"Più Welfare per arginare la disuguaglianza sociale". James Galbraith

"Più Welfare per arginare la disuguaglianza sociale". James Galbraith

L'intervista all'economista americano autore di "Inequality and Instability"

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di Alessandro Bianchi

James Galbraith. Professore di economia alla Lyndon B. Johnson School of Public Affairs di Austin, Texas. Membro esecutivo della World Economics Association. Autore di "Inequality and Instabilitye coautore di "Economic Reform Now"


Nel suo libro “Inequality and Instability” dimostra come la disuguaglianza sociale tipica delle società occidentali di oggi sia il prodotto inevitabile di quel sistema basato sul debito creato dal sistema finanziario. Quali sono le riforme più urgenti da prendere come soluzione?
 
Per combattere questo sistema ed in generale la disuguaglianza sociale dilagante oggi, i governi occidentali devono estendere il sistema di assicurazioni sociali esistenti e proteggere le fasce più deboli della popolazione. Si tratta chiaramente della questione più urgente non solo negli Stati Uniti, ma anche in Europa: la priorità è quella di sostenere ed investire maggiormente, non meno come avviene attualmente, nei sistemi di Welfare ed offrire un sostegno urgente alle milioni di persone che sono le principali vittime dall'inizio della crisi. Ci sono diversi paesi – pensiamo solo ad i paesi dell'Europa mediterranea - dove la protezione sociale è oggi al collasso per le politiche di austerità imposte e che, al contrario, deve essere immediatamente potenziata.
 
- La crisi finanziaria del 2008 poteva e doveva essere l'opportunità di un cambiamento radicale di approccio verso le istituzioni finanziarie. A cinque anni dal collasso di Fannie Mae, Freddie Mac e Lehman Brothers, tuttavia, è ancora Wall Street saldamente al potere. Di chi sono le maggiori responsabilità?
 
E' una bella gara, non c'è dubbio. Si è avuta una risposta qualificata solo a parole, poi negli Stati Uniti si è deciso di proteggere le istituzioni finanziarie ed il loro ruolo nell'economia. Le autorità hanno deciso di applicare solo riforme limitate e non hanno perseguito penalmente i responsabili di quelle attività criminali che hanno portato il sistema al collasso. 
Sulle ragioni per cui non si è riformato il sistema pur avendone la possibilità grazie al consenso dell'opinione pubblica creatosi dopo il 2008, vi è una responsabilità condivisa di diversi attori, ma personalmente punterei il dito in particolare contro le principali istituzioni accademiche. Queste ultime potevano trarre una lezione dalla crisi per riformulare, anche negli insegnamenti, un'idea nuova di economia, facilitando un cambiamento culturale sull'uso delle risorse, ma non l'hanno fatto e la situazione non è cambiata.
 
- Un recente articolo sul New York Times ha sottolineato come il mondo del lavoro in Europa si stia sempre più “americanizzando”, avvicinandosi a quella forbice salariale inaccettabile presente negli Stati Uniti. Qual è il suo giudizio? 
 
Sarei sempre molto attento a leggere le analisi dei giornali per quel che riguarda le differenze o similitudini di due sistemi economici così diversi come quello negli Stati Uniti ed in Europa. La questione ha bisogno di un approfondimento scientifico diverso.
Bisogna innanzitutto comprendere come le disuguaglianze principali nel mondo del lavoro americano siano quelle tra chi lavora nel mondo finanziario e chi no; e tra coloro che hanno la possibilità di ottenere il proprio reddito direttamente dal mercato dei capitali e chi no. L'insostenibilità negli ultimi 30 anni negli Stati Uniti è stata resa possibile dal fatto che l'economia è stata sempre pompata da bolle di credito, a cui sono sempre seguite inevitabili esplosioni, che hanno determinato la stagnazione economica ed una diminuzione dei redditi delle fasce più deboli, responsabile di un ulteriore allargamento della forbice con gli strati più ricchi della popolazione. Questa credo sia un'analisi economica più accurata, da cui, in Europa, si possono trarre le eventuali similitudini o differenze con il sistema americano.
 
- Dopo aver sbagliato tutte le previsioni negli ultimi cinque anni, quelli che Paul Krugman definisce “austerici” continuano a guidare il dibattito economico e le loro scelte, come è il caso del ministro dell'economia italiano Saccomanni, ad influire sulla vita di milioni di cittadini. Come lo ritiene possibile?
 
E' vero che in Europa è stata imposta una politica economica altamente distruttiva basata sull'austerità. Paesi singoli come Grecia, Portogallo ed Irlanda sono esempi di come i politici nazionali si siano trovati nell'impossibilità di rifiutare i vincoli imposti dall'Unione Europea. Nel caso dell'Italia la situazione è diversa: è un paese molto grande, un'economia molto forte all'interno della zona euro e con un surplus della bilancia commerciale. Per questo ha potuto resistere alla possibilità di un programma di salvataggio dell'Unione Europea ed avrebbe oggi la forza di applicare un programma economico alternativo.
In termini economici io penso che il dibattito tra stimolo o austerità sia troppo semplicistico e coloro che criticano la prima non sono ancora stati in grado di offrire in modo articolato un'alternativa pratica possibile. Con tutto il rispetto, l'argomento portato avanti ad esempio da Paul Krugman, che è uno dei leader nel dibattito accademico da questo punto di vista, non ha ancora sviluppato con precisione quelle che debbano essere tutte le risposte necessarie per le immense sfide che abbiamo di fronte. 
 
 - Considera le politiche keynesiane il miglior strumento a disposizione oggi ad i governi occidentali per uscire dalla crisi o, riflettendo anche sulla questione del tendenziale esaurimento delle risorse a disposizione e la questione ambientale sempre più urgente, non ritiene piuttosto che sia giunto il momento di elaborare un nuovo modello di sviluppo?

Continua a Leggere.
La Seconda parte dell'Intervista a James Galbraith sulla crisi della zona euro: http://www.lantidiplomatico.it/dettnews.php?idx=6&pg=6478

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