Andrea Zhok - Il macchinario (senza filtri) all'opera

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Andrea Zhok - Il macchinario (senza filtri) all'opera


di Andrea Zhok*


Il colloquio di ieri alla Casa Bianca tra Zelensky e Trump rappresenta uno di quegli eventi, rari in politica e ancor più rari nelle relazioni internazionali, dove si vede in trasparenza il macchinario all'opera dietro alle recite per il pubblico.

Da un lato Trump, che incarna in maniera esemplare e senza infingimenti la natura profonda della politica americana. Non possedendo probabilmente né l'abilità verbale, né l'interesse a farlo, Trump non ricopre i meccanismi di forza con le usuali gesticolazioni dirittumaniste. Di solito la divisione del lavoro è questa: i presidenti americani leggono sul gobbo i discorsi su libertà-democrazia-diritti umani, mentre dietro le quinte segretari di stato e maggiorenti chiariscono i rapporti di forza e portano a casa i contratti. In Trump, per i suoi tratti narcisistici, le due figure collassano in una sola, e questo chiarisce di molto il quadro.

Perciò nell'animato colloquio, quasi una rissa, Trump spiega a Zelensky con inusitata brutalità come stanno le cose:

1) non hai carte in mano, smetti di bluffare;
2) senza una massa impressionante di aiuti esteri, soprattutto americani (armi, denaro, comunicazioni satellitari, contractors), i russi vi avrebbero rullato in due settimane;
3) questo è business e la vostra unica garanzia di sicurezza sta nel fatto che riconosciate il vostro indebitamento (come ha chiarito Marco Rubio, se gli USA avranno un interesse allo sfruttamento minerario dell'Ucraina, questa sarà una garanzia di sicurezza: nessuno vuole che la mucca che sta mungendo muoia).

Dall'altro lato Zelensky, che, dopo essere stato dipinto per anni dall'apparato mediatico a libro paga come nobile eroe, combattente per la libertà, elegante pure (vedi la copertina di Vogue), e dopo che la medesima stampa ha fatto da grancassa alle veline del SBU, si è presentato pensando di convincere Trump (che ritiene "disinformato") riportandogli come verità inconcussa la sua versione, cioè la versione ucraina per uso interno, quella per fidelizzare il popolo. Si è messo così a sproloquiare sull'Ucraina che da sola avrebbe affrontato il nemico, sul tradimento degli accordi di Minsk II da parte russa (falso storico manifesto), ecc.

Ora, Trump l'avrebbe probabilmente anche lasciato sproloquiare se questo fosse stato un mezzo per condurre al solo punto che a lui importa: l'accettazione di un cessate il fuoco e la firma dell'accordo per lo sfruttamento delle residue aree minerarie ucraine. Con queste due cose in mano, Trump poteva andare da Putin e dirgli, in modo convincente, che gli USA ora avevano un interesse durevole alla pace, tentando di prospettargli le alternative di una costosa escalation o di una rapida pace.

Sulla questione della non accettazione del cessate il fuoco credo si sia giocata la partita (e credo che questo abbia motivato lo scontro).

Trump ha dato per scontato che il cessate il fuoco fosse nell'interesse dell'Ucraina, che, appunto, non ha carte alternative in mano. L'osso duro da convincere sarebbe stato Putin, che invece non ha alcun interesse ad accelerare i tempi della pace visto che sta avanzando e visto l'investimento pregresso nello sforzo bellico. Trovarsi di fronte ad un rifiuto ucraino, irrazionale in termini di business, ha palesemente irritato Trump.

Qui però a Trump manca un tassello.

Zelensky di principio avrebbe potuto recitare la parte dell'eroe invitto e tuttavia accondiscendere alla fine ad un cessate il fuoco e alla cessione mineraria, in quanto scenario meno peggiore delle alternative.

Ciò che invece è accaduto e sta accadendo è che il momento d'inerzia della costruzione ideologica interna all'Ucraina ora non può più essere arrestato. Zelensky è "difeso", ma anche tenuto a catena corta all'interno del proprio paese dai settori nazionalisti radicali, che hanno promosso la sistematica mostrificazione del nemico. Questi settori sono quelli che giustificano l'appello retorico di Putin alla "denazificazione": sono personaggi che davvero operano nell'ottica di rinserrarsi nel bunker di Berlino e inviare al fronte la Hitlerjugend (le terrificanti scene di arruolamento coatto dell'ultimo anno e mezzo e le discussioni sull'ulteriore abbassamento dell'età di coscrizione non lasciano dubbi). Una parte politicamente influente e armata della società ucraina rappresenta la Russia come il Male da estinguere, con cui non si fanno accordi né compromessi. E questa parte non ci penserebbe due volte a far fuori Zelensky nel momento in cui egli non fosse più ciò che finora è stato: un ventriloquo della loro visione manichea.

Perciò Zelensky è una figura profondamente tragica.

Da comico nazionalpopolare è stato innalzato ad eroe nazionale in una guerra del Bene contro il Male, perché in una fase storica questo era nell'interesse dei finanziatori internazionali. Ha dovuto investirsi di questo ruolo, fino a crederci. Ha collaborato, e questa era la condizione per mantenersi in sella, ad un processo di radicalizzazione dei rapporti, accogliendo sempre, alla fine, le posizioni più radicali (vedi trattative di Istanbul). Così facendo ha contribuito alla distruzione del proprio paese e di un'intera generazione. Ora, pur comprendendo che non è nelle condizioni di mantenere nulla di quanto ha promesso, comprende anche che i sacrifici fatti in quel tentativo sono stati devastanti e hanno creato nel proprio paese rabbia, ferocia, desiderio di vendetta, che da qualche parte chiederanno di sfogarsi.

E capisce che nel momento in cui cesseranno di sfogarsi al fronte prenderanno di mira lui.

*Post Facebook del 1 marzo 2025

Andrea Zhok

Andrea Zhok

Professore di Filosofia Morale all'Università di Milano

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