Secondo i risultati degli stress test della Bce sono 25 le banche che non superavano le soglie fissate dalla Bce, con deficit di capitale per 25 miliardi di euro, di cui 9,7 miliardi attribuibili a nove banche italiane. Tuttavia, scrive Vincitori e Vinti, tenuto conto che già nel corso del 2014 sono stati raccolti capitali per circa 15 miliardi di euro, il numero delle banche oggetto di ulteriori iniezioni di capitale scende a 13, e, entro i prossimi 9 mesi, dovranno raccogliere capitali per circa 10 miliardi di euro di nuovo capitale.
Sulla credibilità di questi test della BCE che sembrano ripercorrere i fallimenti della Bce abbiamo scritto nei
giorni scorsi. Preme aggiungere che il
Center for Risk Management di Losanna, che ha condotto privatamente il suo stress test sulle banche europee, seguendo una metodologia opposta rispetto a quella della BCE e dell’Autorità Bancaria Europea (EBA) è arrivato a questa conclusione: le banche europee
hanno bisogno non di 25 ma di 487 miliardi di euro. E ad essere maggiormente in difficoltà sono proprio i grandi paesi usciti indenni o quasi dagli stress test della BCE e dell’EBA, vale a dire Francia e Germania. Deutsche Bank, BNP Paribas, Societe Generale, Credit Agricole sono i principali istituti di credito a rischio.
Invero, a parer di chi scrive, sembra che negli stress test sia stato adottato un atteggiamento particolarmente "mite" nella valutazione dei rischi derivanti dai titoli di stato in portafoglio alle banche valutate.
Concentrandoci sul caso Italia, come si osserva nella tabella allegata, nello scenario avverso considerato nella simulazione dell'EBA, il rendimento dei titoli di stato aumenta fino al 5.9% nel 2014, per poi ripiegare al 5.6 nel 2015 e risalire al 5.8% nel 2016.
Sebbene l'incremento dei rendimenti sui bond italiani si rifletta anche sulla quotazione dei bond in portafoglio alle stesse banche, giova segnalare che, in buona sostanza, il livello di rendimento massimo considerato negli ST è quasi due punti percentuali inferiore rispetto ai rendimenti espressi dal decennale nel 2011, durante il periodo di massima crisi; nonostante, da quell'epoca, le condizioni economiche italiane si siano fortemente deteriorate e il debito pubblico sia esploso esploso verso il 135%, contro il 120% del 2011. Oggi il debito pubblico italiano è assai meno sostenibile rispetto ad allora, ed una crisi di ampie dimensioni (che non può di certo escludersi a priori) troverebbe l'Italia in una condizione assai più fragile rispetto ad allora. Quindi, proprio non si comprendono le motivazioni alla base della "clemenza" osservata dall'Eba nel formulare la simulazione di stress (che di stress ha assai poco) sui titoli di stato . Il dubbio è proprio quello che questo atteggiamento sia stato indotto dalla necessità di evitare che lo stress test avesse comportato dei deficit di capitale notevolmente superiori.
Tale differenziale di rendimento rispetto al 2011, secondo l'European Banking Authority, evidentemente è imputabile ad una Bce più interventista rispetto ad allora, considerato che, durante il mandato di Draghi, sono state implementate molte misure a sostegno delle quotazioni dei titoli sovrani e quindi anche del sistema bancario, evitando la dissoluzione dell'euro.
Dal 2011, oltre ad una politica estremamente accomodante sui tassi, la Bce ha messo in campo le due aste LTRO di fine 2011 e inizio 2012 (1000 miliardi di euro); per poi arrivare al "whatever it takes" pronunciato da Draghi nel luglio del 2012 che portò alla creazione del successivo piano OMT e quindi, solo di recente, alle recenti aste TLTRO e all'acquisto diretto di ABS e Covered bond, partito solo pochi giorni fa.
Ma c'è un particolare che lo scenario previsto dall'Eba non considera. Ossia che dinanzi alla Corte di Giustizia Europea pende il giudizio promosso dalla Corte Costituzionale tedesca sulla legittimità degli OMT che, se accolto, di fatto, determinerebbe l'illegittimità del piano salva stati nato nel settembre del 2012, cioè lo scudo protettivo che, per buona parte, ha determinato il crollo dello spread del decennale rispetto al Bund tedesco, nonostante le divergenze economiche si siano notevolmente amplificate.
Al netto di quanto afferma (per propria convenienza) la nomenclatura politica europea, non è affatto detto che tra 5 o 10 anni l'euro possa esistere ancora. Anzi, a dire il vero, le probabilità di una dissoluzione della moneta unica aumentano con il protrarsi della crisi. La possibilità che qualche paese sia costretto ad abbandonare l'Eurozona (determinandone la dissoluzione) non è affatto remota. E anche in seno alla Bce sembra che stia maturando un forte dissenso per la politica monetaria delle banca centrale, ritenuta troppo accomodante dal fronte tedesco. Certo: chiedere alla BCE di considerare negli ST lo scenario derivante da una eventuale dissoluzione dell'euro sarebbe stata una fantasia sicuramente troppo audace: un po' come pretendere che l'oste affermi che non è buono il vino che serve nella sua osteria. Ma, comunque sia, è sempre utile sapere che questa eventualità, in via cautelativa, sarebbe opportuno non escluderla non escluderla a priori.
Sotto questo punto di vista, molti autorevoli commentatori invocano addirittura un maggior interventismo da parte della BCE, auspicando che si attivi per acquistare direttamente i titoli di stato. Al netto delle resistenze politiche provenienti dalla Germania (e non solo), a mio modesto parere, come ho già avuto modo di scrivere sul blog a proposito di un possibile QE sui titoli di stato europei, resto convinto che siano abbastanza remote le possibilità che si possa giungere a questa soluzione. In primis, perché significherebbe modificare profondamente tutta la policy della Banca Centrale Europea e della costituzione stessa dell'Unione Monetaria. In secondo luogo, non credo che un eventuale QE abbia effetti significativi in termini di soluzione delle divergenze strutturali tra le diverse aree economiche dell'Eurozona. Anzi, il rischio è proprio quello che tali asimmetrie vengano amplificate per via di una politica monetaria comune ancor più espansiva, in aree che necessiterebbero di differenti interventi monetari.
Ritornando al discorso di fondo di questo articolo, la BCE, nella simulazione di stress, non ha tenuto conto neanche delle pressioni (esercitate sui bilanci bancari) derivanti da uno scenario deflattivo, peraltro già in corso in moti paesi dell'Europa meridionale, Italia compresa. Questo è stato anche confermato da Vitor Constancio, Vice Presidente della BCE, che ha affermato: "Lo scenario della deflazione non viene considerato (negli stress test) perché non riteniamo che possa manifestarsi la deflazione"
Tuttavia, a dire il vero, gli ultimi dati forniti da Eurostat confermano che molti paesi sono già in uno stato di deflazione conclamata.