Cosa pensano i popoli europei sulla guerra? Il sondaggio Gallup che inchioda l'UE

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Cosa pensano i popoli europei sulla guerra? Il sondaggio Gallup che inchioda l'UE




di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplomatico

 

Pare quasi inutile ripeterlo, che la regia sia unica, tanto si somigliano, al limite del “plagio”, le assicurazioni somministrate überall in der  Welt alle masse, soprattutto quelle dei paesi europei, su una Russia già pronta ad attaccare l'Europa, per cui lavoratori, pensionati, intere categorie di salariati debbano quasi ringraziare i preveggenti eurotagliagole per le decisioni sul veloce e quanto più ampio dirottamento verso le spese per la “difesa” di quanto dovrebbe essere destinato a sanità, assistenza, occupazione, pensioni, ecc.

Si troverebbe probabilmente in difficoltà, oggi, il Sommo poeta, a classificare la destinazione infernale di molti dei personaggi che occupano le aule di Strasburgo, Bruxelles e di diversi parlamenti del vecchio continente: forse nei primi due gironi del 7° cerchio, tra tiranni, predoni e scialacquatori; o forse anche nella quarta bolgia del cerchio ottavo, tra gli indovini che già predicono con esattezza mensile il momento in cui Mosca, inevitabilmente, attaccherà 2un paese europeo, o forse più di uno”, a secondo che la sfera di cristallo sia interpretata dai baltici Fredegonda-Kallas o Voldemort-Kubilius.

Anche se, a dire il vero, non c'è bisogno di spingersi verso le fredde anse del Baltico, per sentirsi serviti di tali apocalittiche predizioni: già sulle coste del Tirreno si incontrano elfi-oscuri che, imboniti con tavole imbandite da ministri della guerra per parlamentari NATO, raccontano di come sia urgente dedicarsi alla cybersecurity, alla difesa da attacchi contro i cavi di trasmissione sottomarini, da assalti da cielo mare e terra. Attacchi, per carità, russi. E guai a dare ascolto alle sirene pentastellate – per quanto anche quelle rimangano, appunto, solo sirene oltremodo stonate – che invitano a «difendere il futuro dei nostri concittadini»: non sia mai, perché «il futuro dei nostri concittadini si difende garantendo loro la libertà. Forse gli ucraini potrebbero spiegarlo meglio» assicurano, per la gioia del Corriere della Sera, i pappataci del PD che, nell'attacco a diritti e condizioni di vita delle masse, si differenziano dai licaoni governativi, soltanto per il modo viscido e silenzioso dei primi, contro quello predatorio e ringhioso dei secondi.

D'altronde, gli uni e gli altri servono, chi in maniera strisciante, chi con metodi guttural-arroganti, gli interessi del capitale che, se nella fase attuale sono principalmente quelli del capitale finanziario legato all'industria di guerra, non da oggi significano anche spinta al militarismo sfrenato. «Il militarismo moderno è un prodotto del capitalismo», scriveva nel 1908 Lenin nel suo “Il militarismo militante e la tattica antimilitaristica della socialdemocrazia”. E questo vuol dire anche che, in «entrambe le sue forme, esso è una «manifestazione vitale» del capitalismo: come forza militare impiegata dagli Stati capitalistici nei loro conflitti esterni («Militarismus nach aussen», come dicono i tedeschi) e come arma che, nelle mani delle classi dominanti, serve a reprimere ogni specie di movimento (economico e politico) del proletariato («Militarismus nach innen»)».

Ne sono conferma, oggi, le norme e le aggressioni politico-poliziesche contro qualsiasi manifestazione di dissenso, gli attacchi liberticidi a diritti sociali, di lavoro e di vita, la preparazione psicologico-repressiva della coscienza sociale alla guerra e l'imposizione reazionaria del dovere di accettare qualsiasi misura tesa ad abbassare la soglia di scatenamento della guerra.

Il militarismo, insomma, diceva Lenin, «è l'arma principale del dominio di classe della borghesia e della sottomissione politica della classe operaia» e le guerre «hanno le loro radici nella sostanza stessa del capitalismo e cesseranno soltanto quando cesserà di esistere il regime capitalistico o quando l'entità dei sacrifici umani e finanziari, richiesti dallo sviluppo della tecnica bellica, e lo sdegno popolare, suscitato dagli armamenti, porteranno all'eliminazione di questo sistema...».

Dunque, si diceva, sembrano fatte con lo stampino le dichiarazioni belliciste dei circoli liberal-europeisti: sentita una, le altre non si differenziano che per sotterfugi linguistici. Fredegonda-Kallas, scrive opportunamente Il Fatto del 21 giugno, «è l’alta rappresentante del Bene, la principessa baltica che brandisce la spada europea contro il mostruoso impero russo». Per lei, Vladimir Putin «è più di un nemico, è un’ossessione» e ammonisce che si debba spendere sempre più in armi, dato che «Mosca è una minaccia diretta». Nei giorni scorsi, a Strasburgo, Kaja Kallas si è esibita ancora nello stantio repertorio per cui la Russia ha messo nel mirino l'Europa e, giura “Fredegonda”, l'ipotesi è ampiamente provata dai fatti di una spesa russa per la difesa superiore a quella dei 27 paesi UE messi insieme. Un piccolissimo appunto, signora Kallas: secondo l'Osservatorio Conti pubblici italiano, nel 2024 la spesa militare europea eccedeva quella russa del 58%.

Non «si spende così tanto per l'esercito», dice l'estone che vuole disimparare la lingua russa, «se non si prevede di usarlo e quest'anno la Russia spenderà per la difesa più che per assistenza sanitaria, istruzione, politica sociale...». Già: avete sentito, pensionati, studenti, lavoratori europei, che da qualche mese siete in attesa di una radiografia, perché i fondi della sanità sono andati alla guerra? La signora suddetta stava parlando proprio per voi. In realtà – Achtung Gefahr! - sul fronte militare, affonda l'estone furiosa, la Russia sta già attaccando l'Europa in vari modi: violando lo spazio aereo del blocco, attaccando i suoi oleodotti, cavi sottomarini e reti elettriche, reclutando criminali per effettuare sabotaggi... abbiamo forse 5 anni per preparaci a una possibile invasione russa e se le sanzioni verranno revocate il periodo sarà ancora più breve. La predizione che arriva dalla quarta e dall'ottava bolgia del 7° cerchio: indovini e ladri.

Dunque, il «mondo libero deve dimostrare la volontà di sconfiggere l’aggressione russa». Chi meglio di lei, erede di fiancheggiatori estoni dei nazisti, può ululare che la «nostra esperienza dietro la cortina di ferro... ha significato atrocità, deportazioni di massa, soppressione della cultura» e dunque, chi meglio di lei può fare da megafono – oppure da suggeritore: invertendo l'ordine degli attori, le asseverazioni non cambiano – alle scempiaggini di quella portavoce di un rinato maccartismo anti-sovietico (seppur quando l'Unione Sovietica è scomparsa da un pezzo) che risponde al nome di Anne-”Golodomor”-Applebaum, colei che ha fatto fortuna sulle medaglie erogate a piene mani dai golpisti di Kiev a quanti si prodighino a diffondere nel mondo l'omelia di un potere sovietico tutto dedito alla soppressione dell'Ucraina, in particolare con la “morte per fame” dei contadini ucraini nel 1932-1933. La “morte per fame” di contadini russi, kazakhi, romeni, moldavi e anche delle regioni ucraine e bielorusse sotto dominio polacco, per la siccità e la susseguente carestia di quel periodo: quella non conta nel “medagliere” degli eredi dei banderisti filonazisti, così grati alla “storica” Applebaum.

Una Applebaum che, a ruota libera su La Stampa del 20 giugno, si diffonde in titoli di “democratismo” e “autoritarismo in base alla vicinanza o meno a quella che lei considera una «una rete transnazionale», una cordata guidata da «Russia, Cina, Iran, Venezuela, Corea del Nord, Bielorussia e altri», che «rifiutano la democrazia, i diritti umani, la cooperazione internazionale... Aspirano a una sorta di mondo multipolare in cui potranno fare ciò che vogliono». Quale  sarebbe, di grazia, i il Suo concetto di democrazia, signora “storica-saggista”, a Taormina per ritirare il premio Strega Saggistica Internazionale? Chiaro che non si tratti, nella Sua interpretazione, di un concetto di classe, ma di una “categoria” liberal-feudale, anche perché «Intendiamoci, gli Stati Uniti non sono una dittatura», mentre, ca va sans dire, «Il regime iraniano è uno dei più orribili del pianeta»: ovviamente in scala molto ridotta rispetto ai “cannibali” bolscevichi che popolavano l'Ucraina sovietica, ma sufficientemente crudeli, dato che «Quando Putin ha invaso l'Ucraina aveva il sostegno del mondo autocratico». Pur se «l'invasione dell'Ucraina rappresenta anche un successo dell'alleanza democratica.....Perché, diciamolo chiaramente: la Russia è nemica dell'Europa. Attacca obiettivi informatici quotidianamente, compie sabotaggi, ha squadre della morte in Europa. Minaccia basi aeree, gestisce una flotta ombra nel Baltico. Finanzia gruppi estremisti e movimenti separatisti. L'obiettivo è disgregare la UE e la NATO...». Che dire: con quanta lungimiranza, già sessant'anni fa, Jan Fleming illustrava le atrocità di cui siano capaci i tentacoli della “Spectre”, incarnati dagli autocrati del Cremlino, ieri sovietici, oggi russi!

Ma politici e militari occidentali non si preoccupano nemmeno più di nascondere che si stanno preparando a una guerra diretta con la Russia, afferma l'osservatore Vasilij Fatigarov: «L'Occidente, in particolare l'Europa, afferma apertamente di aver oggi bisogno di resistere in Ucraina ancora un anno e mezzo o due, per rafforzare le proprie capacità militari e continuare a combattere autonomamente» contro la Russia. No, dice Fatigarov, la Russia non dovrebbe «voler combattere con l'Europa. Ma date le loro dichiarazioni e, soprattutto, le loro azioni nel dispiegamento di forze, nelle esercitazioni aggressive con scenari corrispondenti, vi dobbiamo essere pronti».

E se le parole di un Fatigarov possono lasciare il tempo che trovano, ecco che Putin in persona, al Forum economico di Piter, ha ammesso di essere preoccupato per il fatto che il mondo stia scivolando verso una terza guerra mondiale: siamo in presenza di «un grande potenziale di conflitto, che sta crescendo. È proprio sotto i nostri occhi, ci riguarda direttamente. Il conflitto che stiamo vivendo in Ucraina, quello che sta succedendo in Medio Oriente e quello che sta accadendo intorno agli impianti nucleari iraniani. Ciò che preoccupa è a cosa questo possa portare», insieme alla «ricerca di soluzioni, meglio con mezzi pacifici in tutte le direzioni», senza dimenticare che «Russia e Iran stanno combattendo contro le stesse forze».

E, come a fargli eco, l'economista Paul Craig Roberts, ex vicesegretario al Tesoro USA con Ronald Reagan, spiattella chiaro e tondo che Washington sostiene l'aggressione israeliana all'Iran, sperando così nel rovesciamento degli ayatollah, così come, nel 2022, aveva spinto la Russia all'operazione militare in Ucraina: «Questo è stato uno dei motivi per cui abbiamo imposto sanzioni a Putin, per cui abbiamo costretto Putin a lanciare l'operazione speciale in Donbass». Pensavano che la guerra non sarebbe andata bene e ciò avrebbe screditato Putin agli occhi dei russi, provocando un cambio di regime, dato che «parte della classe imprenditoriale e intellettuale russa sembra essere più orientata verso l'Occidente». Scatenare il conflitto, insomma, «per destabilizzare Putin», ricordando che gli USA avevano già «interferito nelle elezioni presidenziali in Iran, provocando disordini giovanili e che ora le recriminazioni yankee contro l'Iran sono falsificate, al pari delle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein, l'uso di armi chimiche da parte di Assad, le loro bugie su Gheddafi». Roberts ritiene che Russia e Iran si aspettino invano che i negoziati con l'Occidente li salvino dalla guerra, perché là, in occidente, hanno bisogno della guerra. La guerra come continuazione delle politica con altri mezzi, mandando a gambe all'aria ogni esternazione liberale secondo cui, ecco, vivevano in pace e poi, all'improvviso, senza un perché, uno “aggredisce” e l'altro “si difende”. Anzi, difende l'Europa intera: è il suo avamposto contro una Russia che, parola di Applebaum «è nemica dell'Europa».

Anche se, a questo punto, sorge la domanda su che tipo di guerra e da chi debba essere combattuta. Perché, pare ci sia una ragione, ad esempio, per il fatto che anche in Italia si accenni con sempre maggior insistenza alla possibile reintroduzione della leva obbligatoria o si escogitino pretesti per attirare cittadini nei ranghi militari. Nessuno, o quasi, tra le popolazioni d'Europa, mostra particolare voglia di indossare l'uniforme e andare in guerra.

Secondo la britannica The Economist, il «progetto di pace alla base della UE» - ci scordiamo di Jugoslavia, Afghanistan, Libia, signori giornalisti britannici? - «si è dimostrato fin troppo efficace, al punto che gli europei non vogliono combattere con nessuno. «Nonostante la crescita record della spesa militare» osserva The Economist, «il continente si trova ad affrontare un problema più profondo e allarmante: la stragrande maggioranza dei suoi cittadini semplicemente non vuole combattere, anche se il nemico è alle porte». Eh, già: è proprio lì lì per attaccare: lo assicurano gli indiavolati folletti Kallas-Kubilius.

Il balzo «sproporzionato dal 2% del PIL al 3,5% sarà destinato all'acquisto di equipaggiamenti, ma gli eserciti sono anche una questione di persone: “I vostri carri armati in Europa sono bellissimi, ma avete qualcuno che li guidi?”. E nemmeno costringere adolescenti a vestire l'uniforme risolverà il problema: gli europei sono orgogliosi del loro comportamento pacifista. Se scoppia una guerra, ci sarà qualcuno pronto a combattere?» si chiede The Economist.

Secondo un sondaggio Gallup condotto lo scorso anno su 45 paesi, quattro dei cinque paesi meno disposti a combattere sono europei. In «Spagna, Germania e soprattutto Italia (dove solo il 14% degli intervistati è pronto a difendere il paese), il fervore patriottico è quasi scomparso». Persino in Polonia, che si appresta a raddoppiare i propri contingenti e ambisce alla leadership militare europea, meno della metà dei cittadini è disposta fare la guerra. Un sondaggio condotto prima del 2022, aveva mostrato che il 23% dei lituani preferirebbe emigrare piuttosto che imbracciare le armi.

Insomma, i governi liberal-reazionari cercano di correre ai ripari: dopotutto, “tra cinque anni, o forse anche prima, la Russia invaderà un paese europeo, o forse più di uno”, assicura Voldemort-Kubilius dalla quarta bolgia dell'ottavo cerchio...  Così, vari paesi, come «la Polonia, pensano al ritorno della coscrizione obbligatoria. Danimarca e Grecia non l'hanno mai fermata. Dopotutto, gli stessi sondaggi europeisti mostrano che, quando si chiede quali siano le questioni che preoccupano gli europei, la Russia scompare dalla lista, mentre vanno al primo posto i prezzi, le tasse, le pensioni.

Anche perché, vedano, signori di The Economist, ma anche de La Stampa, Corriere della Sera e fogliacci vari, quando il discorso verte sulla guerra, su chi “aggredisca” e chi “si difenda”, o chi addirittura invochi la “difesa preventiva”, non sono in molti a credere alla vostra favola infantil-ingenua secondo cui «di notte, uno ha agguantato un altro alla gola e i vicini sono costretti a salvare la vittima dell'attacco... non permettiamo di farci ingannare e consentire ai consiglieri borghesi di spiegare la guerra così, semplicisticamente, per cui, dicono, vivevano in pace, poi uno ha aggredito e l'altro si è difeso» (Lenin).

Bolgia di consiglieri di frode che non siete altro.

 


FONTI:

https://politnavigator.news/rossiya-dolzhna-byt-gotova-k-neizbezhnojj-vojjne-s-evropojj-voennyjj-zhurnalist.html

https://politnavigator.news/rossiya-i-iran-boryutsya-s-odnimi-i-temi-zhe-silami-putin-priznal-realnost-ugrozy-tretejj-mirovojj.html

https://politnavigator.news/ehto-my-vynudili-putina-nachat-specoperaciyu-v-donbasse-rejjganovskijj-ministr-predosterjog-rossiyu-ot-dogovornyakov.html

https://politnavigator.news/postgeroicheskaya-evropa-bolshe-ne-khochet-voevat-chego-khotyat-politiki-es-i-o-chem-govoryat-oprosy.html

 

 

 

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