai è chiaro che si tratta di azioni studiate, calibrate e pianificate la cui responsabilità non può limitarsi ad una compagine governativa o alle singole figure di Netanyahu, Gallant, Smotrich, Ben Gvir e compagni di merende. A dispetto della declamata formula “Due popoli due Stati” qui c’è una specularità perversa dei sentimenti (o forse sarebbe meglio dire risentimenti), più che acclarata ma non altrettanto denunciata, per cui è il popolo nel suo complesso ad essere considerato dalla controparte direttamente responsabile, tanto delle colpe storiche quanto di quelle future.
È una nemesi che prima del 7 ottobre avremmo considerato una sorta di retaggio ancestrale (la persecuzione secolare gravante sugli ebrei dai tempi della diaspora, perfidis Judaeis secondo la liturgia cattolica, il popolo deicida ecc.) e che ora si ripropone da ambo le parti ma con un’evidente asimmetria degli effetti.
Il 12 ottobre 2023, pochi giorni dopo il fatidico sette ottobre, nel corso di una conferenza stampa il presidente Herzog aveva affermato: «La responsabilità è di un intero popolo. Questa retorica sui civili [palestinesi] non consapevoli, non coinvolti, non è assolutamente vera. Avrebbero potuto insorgere, avrebbero potuto combattere contro quel regime malvagio». Chissà se nel frattempo il capo dello stato di Israele si sarà reso conto che un identico ragionamento è stato la fonte ispiratrice del barbaro massacro perpetrato dai miliziani di Hamas ai danni di una popolazione inerme. Un'uscita, che, come avevano accusato numerose organizzazioni per i diritti umani, incitava alla punizione collettiva del popolo palestinese. Tanto che la frase del presidente israeliano era poi stata inclusa alla lista di “Espressioni di intenti genocidi contro il popolo palestinese” nell’atto di accusa presentato nel dicembre 2023 dal Sudafrica alla Corte internazionale di giustizia.
Ben prima del 7 ottobre la decantata “unica democrazia del Medio-Oriente”, secondo la formula tanto cara a fior di politicanti ed opinionisti nostrani, dava già ampia prova della sua reale essenza, quando distruggeva le abitazioni dei familiari dei miliziani palestinesi e deportava i parenti, rinnegando con ciò secoli di civiltà giuridica mentre applicava l’istituto medievale della “pena per colpa d’altri”. Ma non occorrevano particolari giustificazioni per l’opinione pubblica interna perché Israele ha sempre trattato col tipico disprezzo dei colonialisti i suoi vicini.
Per queste ed altre ragioni, al netto di ogni più specifica e approfondita considerazione, non si può che esprimere un istintivo sentimento di approvazione per gli attivisti della Global Sumud Flottiglia. Non si può evitare di dire pane al pane e vino al vino per timore di un’eco riflessa delle parole o di un possibile fraintendimento delle intenzioni. Non ci si può accodare all’ infimo livello dei giornalacci nostrani e Greta Thunberg non può essere trattata con lo stesso tono di quando sulla barca ad emissioni zero del principe Casiraghi traversava l’Atlantico per recarsi al Climate Action Summit organizzato a New York dalle Nazioni Unite. Oggi alla ragazza svedese, e ai suoi attuali compagni di viaggio, sbeffeggiati e derisi dagli sgherri sionisti, non può che andare ammirazione e riconoscenza.
Una totale riprovazione va invece indirizzata ai consueti toni sguaiati della Fratella d’Italia, ma anche a quelli melensi e ipocriti di un cardinale che fingendo di non capire l’effettiva questione del contendere (chi potrebbe essere così sprovveduto da prender sul serio la storia degli aiuti umanitari?) ha offerto la mediazione del patriarcato latino di Gerusalemme con tanto di gioco di sponda del Presidente della Repubblica, affinché le imbarcazioni degli attivisti dirigessero su Cipro. Altrettanto biasimevoli sono anche coloro che hanno parlato di incoscienza, alternando tale accusa con quella di essere in crociera (delle due o l’una o l’altra, si sarebbe detto quando la coerenza era considerata ancora un valore), mentre quell’ex direttore di Repubblica che riferendosi agli attivisti ha parlato di “violazione delle acque internazionali” merita una menzione particolare per il suo impareggiabile sprezzo del ridicolo. Fin qui la premessa facile e scontata, al limite dell’ovvietà ma per l’appunto doverosa.
Ma tutto ciò detto e sottoscritto, corre l’obbligo di un’analisi critica e disincantata tanto dei fatti quanto delle azioni e delle reali intenzioni dei protagonisti, onde poter delineare risvolti e sviluppi futuri. Recita un proverbio tanto vecchio quanto abusato che delle buone intenzioni sono lastricate le vie dell’inferno. Ma siamo poi così sicuri che si tratti realmente buoni intenzioni? Con riferimento al caso italiano, che nell’impasse attuale dei partiti di opposizione la questione di Gaza si sia prestata ad una strumentalizzazione è del tutto evidente, così come altrettanto chiaro il rischio che la strumentalizzazione smascherata possa sortire un effetto del tutto opposto rispetto a quello auspicato. Detto brutalmente, al punto in cui siamo Gaza non ha bisogno della sinistra per veder crescere attenzione e considerazione; il grado di simpateticità per la causa palestinese è già abbondantemente maggioritario presso la società italiana. Viceversa, la sinistra, o per meglio dire tutto quello che politicamente non è di destra, danno quanto meno l’impressione di avere un dannato bisogno della questione Gaza al punto che è ormai molto difficile, se non praticamente impossibile, distinguere tra quelle fila sincerità e strumentalità degli intenti.
Quest’ultima ormai acclarata, è destinata con buone probabilità a sortire l’effetto opposto rispetto a quello auspicato e la speranza che le attuali forze di opposizione possano trarne un vantaggio in termini elettorali è destinata (tanto per restare in ambito marinaresco) ancora una volta a schiantarsi sugli scogli. Ma il rischio è anche che il grado di attenzione per la Palestina, risulti di conseguenza svilito e vanificato, e che dopo aver toccato l’apice inizi una parabola discendente. Non giovano certo alla causa le uscite di una sua pasionaria, che dopo una meritoria opera in qualità di relatrice speciale ONU per i territori palestinesi occupati da Israele, è riuscita a passare dalla parte del torto di fronte ad un giovane ed impettito rampollo, dispensatore fisso in tv dei luoghi comuni appannaggio dei giornalacci destrorsi.
Abbandonando uno studio televisivo dopo aver udito il nome di Liliana Segre, Francesca Albanese si è successivamente e parzialmente giustificata dicendo che il condizionamento emotivo non renderebbe la senatrice a vita imparziale e lucida sulla vicenda di Gaza. Al che varrebbe la pena di obiettare che un identico ragionamento potrebbe essere fatto valere dai suoi critici anche per lei.
Ma chi ha veramente già da tempo smarrito la bussola è un certo ceto politico e sindacale. Personaggi quali l’attuale segretario della CGIL, e quanti per lui, sono ormai dei Re Mida al contrario, e ciò dai tempi in cui lo stesso flirtava o per lo meno, dava l’impressione di flirtare con Draghi, non trovando la forza e il coraggio per sottrarsi all’abbraccio mortale. Per i diversamente giovani come il sottoscritto, quel che accade da qualche tempo ricorda i cartoons di Willy il Coyote nei quali tutte le trappole escogitate per catturare lo struzzo si rivolgevano contro l’autore. In sostanza la attuale dialettica tra le forze di opposizione e quelle di maggioranza richiama la metafora sportiva del volley (del resto siamo o non siamo i campioni del Mondo?) dove si schiaccia nel campo avversario dopo che qualcuno ti ha alzato la palla.
“Avrei voluto giocare nella nazionale di pallavolo ma sono nana” aveva detto una volta in conferenza stampa la-il attuale presidente del Consiglio. Non c’è problema Giorgia! La palla te la alzano direttamente Landini, Schlein e compagnia cantante. Ben al di là della statura fisica quella che più conta è quella politica e così, per facilitarti il compito, ti sarà consentito di schiacciare al di sotto della rete mentre gli arbitri (che in tal caso sarebbero poi gli elettori) si distrarranno guardando da un’altra parte. Resta da chiedersi fino a che punto i leader della sinistra o Campo Largo che dir si voglia siano in grado di orientare autonomamente e razionalmente parole ed azioni in vista del conseguimento di uno scopo, anche se qualcuno più caustico di noi avrebbe tutte le ragioni per chiedersi se quest’ultimi abbiano ancora uno scopo che vada oltre la conservazione della carica ricoperta e delle connesse prebende.
In una delle sue opere più conosciute Economia e società, (Wirtschaft und Gesellshaft, edizione postuma, 1922) max Weber suddivide l’agire razionale in quattro diverse categorie:
- a) “rispetto allo scopo”: l’azione è razionale rispetto quando chi la compie valuta razionalmente i mezzi rispetto agli scopi che si prefigge, considerando gli stessi in rapporto alle conseguenze che potrebbero derivarne
- b) “rispetto al valore”: un’azione si dice razionale in tal senso quando chi agisce compie ciò che ritiene gli sia comandato da un precetto morale o religioso o comunque da una causa che reputa giusta, senza preoccuparsi delle conseguenze;
- c) “agire determinato affettivamente”: si ha nel caso di azioni che consistono nella manifestazione di un sentimento (positivo o negativo che sia); come quelle precedenti anche queste hanno un significato in sé a prescindere dalle possibili conseguenze. Quel che in questo caso rileva è l’appagamento di un bisogno interno
- d) “agire tradizionale”: ovvero in via quasi meccanica, come una mera espressione di abitudini senza una valutazione preventiva del valore ad esse sotteso o sull’esperibilità di altre vie in vista del fine che ci si pone.
Alla luce di quanto abbiam visto negli ultimi anni e continuiamo a vedere sembrerebbe che i punti a) b) e c) siano ormai poco più che reperti archeologici. Per quanti ancora continuano a richiamarsi alla sinistra. Sembrerebbe rimasto in campo solo il punto d). Nell’impasse attuale di una seconda repubblica che non è mai nata (qualche tempo fa ci fu chi parlò della repubblica uno e mezzo) il ruolo della sinistra sembrerebbe essersi ridotto a quello di portatore d’acqua per il mulino della destra. Ma non nutriamo alcuna speranza che lo capiscano i suoi leader e quanti, nel frattempo, hanno continuato a votarli.
[1] Cfr. I volonterosi carnefici di Hitler, i tedeschi comuni e l’olocausto, di Daniel Jonah, Goldhagen, Mondadori Milano, 1998, dove si denunciano le colpe storiche della popolazione tedesca di fronte alla pianificazione e alla realizzazione dell’Olocausto..