60% dei decessi in più 2020 per "mancate cure". L'università di Pavia fa chiarezza sui numeri
Da Il Messaggero 28 agosto 2021
Era abbastanza chiaro, ma ora è scritto nero su bianco. Non si muore di solo Covid ai tempi della pandemia. Lo stop alle cure ospedaliere, alle visite non urgenti e agli screening può aver causato in Italia, dall'inizio della fase emergenziale, un surplus di decessi rispetto ai numeri che ci si sarebbe aspettati in tempi pre-Covid. Uno studio dell'Università di Pavia, pubblicato sulla rivista scientifica Public Health, è partito dai dati Istat sulle morti annuali e sulle medie degli ultimi cinque anni. Sta cambiando il peso del coronavirus sui decessi in più: nel 2020 sono stati oltre 4 su 10, nel 2021 sono meno di 2 su 10. Il resto (6 persone su 10 nel 2020 e 8 su 10 nel 2021), non sono imputabili al virus della pandemia.
Tutto parte da un dato certo: lo scorso anno ci sono state 750.000 morti. Un numero superiore di 108.000 rispetto alla media dei decessi tra il 2015 e il 2019. Questo è l'eccesso di mortalità, imputabile secondo il lavoro solo per il 43% alle infezioni da coronavirus. La fotografia per il 2021 è molto diversa: Anna Odone, ordinaria di igiene dell'ateneo che ha coordinato il lavoro, fa vedere tutto un altro scenario. «Da gennaio ad aprile abbiamo avuto 192.000 decessi, quasi 9.000 in più rispetto all'atteso», dice. «In questo caso il contributo dei decessi Covid sulla mortalità è stato del 16%, con range regionali che vanno dal 19/20% del Nord al 14/16% del Mezzogiorno», aggiunge
«Nell'aumento di mortalità troviamo sia i morti Covid sia quelli non Covid causati anche dalle cure mancate. I decessi dei casi Covid continueranno a calare per diversi motivi - prosegue Odone - Purtroppo le persone più ad alto rischio sono morte nel 2020. Quelle sopravvissute hanno invece avuto il vaccino, che protegge contro la malattia grave e la morte».
L'analisi dei dati - Nel 2020 ci sono stati 1,3 milioni di ricoveri in meno rispetto al 2019 (-17%), di cui circa 620.000 sono quelli chirurgici saltati. A essere cancellati, oltre ai ricoveri programmati (747.011), ci sono anche quelli urgenti (554.123). È quanto emerge dai dati del IV rapporto di Salutequità sulle cure mancate a causa dello stop per la gestione della pandemia da coronavirus. Le aree più coinvolte sono state quelle della chirurgia generale, dell'otorinolaringoiatria e della chirurgia vascolare. Per l'ambito cardiovascolare c'è stato un calo di circa il 20% degli impianti di defibrillatori, dei pacemaker e degli interventi cardiochirurgici maggiori. I ricoveri di chirurgia oncologica hanno avuto una contrazione del 13%, quelli di radioterapia del 15% e di chemioterapia del 30%. La diminuzione dei ricoveri del tumore della mammella è stata del 30% e del 20% quella di tumori al polmone, pancreas e apparato gastrointestinale. Nel 2020 ci sono state (rispetto al 2019), 90 milioni di prestazioni di laboratorio in meno, -8 milioni di prestazioni di riabilitazione in meno, -20 milioni di prestazioni di diagnostica.
«Sono state messe in campo strategie per la risposta al Covid ma si è arrancato molto per il recupero delle patologie non Covid», commenta Tonino Aceti, presidente dell'associazione Salutequità. Aceti punta l'attenzione sui fondi in più che erano stati stanziati proprio per il recupero delle liste d'attesa. «Circa il 67% delle risorse stanziate nel 2020 non sono state spese dalle Regioni, con percentuali di circa il 96% al Sud, il 54% al Nord e il 45% al Centro». «Serve un piano operativo nazionale di recupero con un soggetto nazionale come Agenas che supporti le Regioni, le coordini e, qualora ci siano incapacità regionali, mettano in campo interventi sostitutivi», conclude.