Convoglio per Gaza: il coltello della fratellanza puntato alla gola di Al Sisi

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Convoglio per Gaza: il coltello della fratellanza puntato alla gola di Al Sisi

 

di Michelangelo Severgnini

 

Il dibattito sul “Convoglio della resilienza”, “Qafilat al-sumud” in Arabo, traducibile meglio come “convoglio della fermezza”, nei Paesi arabi ha preso grosso modo la piega che ha preso anche qui in Italia e in Europa, con una parte che ne sottolinea la necessità, capace di per sé di abbattere persino i confini, e una parte che non è disposta ad abboccare alle fotografie prodotte con l’AI che in queste ore brulicano sulle pagine dei più sprovveduti.

I partecipanti europei vengono arrestati al Cairo, all’arrivo in aeroporto, e rispediti indietro, ovvero sia “rimpatriati” e non “deportati” come li definisce un malcostume linguistico, ormai vera e propria manipolazione linguistica, in uso nella lingua italiana da quando Trump si è insediato alla Casa Bianca (https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-non__proprio_fame_di_giustizia__pi_voglia_di_qualcosa_di_buono/41939_61384/).

Ma è sul dibattito e sull’avventura del convoglio nordafricano che mi vorrei soffermare, riportando le poche notizie a disposizione e soprattutto il pensiero e le accuse contenute nel dibattito che si sta scatenando nei Paesi del Nord Africa.

Figura carismatica alla testa del convoglio sta lo sceicco Yahya Sari (in foto), membro dell’Associazione degli Accademici Musulmani Algerini, già segnalato come esponente della Fratellanza Musulmana, la quale evidentemente, come denunciato da più fonti, si è mossa sin dai primi passi per strumentalizzare questa iniziativa al fine di recuperare un po’ di consenso ormai in declino tra le società arabe.

Algeria e Tunisia hanno lasciato fare, la prima perché con la Fratellanza scende spesso a patti, la seconda perché probabilmente ha deciso il profilo basso e attenderà i propri connazionali al ritorno, dal momento che il presidente tunisino Saied si è sempre dimostrato un acceso oppositore di questa organizzazione dell’Islam politico, responsabile dello sfacelo dei Paesi arabi colpiti dalle cosiddette “rivoluzioni” del 2011.

In Tunisia, come in Libia, come in Egitto, anche se con esiti e modalità differenti, il superamento di quella fase e la messa all’angolo della Fratellanza Musulmana (bandita in Egitto dalla cacciata di Mohammed Morsi, esperente di spicco della Fratellanza, nel 2013), ha rappresentato l’unico modo per riappropriarsi della sovranità di quei Paesi, violata dalle cosiddette “rivoluzioni”.

Mentre sto scrivendo, le 4 del pomeriggio di giovedì 12 giugno 2025, il convoglio si trova da qualche parte in Libia: Ha superato a furor di popolo spiegate la Tripolitania, festeggiato dalle milizie, e si dirige verso Bengasi prima e il confine con l’Egitto poi.

Ma il territorio amico per il convoglio adesso è finito.

Le autorità egiziane hanno fatte sapere che non lasceranno entrare in Egitto il convoglio, a meno che i partecipanti non siano provvisti di regolare visto (cosa che non era necessaria per Tunisia e Libia che non prevedono visti per i rispettivi cittadini).

Ma nemmeno le autorità di Bengasi hanno al momento promesso un trattamento agevolato, non solo perché sostenute dall’Egitto, ma perché a loro volta in aperta guerra ormai più che decennale con le autorità illegittime di Tripoli, al contrario occupate in larga parte da membri della Fratellanza.

Ecco cosa ha dichiarato il premier illegittimo e criminale di Tripoli, Abulhamid Dabaiba, a proposito del convoglio: “Sono fiero e orgoglioso del mio popolo che ha accolto e si è mobilitato per la “Carovana della Solidarietà”, questa iniziativa umanitaria fraterna (sic) che è partita dall'Algeria, poi dalla Tunisia, e ha raggiunto il nostro Paese, così che il popolo libico ha dato un nuovo esempio di donazione e di lealtà, portando messaggi di sostegno alla popolazione di Gaza di fronte all'assedio e all'aggressione, una scena nobile che non è estranea al popolo libico, un'estensione di una storia di atteggiamenti che precedono le parole, e una conferma degli alti valori che uniscono il nostro popolo nonostante tutte le crisi”.

Quindi il convoglio ha ricevuto pieno sostegno dalle milizie di Tripoli, al punto che un maggiore generale della Forza di Polizia della Direzione Generale delle Operazioni di Sicurezza, Abdul Hakim Al-Khaytouni, si è affiancato alla marcia conta sua milizia per salutarla ufficialmente e si è fatto fotografare insieme ai partecipanti in un clima di grande entusiasmo.

Per altro, già che il convoglio ha obiettivi umanitari nella propria missione, avrebbe potuto liberare qualche migliaio di migranti imprigionati ancora nei centri di detenzione della Tripolitania, ma evidentemente quella è merce dei loro “fratelli” libici e non hanno osato.

Tra i commenti sui social libici uno dei più sferzanti e perspicaci riportava ieri: “Un commercio a buon mercato perché il convoglio non entrerà nel valico di Rafah, che ora è controllato da Israele dal lato palestinese. Questo convoglio serve solo a infiammare la situazione in Egitto. Spero che il Feldmaresciallo Haftar confischi il convoglio e lo dia ai sudanesi che ne hanno più bisogno”.

Come detto, il comportamento delle autorità di Bengasi non si è ancora palesato, anche se nelle prossime ore dovranno per forza prendere una posizione. 

Abdullah al-Thani, però, ex primo ministro del governo di Bengasi dal 2014 al 2019 ha postato in modo sprezzante: “Sono persone che hanno venduto la loro patria e la loro offerta allo straniero e hanno reso la Libia priva di sovranità, di decisioni e di denaro (riferendosi alla Fratellanza Musulmana e sottolineando il carattere strumentale del convolgio), quindi non aspettatevi che sostengano e si schierino a favore di altre patrie”. 

 

Sempre sui social il dibattito si è fatto via via più profondo.

Un altro utente ha scritto, con lucida preveggenza: “Se questo convoglio raggiunge il confine egiziano, ci sono due scenari: Uno: Si dice che l'Egitto partecipa all'assedio e che ha fatto con il convoglio quello che Israele ha fatto con la Madeleine. Secondo: al convoglio viene permesso di attraversare, e allora ci sono 2.000 o 3.000 persone al valico, e nessuno può controllare loro o le loro azioni, dai normali canti pacifici al tentativo di assaltare il confine e aprirlo con la forza. Il risultato di una cosa del genere? Il valico diventa un focolaio di tensione. Cosa succederà? Le forze armate ne perderanno il controllo e, in mezzo a questi litigi e tensioni, si presenterà la più grande e importante occasione storica per effettuare la deportazione! Perché l'esercito perderà il controllo del valico di Rafah a causa della calca e respingerà la marcia dall'assalto al valico. In questo modo state attuando i desideri di chi? Di Netanyahu. E facendo pressione su chi? Sull’Egitto. Contro chi? La causa palestinese”.

Anche i social egiziani sono già in fermento. Ecco un commento: “In occasione dell'umoristica marcia Al Samoud che viene a minacciarci sul nostro suolo, e che improvvisamente vuole fermare l'assedio di Gaza con demagogia e teppismo. Propongo al Signor Presidente di inviare un aereo dell'EgyptAir che li vada a prendere con la cravatta da insegnante e li faccia scendere direttamente a Tel Aviv, in coordinamento con lo Stato di Israele!!! Che ci mostrino la vera e propria fermezza contro il loro nemico, proprio così. Vediamo come li accoglie l'IDF e vediamo la fermezza, la forza della fede e la sincerità dei canti e degli sproloqui contro la superiorità militare israeliana in diretta!!! L'Egitto farebbe loro un favore e gli risparmierebbe la fatica della marcia via terra, risparmiando i loro sforzi per il jihad, e almeno realizzerebbero il loro sogno di andare a Gerusalemme come martiri a milioni, e farebbe un favore a noi non facendoci vedere queste sceneggiate sulla nostra terra”.

Ma la denuncia più circostanziata arriva da Ahmed Moussa, giornalista egiziano vicino al governo:

“Nelle ultime ore, ho seguito i movimenti e le dichiarazioni rilasciate dai partecipanti e dagli organizzatori di quello che hanno chiamato il convoglio di Al-Samoud per andare a Gaza attraverso il valico egiziano di Rafah; il convoglio comprende circa 1500 attivisti di diverse nazionalità, e questo numero aumenterà fino a raddoppiare nei prossimi giorni. Da parte loro, attraversando il porto di Salloum al confine con la Libia ed entrando in territorio egiziano da ovest a est per raggiungere il porto di Rafah domenica prossima (secondo l'itinerario del convoglio), ci si chiede se questo convoglio e quelli al suo interno si siano coordinati con le autorità egiziane e abbiano ottenuto i visti per entrare prima in Egitto e poi nel Sinai, che è di natura speciale e ha procedure specifiche. Non guardate il titolo glamour e attraente, ma le conseguenze di ciò che potrebbe accadere e l'immagine che verrà fatta circolare ed esportata sull’Egitto". 

Ma poi la denuncia di Moussa si fa ancora più precisa: “È necessaria la vigilanza di tutti per affrontare questa trappola che mira a mettere l'Egitto in una situazione molto imbarazzante, sia che permetta l'ingresso o che impedisca il convoglio, e le ripercussioni di ciò che potrebbe accadere e le campagne preparate in anticipo contro lo Stato egiziano. Fate attenzione a questa elaborata imboscata, tutti gli occhi sono puntati sull'Egitto e ci sono decine di attivisti che si uniranno a questo convoglio quando arriverà in territorio egiziano. Il popolo egiziano ha piena consapevolezza di ciò che è stato tramato contro l'Egitto dall'ottobre 2023 e della posizione ferma, forte e inequivocabile dello Stato per impedire il passaggio del piano di sfollamento per preservare la causa palestinese: l'obiettivo è mettere in imbarazzo l'Egitto, non Israele. Se ipotizziamo che raggiungano Rafah e che l'esercito di occupazione si rifiuti di entrare a Gaza, così come ha rifiutato l'arrivo della nave Madeleine sulle coste di Gaza e ha arrestato tutte le persone a bordo, compresi i membri del Parlamento europeo, questi attivisti torneranno nei loro Paesi o trasformeranno la zona di confine con la Palestina in una bomba a orologeria e in un centro di eventi e pressioni sull'Egitto. Affrontare la questione richiede cautela e saggezza per proteggere la sicurezza nazionale dell'Egitto, e la nostra posizione sulla Palestina non ha bisogno di testimonianze da parte di nessuno o di aste da parte di sloganisti e narcisisti, perché siamo l'unico Paese che ha combattuto per la Palestina e per 77 anni l'Egitto è stato in prima linea nella difesa dello Stato palestinese e continuerà a portare la sua responsabilità storica.

Anche dalla Giordania arrivano commenti sul convoglio e questo che riporto non lascia margini di dubbio: “Dirò qualcosa che non vi piacerà sul convoglio tunisino-algerino a Gaza. Innanzitutto, come giordano, sono solidale con l'Egitto in qualsiasi decisione prenda, perché oggi l'Egitto e domani la Giordania e poi qualsiasi altro Paese arabo. Poi c'è qualcosa di sospetto, da quando il convoglio è stato lanciato, c'è stata una campagna mediatica contro l'Egitto, anche prima che raggiungesse i confini egiziani, e prima che l'Egitto prendesse posizione, e questo è qualcosa che vi indica che l'obiettivo del convoglio è un altro! Che altro? Ve lo dico io. Qualsiasi cosa il convoglio stia trasportando non sfamerà cinque famiglie di Gaza, se le raggiungerà, quindi si dice che c'è un messaggio morale. Qual è il messaggio morale dopo 600 giorni di guerra? Quindi è per fare una dichiarazione. Ma da chi e su chi? Non è un segreto per nessuno che la Fratellanza sia il motore della campagna mediatica, e l'obiettivo non è mai Israele. Israele ha esagerato con la sua insolenza, e questo lo sa tutto il mondo, e niente lo metterà in imbarazzo, ma quello che vogliono ora è mettere l'Egitto nell'angolo dell’occupazione. Tutto il mondo sta letteralmente inviando aiuti ad Al-Arish, e non è l'Egitto a decidere se farli entrare nella Striscia di Gaza; Israele controlla ora i valichi di Gaza, e gli aiuti avrebbero potuto essere inviati in modo non appariscente. Avreste potuto rompere l'assedio 500 giorni fa o 400 giorni fa, non alla fine della guerra! Avreste potuto concentrare i vostri messaggi su Israele, non sull'Egitto e sugli arabi! La decisione del 7 ottobre è stata presa a Teheran, non al Cairo, ad Amman o a Riyad. Avete giocato con le vite, le avete vendute a buon mercato e siete partner dell’occupazione".

In definitiva, questa marcia, organizzata attraverso la residua manovalanza della Fratellanza Musulmana presente in Nord Africa, ma non di meno con la rete ben più nutrita e capillare che la Fratellanza può vantare in occidente, ormai a braccetto con le avanguardie sorosiane di casa nostra, ha come obiettivo, realisticamente come solo obiettivo, quello di mettere l’Egitto con le spalle al muro.

Se questi cederà alle pressioni, il convoglio della Fermezza, pilotato dalla Fratellanza, cercherà di far pagare a caro prezzo all’Egitto il colpo di Stato del 2013 e la conseguente messa al bando dell’organizzazione. Nella migliore delle ipotesi. Se invece l’Egitto non cederà al ricatto, il suo governo sarà comunque messo in cattiva luce, non solo nei Paesi arabi, ma soprattutto nel mondo occidentale. Ed è lì, come sempre, che l’Occidente va a parare, alla destabilizzazione dell’Egitto. In funzione anti-russa e soprattuto pro-israeliana.

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