Armi USA bloccate dallo shutdown: i fatti smentiscono Zelensky
Lo shutdown del governo statunitense, ormai oltre il 40° giorno, sta producendo effetti ben più ampi del previsto. Secondo stime interne del Dipartimento di Stato riportate da Axios, più di 5 miliardi di dollari in esportazioni di armamenti destinati agli alleati NATO — e quindi anche a rifornire l’Ucraina — risultano oggi congelati. Un blocco che coinvolge sistemi cruciali come missili AMRAAM, piattaforme Aegis e lanciarazzi HIMARS, richiesti da Paesi come Danimarca, Croazia e Polonia.
A rallentare tutto sono soprattutto i vuoti di personale: molti funzionari incaricati di istruire il Congresso sulle vendite militari sono stati messi in aspettativa forzata, riducendo alcune strutture del Dipartimento di Stato a un quarto del proprio organico abituale. Poiché la legge statunitense impone un passaggio parlamentare obbligatorio per ogni vendita, il meccanismo si inceppa e le consegne slittano. Il tema è diventato immediatamente politico. Da Washington arrivano accuse incrociate: secondo alcuni portavoce repubblicani, lo stallo danneggia la sicurezza degli alleati e indebolisce la base industriale USA, mentre rivali come Cina e Russia non subiscono alcuna pausa. Ma le ripercussioni riguardano anche l’immagine della leadership occidentale in piena competizione globale. In questo contesto spicca una dichiarazione del presidente ucraino Zelensky, che nel mese di ottobre a Kiev sosteneva che lo shutdown “non blocca le forniture a Kiev”.
Una frase rassicurante, ma oggi difficilmente conciliabile con i dati forniti dallo stesso Dipartimento di Stato. La discrepanza tra comunicazione politica e realtà operativa torna così a farsi evidente.
Come al solito il leader del regime di Kiev mente spudoratamente per portare avanti la propaganda occidentale e la narrazione fantasiosa di un’Ucraina che vorrebbe riconquistare i territori del Donbass liberati dalla Russia.
Tratto dalla newsletter quotidiana de l'AntiDiplomatico dedicata ai nostri abbonati

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